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La corriera

Mi capita talvolta di accompagnare i cuccioli da qualche parte e di salire su una corriera di linea per il ritorno. Succede che sia quella che raggiunge il paese di Scuolamagia alle 14.10. Ci salgo e so di incontrare un bel po’ di occhi. Un bel po’? Troppi, decisamente. Sono gli ex cuccioli, quelli che mi hanno ascoltato (sopportato) per tre anni e mille avventure. Ora frequentano le scuole superiori. Cresciuti, irriconoscibili. Voci cavernose, barbe, rossetti & rimmel. Gli occhi son sempre gli stessi. Mi prende un’ansia feroce: con chi parlo? Lui non lo vedo da tre mesi, lei sembra un po’ triste (chiedo, è solo stanca), lui dice che va malissimo a scuola (io dico che non ci credo), lei dice che lo ha finito, quel libro. Loro due sono diventate amiche – maddai! – e parlano strette strette. Lei sembra contenta di vedermi, sorride, non dice niente. Lui saluta e si rituffa nel suo mp3, ma lui lo vedo spesso e poi chissà quanto gli parla di me suo fratello, cui insegno storia e geografia. Alla fine opto per i dialoghi più semplici, di argomento generico. La conversazione la modera quello seduto nel sedile centrale dell’ultima fila, si atteggia a capetto, sentenzioso, non è cambiato. Sento che anche se guardano avanti, anche se sono stanchi e affamati… mi ascoltano. La radio trasmette la bella canzone di Pacifico, e dovunque mi giri stelle forse una di quelle… Comincio a dire che dovrebbero ascoltarlo, è un ottimo musicista, scrive parole dolcissime… Mi fermo, vabbè tornare indietro, ma a tutto c’è un limite.

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One thought on “La corriera

  1. utente anonimo says:

    Era intrato, si era seduto, ma invece di aprire il registro ci aveva guardati tutti quanti a lungo, poi aveva giunto le enormi mani in preghiera e le aveva agitate in avanti e indietro, secondo quel gesticolare che sta per: “Cosa diavolo avete combinato?” Era un gesto semplice, temperato di sollecitudine, con un piccolo accento buffo mischiato al rimprovero muto. L’accogliemmo con gratitudine. Subito dopo diede inizio alla sua lezione. Bisogna ora che io nomini quest’uomo: Giovanni La Magna. Siciliano, completo conoscitore della lingua greca della quale aveva redatto una grammatica e un vocabolario, mostrava un corpo massiccio, dal passo pesante. Il volto era aperto, cordiale e i tratti gli spianavano quando con la sua grave voce di basso compitava i versi greci e latini facendo cadere l’accento sulle sillabe con suono incalzante di zoccolo di cavallo sul selciato. Ci innamorò di Grecia antica perché ne era innamorato. Gli piaceva insegnare: questo verbo per lui si realizzava nell’accendere nei ragazzi la voglia di conoscere che sta in ognuno di loro e che aspetta a volte solo un invito sapiente.(…) Aveva il gusto sicuro della battuta fogorante che detta dal suo faccione imperturbabile faceva esplodere la classe in una risata improvvisa, come un colpo di frusta. (…)

    Incitava a essere leali con lui: non teneva conto di una insufficiente preparazione se lo studente gliela dichiarava spontaneamente prima della lezione. A chi si avvicinava alla cattedra per bisbigliare le sue giustificazioni, prestava a volte ascolto con gesto scherzoso, appogiando la mano all’orecchio e strabuzzando gli occhi per manifestare il suo stupore. Lo amavamo: di quel cupo Olimpo di numi da cattedra era il nostro buon Zeus.

    Erri De Luca, “Il Panello”.

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