Piccola posta

25 luglio 1997 / 8 marzo 2006

Care ragazze detenute del carcere di Pisa, grazie delle notizie. Fa soprattutto piacere che abbiate ora un corso di trucco, con una giovane insegnante esperta di cosmesi e di teatro. Ho visto in situazioni estreme come la cura di sé con tinture avventizie, rossi di fortuna su bocche sdentate, neri di fuliggine su occhiaie infossate, fosse un modo decisivo di resistenza delle donne. In un film girato a Sarajevo da Lionello Massobrio, se ricordo bene, c’è questa scena: una giovane donna scarmigliata, in una casa in rovina, sta davanti a uno specchio scheggiato e finge meticolosamente di truccarsi. Passa la mano vuota sulle labbra, sulle guance, sulle palpebre.Mi è tornato in mente sentendo che voi vi truccate, e fate perfino scuola di trucco, senza uno specchio davanti – se non il minuscolo specchietto sintetico che è concesso ai prigionieri. All’opposto di quella donna bosniaca, avete il trucco e non lo specchio. E’ difficile esistere senza guardarsi allo specchio: anche per essere soli, bisogna potersi specchiare. Voi potete guardare il profilo dei vostri corpi solo, opacamente, di sera, nel vetro della finestra. Chissà che il corso di trucco, che ha così a che fare con le questioni dell’anima, vi autorizzi qualche specchio condizionale (l’ora per specchiarsi: si potrebbe interpellare il ministero, se non per la giustizia, per la grazia). Vi saluto, e vi auguro di tornare presto nel mondo della libertà e degli specchi.

 

 

 

Adriano Sofri, Piccola posta

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