A Scuolamagia son giorni febbrili: LO spettacolo teatrale è ancora un brandello di stoffa sfilacciata, tanti piccoli pezzi in attesa di diventare (speriamo) pezzi di bravura (!!). E musiche da trovare, volantini da colorare, prese, spine corde e costumi e fari e pistole giocattolo. Poi ci sono gli esami, con argomenti da intrecciare, libri da fotocopiare, tracce di temi da preparare. Poi c’è tutta una burocrazia di registri, di voti e pagelle, di relazioni finali e relazioni disciplinari. Ho paura di perdermi in questa bolgia e di perdere di vista le cose di sempre. Quello che è triste. Quello che ti deve parlare. Quello che ha paura. Quello che è il suo compleanno. Quello con cui alzi troppo la voce. Domani provo a rallentare, domani.
Monthly Archives: maggio 2005
CapoGIRO
Oggi al GIRO sono passati per il paesino della mia infanzia e della mia prima adolescenza. Io – mannaggia – a quell’ora lavoravo. Decisiva è stata la salita del Passo Duràn (…sì, siete bravi e spiritosi: Duràn Duràn…). L’ho provata, un giorno d’agosto di qualche anno fa, e mi ha lasciato addosso certi brividi. Ho voglia di pedalare fino a sfinirmi, ho voglia dei pensieri di quei momenti lì. Ho voglia di una pozzanghera anche sotto la ruota.
Una corda al cielo
Alle elementari forse eravamo compagni di banco. Ci univano certe fantasie, viaggi nello spazio, dirigibili immaginati, dinosauri prima dei film sui dinosauri. Un dubbio nel disegnare un camion, un elicottero? Chiedevo a lui. Costruivamo barche con i mattoncini lego con cui poi cacciavamo balene sopra il parquet. A lui piacevano anche gli squali, e il primo ispettore Gadget. Poi siamo cresciuti, io forse un po’ prima. Alle medie il campo di calcio mi ha fatto trascurare il suo pavimento e il mio lavoro di baleniere. Poi c’erano parolacce che lui non diceva, c’erano battute che non lo facevano ridere. Lui dalla sua nave non voleva (non sapeva) scendere. Nei quindici anni successivi l’avrò rivisto 4 o 5 volte tra mille impacci e retorica e ricordi, ma senza passione. Chi mi ha parlato ancora di lui ha sempre sottolineato soltanto i suoi silenzi, il suo mistero.
Oggi mi dicono che ha detto basta, che è sceso dalla sua nave per sempre.
O che dalla sua nave non scenderà mai più. Alla mia età.
Forse è a lui che ho scritto la mia prima lettera.
I matti non hanno il cuore ma se ce l’hanno…
Chîsta
’e n’éis ‘na conta
pai nins,
éis ‘na storia vera,
da matz.
Al disivuot d’avost
da l’otantedoi,
apena iessût da l’ospedal
me soi serat in cjamera,
ài metût doi armaróns
e un comodìn
denant la puarta.
Po’ me soi metût sul liet,
coma un astronauta.
De four de la puarta
i me clamava duç:
“Iés! Iés”.
“No, no! ’E soi ch’e sgôrle
in ta la nâf spaziâl,
no stei desturbâme,
vô ’e séi de un antre mont.”
E i passava li ores…
Intant jo incrosave
steles e galassies
e ucei strambus.
Al speciu al faseva da oblò
e al sofit da firmament.
E de four,
mitant preocupatz:
“Iés! Iés!
Ah, Diu,
al è mat!”
Jo ’e continuava a sgorlâ,
incjamò doi mil ans-lûs
e sarés rivât sul sorele.
Li ombrenes sui murs
e i rumors de li machines
i faseva al sussûre dal motour
de la nâf spaziâl.
E ’i son passâtz doi dìs…
“Iés! Iés!
No màngestu?
Ah, Diu, al è mat!
Paràn jù la puarta!”
Ma la puarta a resisteva.
E jo in alt,
pì in alt!
E de four dut un rumour:
“Iés! Iés!
Ce fàistu uvì?
Dai mo, su, nin!
Ah, Diu, al è mat!”
“Lassâme stâ!
’E soi su la nâf spaziâl.”;
’E scjampe,
e al mont lu jôt lontan
e i omi pici pici…
e ’i son passâtz tre dîs…
’I àn sfuarcjât la puarta,
’i àn parât jù i armarons
e al comodin.
Jo ju spetâve, platât
sot al liet.
“Ah, Diu!
’I son rivâtz
i umans!”
_________________________________________________
La nâf spaziâl
(Federico Tavan)
Il mio amico Ricky
Nel giorno in cui ci accorgiamo che – averlo saputo!!! – Berlusconi avrebbe potuto far finire la guerra fredda trent’anni prima e nei giorni in cui affronto in classe lo scontro USA-URSS, mi è tornato alla mente l’episodio di uno dei telefilm della mia infanzia, tenero e illuminato (c’erano i ricchi e c’erano i poveri, c’era il bene, c’era il male…). Ricordate il biondino orfano di madre che viveva col papà miliardario e industriale del giocattolo? Quello con il trenino per passare dalla cucina al salotto, quello col letto a forma di Lamborghini. Beh, c’era quella puntata dove in sogno gli capitava di rispondere al telefono rosso mentre vestiva i panni del Presidente, nella stanza ovale. Nel responso la faccia serissima e un esilarante cortocircuito di telefilm: “oh no,…i Russi hanno affondato il Love Boat…”.
IRROQUIENTE
La parola è nata questo pomeriggio su un quaderno, un quaderno rosa con Trilli in copertina. L’autrice ne ignora l’etimologia e sembra dissociarsi dalla sua creatura, ne prende le distanze. In questo momento, però, con la campana che sta ricordando inesorabile le vittime del terremoto gemonese di 29 anni fa e con tutto un grovigliaccio di altri pensieri e pensierini in testa… io un po’ irroquiente mi sento.
“…questa canzone la vorrei veder volare sopra i tetti di Firenze”.
Firenze e i suoi tetti. I suoi tetti con i loro gatti. Mi piace sintetizzarla così, la città che ho appena sfiorato. Non erano giorni da turista, ero il custode di 7 gitanti (che per la cronaca si custodivano benissimo anche da soli). Ma tant’è, il tempo è volato. L’autogrill a 13 anni non è poi tanto diverso da Ponte Vecchio e la camera dell’ostello vale almeno dieci Giardini di Boboli. Poi tanto quegli occhi colgono immagini nascoste, e vedono più a fondo degli sguardi da guida turistica.
Il David, sì, d’accordo, ma che lavoro farò io da grande? E perché scappano, quei ragazzi di colore che vendono quadri? Ma quello lì sul vetro di quel negozio di moda non è il pianista (Adrien Brody, n.d.r.)? E le hai viste quelle due che si baciavano sulla bocca?