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P

Tra i 19 ospiti di oggi a Bibliotecamagia c’era anche P. In realtà P. ci viene 9 volte su 10 e la volta che non c’è te ne accorgi subito. Perché P. urla sempre, perché non sta mai fermo, perché stropiccia i fogli importanti, perché lancia i libri, perché butta le cartacce per terra, perché fa cadere tutto, perché cade pure lui… Anche oggi accadeva tutto questo, ma accadeva troppo. Ogni volta che è così si vede che tutti pensano abbia qualcosa dentro, qualcosa che brucia o qualcosa che ghiaccia. Boh!? A P. non si può che perdonargli tutto, perché, anche se non c’è verso di quietarlo, il suo cuore è completamente bianco.

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“Sarà il cane che ritorna ma il cane non è…”

Storie di Scuolamagia. Ottomenounquarto: alcuni ragazzi fermano la mia auto a un centinaio di metri da aule e lavagne. Da qualche minuto stanno guardando l’agonia di una volpe caduta in trappola dopo il fallito assalto ad un pollaio, vicino al fiume. Ha una zampa posteriore immobilizzata da un laccio e con le altre morde il terreno con la frenesia di un condannato a morte. Intanto arrivano tutti gli altri alunni e arriva anche un sole di fine settembre, fattosi strada a fatica tra le nuvole. C’è chi non ha parole, c’è chi è stato il primo a notare la scena e fa un riassunto per quelli che sulla faccia hanno ancora lo stampo del cuscino. C’è chi bestemmia di stupore e c’è chi condanna l’insano gesto del rosso animale, mettendo sull’altro piatto della bilancia la vita (e la morte) di un’onesta gallina. Il tono di tutte le voci – tuttavia – è insolitamente lieve, quasi a non voler disturbare quelle movenze disperate, quell’istinto di salvezza. Alle otto siamo entrati in classe perché è cominciata la scuola. Oppure, fate voi, perché è finita. (C’è pure un happy end, in questa storia: a ricreazione ci han riferito della liberazione dell’animale ad opera della Guardia Forestale.)

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“…e sui destini che s’incrociano un po’ male”

Giornali, Tv e blog ci ricordano che da vent’anni facciamo senza Italo Calvino. Pozzanghera, cari i miei venticinque lettori, vi propone di celebrare così il grande indimenticabile scrittore. Scendete in cantina (o salite in soffitta, dipende) e rintracciate una vecchia antologia delle Scuole Medie, edita diciamo tra il 1985 e il 2000. Dentro cercateci un racconto di Calvino il cui titolo dovrebbe essere I disegni arrabbiati. È la storia di due bambini che vincono la solitudine di un pomeriggio senza mamme o simili attraverso mirabolanti lotte grafiche su fogli di carta. Leggere e successivamente mettere in pratica concretamente queste due o tre paginette mi ha permesso, qualche anno fa, di conquistare la fiducia di un ragazzino speciale. Del racconto, però, ho perso le tracce e di antologie ne ho sfogliate  a migliaia. Ancora oggi I disegni arrabbiati eseguiti alla lavagna sono un mio cavallo di battaglia quando devo fare supplenza a qualche classe priva di prof… D’accordo? Qualora la vostra ricerca ottenesse l’esito sperato, potete: 1. ricopiare integralmente il racconto in un COMMENTO; 2. indicarmi gli estremi bibliografici del prezioso volume; 3. telefonarmi, scrivermi una mail o una lettera; 4. venire qui.

«Così ho messo tutto a posto. Sulla pagina, almeno. Dentro di me tutto resta come prima.» Italo Calvino (Il castello dei destini incrociati)

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Lettere

Quando un film si ferma. Quando le immagini diventano sfondo, e niente più. Quando le parole non provengono da labbra in movimento sullo schermo, ma sono quelle di una lettera. Quando accade ed è sempre un momento centrale della storia che un regista ti sta raccontando. Quando la voce di un attore e di un’ attrice dicono “Caro…”, dicono “Cara…”. Quando la parola scritta (tu chiamala se vuoi… letteratura) riconquista il suo naturale primato nell’arte di narrare. Quando accade come nel film di Cristina Comencini che un fratello e una sorella si debbano dire il segreto che li distrugge. E il film si ferma, e le immagini diventano sfondo.  

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Ognuno al suo posto

Scuolamagia ha i suoi riti, le sue tradizioni, le sue colonne. Capita però che certi lavori di ristrutturazione svolti durante l’estate abbiano consegnato ai suoi inquilini – oggi, nel giorno della riapertura – un clima un po’ surreale: le pareti spoglie, interruttori e prese di corrente spaziali, un’eco mai sentita nei corridoi, una nuova campanella cui ci si dovrà abituare. Durante la terza ora – buca – sento dei passi sulle scale interne e scorgo G e R, seconda media, muoversi con passi furtivi. Li seguo con altrettanta circospezione e li sorprendo mentre armeggiano in una sorta di magazzino di cose vecchie, di scuola e non. “Prendiamo la mummia…”, si giustificano. La mummia. La mummia e la sua bara. Un miracolo di ingegneria fantasiosa, un attacco d’arte che Mucciaccia se lo scorda. Nata come decorazione per Halloween nella mente di Stric e Aria, due terze medie fa, è rimasta a vegliare dentro il suo sarcofago sui successivi anni scolastici, meritando l’affetto e il rispetto delle classi succedutesi. Un totem. La mummia. Chi ci aveva pensato… Ma adesso è lì, al posto suo.

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A certain softness in her eyes

“A certain softness in her eyes

Fascinates me…”

[…]

“A kind of sadness in her smile

Captivates me…”

Ho guidato tanto in questa fine settimana. Mi ha fatto buona e dolce compagnia l’ultimo CD di sir. Paul McCartney, frescofresco d’incisione. Non serve certo che dalla pozzanghera schizzino nuovi elogi al più elogiato degli autori di musica leggera. Però, un piccolo particolare geniale: il nome dell’artista, sul disco, è scritto con una calligrafia che si legge nella stessa maniera anche se girato di 180 gradi. “Paul McCartney” ribaltato si legge “Paul McCartney”, con la P iniziale che diventa una Y finale, la A una E, la U una N e così via.

Tutto qui il mio post dell’Undicisettembre? Ebbene, sì.

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Quando ci vuole ci vuole…

Pomeriggio in bicicletta, sulle strade di Carnia. Entro in un piccolo bar per cercare il ristoro di un’acqua minerale. Seduto a un tavolino, un vecchio col bastone e il rosso bicchiere d’ordinanza. Dietro il bancone un barista assonnato.

«Hai sentito – dice il vecchio – che è morto Nico Fidenco?»

«Noo, Bepo, ti sbagli, quello che è morto è Sergio Endrigo…»

«Ah, già…»  

Il vecchio è imbarazzato, scuote la testa e attacca, con una voce meravigliosamente calda:

«Io che amo solo teeee…»…

 Forse tentava di rimediare a una figuraccia, più probabilmente si era accorto che in quel momento – come per fare tutto – ci voleva un fiore.

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Le Ali… MIE

Ho voglia di ricominciare a lavorare. Ho voglia di avere le mani sporche di pennarello. Di parlare degli Aztechi, di ascoltare uno che mi parli degli Aztechi di cui gli ho parlato. Ho voglia di fare i miei urli. Ho voglia di cancellare la lavagna dopo averla riempita di parole, frecce e disegnini. Ho voglia di far venire voglia. Ho voglia di contare sbadigli. Ho voglia di commentare quaderni, di regalare fotocopie e articoli di giornale. Ho voglia di inventare nuovi titoli di temi e di giudicare vecchi quelli dell’anno scorso. Ho voglia che tutto questo, com’è già accaduto, mi piaccia e mi salvi…

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Le storie di Scuolamagia

Le ALI di ALE

Ha letteralmente volato. È passata subito al comando, pochi metri dalla linea della partenza. Erano 600, quelli da percorrere sulla corsia color mattone. Sempre in testa, mai girata la testa indietro. Non si è mai scomposta, Ale, nemmeno alla fine, quando l’atleta giunta seconda aveva ormai smesso di ostacolarla. Paradossalmente, nei temi in classe in cui si immaginava mezzofondista o maratoneta di successo era tutto più difficile e le vittorie erano più sudate. Poi, tagliato il traguardo, un sorriso sincero e la solita aria di chi ha già qualcosa di più vivo da rincorrere di una vittoria già passata.

 

 

Nel mio pomeriggio da tifoso di atletica leggera c’era anche Giù con i suoi salti in alto, purtroppo quasi invisibili dagli spalti.

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Soletta

Le ALI di ALINA

Tra quelli visti nel 2005, Pozzanghera elegge Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi come il film più bello. Oggi è lieta di trovarsi d’accordo con questa bella recensione di Concita De Gregorio sull’inserto femminile di “Repubblica”.  

IL CORAGGIO DELLA NOSTALGIA  

«Come un vento misterioso che non sa da dove viene ed è inutile cercare, un vento dentro. Al cinema, quel pomeriggio d’agosto, erano in cinque. Cinque persone sole, sedute in poltrone lontane. Tre donne, due uomini. Il film è cominciato ed è stato subito chiaro che era fatto di vento. Impalpabile, raffiche di sentimenti, scaglie di ricordi in mulinello. Una vita, la storia di una donna raccontata da sua figlia. Una storia ritrovata con coraggio e con fatica, cercata dove era stata nascosta. L’agio di una vita altoborghese, gli abiti di pizzo dei bambini e le scarpette bianche, l’autorità sorda del potere e del denaro. L’amore, forse. L’inquietudine, certo. Certe piccolissime sbavature nel quadro della perfezione. La condanna e la vergogna. La prigione, la fine.

 

Capita a tante donne di sentirsi inadeguate di fronte ai figli che nascono, alle aspettative che premono, bussano come intrusi alla porta e non c’è verso di starli a sentire. Capita a molte di avere bisogno di aiuto, di aver paura di non farcela. Di non avere più voglia di niente se non di tornare indietro, ma indietro non si può. Liseli Hoepli aveva 33 anni quando si è uccisa, nessuno della sua ricca e austera famiglia milanese l’ha ascoltata quando chiedeva, dalla clinica dove l’avevano chiusa, portatemi via da qui, vi prego, ho bisogno di voi. Semplicemente: l’hanno murata viva oltre confine, vergognandosene. Era bellissima, bellissima. Era un po’ confusa, prima, un po’ triste. Poi s’è ammalata della sua tristezza, invece che con l’abbraccio l’hanno curata col confino. Le hanno tolto i figli, era matta e doveva stare coi matti, non coi bambini. Ha implorato, ha invocato. I suoi hanno pagato la costosa retta senza rispondere a quel semplice richiamo. Ai bambini l’hanno tenuta nascosta come un disonore.

 

Quando sua figlia Alina ha avuto il coraggio – certo, sì, è sempre una questione di coraggio: andare a vedere o non farlo, ascoltare o no, dire o tacere – l’ha cercata, e l’ha trovata chiusa negli armadi del nonno dentro i filmini di famiglia segnati dalla lettera L: Liseli. Il suo film si chiama Un’ora sola ti vorrei, come quella canzone: io che non so scordarti mai. È di qualche anno fa e ha già vinto molti premi, ma nelle sale – in poche – è uscito adesso. Bisogna vederlo perché non si può raccontare: le parole sono tutte di Liseli, la madre, erano nei suoi diari. C’è la più bella dichiarazione di una donna a un uomo (vedi il post del 6 agosto). C’è la storia di un secolo, di una città, di una famiglia. C’è la felicità quando era ancora possibile, e la speranza che torni. La compostezza della buona educazione, il tormento che non conosce differenze sociali. Un padre, un marito. Ci sono gli uomini, sempre lontano. E quella bambina, aveva appena cominciato a scrivere le prime cartoline: cara mamma. Alina Marazzi ora ha quarant’anni – l’età dei bilanci, dei confini. Dice che ha fatto un film sulla nostalgia. “Non solo nostalgia per una mamma che non c’è e non c’è mai stata, ma anche per tutto quello che è stato e che non tornerà, per quello da cui veniamo e al quale ci sentiamo più o meno consapevolmente legati. La nostalgia come sentimento necessario per il superamento di una perdita. La nostalgia come condizione essenziale per vivere”».

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