Soletta, Stream of consciousness

Occasioni perse

Chiedo scusa a QUATTRO FIGLIE DELLA CINA, protagoniste dello stupendo libro documento di Jung Chang su un secolo di vita in quell’altrove così affascinante. Oggi avrei voluto dedicarmi a loro per gran parte della giornata. Invece sono stato appiccicato a questo monitor, dentro una giornata d’inferno. Ho installato, disinstallato, dato la caccia a terribili virus. Ho perso il mio tempo, e voi.

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Imago, Le storie di Scuolamagia

Nei cieli della 3ª C

AereoDa giorni ormai solca le pareti della 3ª C. Dalla sua pancia escono dei coloratissimi paracadutisti che rivitalizzano i muri  di Scuolamagia. Sono i personaggi che incontriamo ogni giorno: nei film, nei libri, negli articoli di giornale, nelle canzoni. Filosofi e cantanti, attori e narratori, giornalisti e pittori. Oggi – chitarra a tracolla – si è lanciata Paola Turci. Nelle scorse settimane è già toccato a Don Milani, Dino Buzzati e Antonio Albanese nelle vesti di Epifanio.

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

Nuotare stanca

Forse quella mattina, dalla torre, Ian Thorpe voleva guardare lontano.

Ma quel giorno era l’11 settembre 2001 e quella torre era una delle 2 Torri.

Poi il destino aveva voluto che dimenticasse la macchina fotografica in hotel e che corresse a prenderla.

E quello era il momento giusto.

Anche per capire che di guardare troppo lontano spesso non è proprio il caso.

Cinque anni dopo, l’uomo con l’aneddoto da raccontare ai nipoti più spettacolare e mostruoso che ci sia, smette di essere un fenomeno del nuoto e lo fa a 24 anni (appena compiuti!).

Nel paese dei dinosauri, dei perpetui e dei dinosauri perpetui è una notizia sconvolgente, anche se parliamo di sport e quindi di attività comunque “a scadenza” piuttosto ravvicinata.

 

Scrive oggi Emanuela Audisio, su “Repubblica”:

«Lo sport ti fa scivolare via su tante cose, ti fa surfare sui dolori, ti consegna calendari già confezionati, ti dice di fare lo squalo, di azzannare tutto in fretta perché il cronometro corre. Thorpe ha scelto un altro tempo. Il suo. Quello lento della libertà, quello dove ci si arena. Non vuole più accelerare, lucidare orgogli, mettere il costume in valigia. Meglio tornare a camminare sulla terra: e a inciampare.»

 

Stamattina a scuola ho colorato, spiegato, sgridato, giocato, vigilato sulle regole del gioco. Pensato che se un giorno tutto questo non mi desse quello che mi sta dando sarebbe bello avere il coraggio di smettere, di dire basta.

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Soletta, Stream of consciousness

Playlist: ENRICO RUGGERI

Giorni randagi (La parola ai testimoni). Semplice semplice, ma è un copione recitato da tutti i possessori di un’anima, prima o poi. La mia preferita e un po’ la mia vita.

Prima del temporale (Peter Pan). Raffinata, raffinatissima. “Sulla luce che ti abbaglia io ci metterò un foulard”. Servizievole e poeta, l’autore.

La giostra della memoria (La giostra della memoria). Una di quelle canzoni interpretate dalla Mannoia che gli autori han fatto bene a “riprendersi” per scaldarle un po’. Qualcuno, poi, ascolta.

Non è più la sera (Enrico VIII). Forse da adolescente mi colpiva che non fosse più la sera “da profilattici”, ci vedevo non so quale trasgressione. È una di quelle canzoni da Ruggeri, quelle che individuano uno stile, un’originalità. Chi altri potrebbe cantarla, e così?

Anna e il freddo che ha (L’isola dei tesori). Nonostante il testo zoppicante (è dura conciliare poesia e ferri da stiro), bel duetto rock con Andrea Mirò. “Se c’è molto rumore di sera, non si sente il respiro”. E cosa può far rima con “respiro”?

Quando i vecchi si innamorano (Domani è un altro giorno). Struggente e coraggiosa. Tornerà in voga, un giorno, nell’Italia a crescita demografica zero?

L’orizzonte di una donna sola (Oggetti smarriti). Difficile fare meglio, con parole pianoforte e chitarra. Canzone complessa, con un crescendo travolgente. Meriterebbe più considerazione, Ruggeri, viste perle come questa.

Post scriptum (La giostra della memoria). “Sono passati gli anni, veloci come rondini…”. Canzone bilancio, piccola piccola.

Incontro (Contatti). In un disco di cover, scelgo questa di Guccini che è indubbiamente una meraviglia. Musicalmente si poteva fare meglio, ma con un testo così è difficile non fare centro.  

Non finirà (Vai RRouge). Arpeggissimo sull’eternità dell’amore, memorabile la “commedia musicale di solitudini a Natale”. Capita di cantarla, appunto, ogni Natale.

Vivo da re (La giostra della memoria). Altro congegno musical-poetico piuttosto perfetto. Il rock dalla prima alla quinta (nel senso di marce). Se poi capita di avere una faccia discretamente bianca…

Vecchia Europa (Champagne Molotov). Un mio ricordo del Liceo, cantata per le strade di Praga. Tra allusioni a Nietzsche e un’atmosfera un po’ punk. 

Rien ne va plus (Difesa francese). Dice di non credere al coup de foudre, il buon Ruggeri, e che “l’amore occupa i capillari molto lento / mediando la ragione con un nuovo sentimento”. Vagamente asettico, forse, ma se uno fa lo chansonnier… E poi: “cambiano le donne insieme alle stagioni / e allevano bambini che inseguono aquiloni / e il musicista ancora le rincorre con nuove canzoni…”.

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Tutte queste cose passare

Life is now?

L’uomo che entra a Scuolamagia è un uomo di 55 anni che lavora e bestemmia sodo. Da trent’anni si occupa di telefoni che non telefonano, porta e taglia linee telefoniche. Vent’anni fa sulla sua portiera c’era scritto Sip, oggi c’è scritto Telecom. La portiera è la portiera di una Panda, la stessa di 20 anni fa. Mentre aspetta che dal quartier generale attivino una linea ISDN, mi fa vedere un supertelefonino ipertecnologico che i miei cuccioli strabuzzerebbero gli occhi. Ingenui, è uno strumento di morte. Quel marchingegno ha deciso che il lavoro nella mia scuola dev’essere fatto in 2 ore, spostamenti inclusi. Gli imprevisti non sono previsti. Poi, quaranta minuti per raggiungere il prossimo guasto, e mezz’ora per porvi rimedio. E dopo? Chi lo sa, sarà il display a sancirlo. Dopo 30 anni di lavoro, ecco il traguardo: essere pilotato da un computer a spasso per un’immensa provincia, 150 km in media al giorno, da nord a sud, da est a ovest. La gente vuole connessioni veloci e linee che si sdoppiano. Le vuole subito, le vuole adesso. La Panda rossa è già in moto, le mani sul volante sono quelle di un pilota di rally. Mentre fa manovra, un ragazzino centra con un tiro sbilenco il suo specchietto, che si piega. Cose da ricreazione, che succedono. Non fa una piega, non se ne accorge. Il display è indulgente e non prevede rampogne a marmocchi maleducati.     

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Soletta, Stream of consciousness

Playlist: ROBERTO VECCHIONI

Millenovantanove (Bei tempi). Canzone dell’infinita malinconia. Uno può non saperne nulla delle Crociate, i personaggi vecchioniani soffrono drammi fuori dal tempo. E l’idea che qualcuno possa essere geloso di Dio: meravigliosa. “E Dio e Dio, però la sera ti baciavo io…”

Waterloo (Club Tenco). Idem come sopra: i grandi momenti della Storia e i piccoli istanti di ogni minuscola storia. Meglio i secondi.

Pagando s’intende, canzone degli effetti sbagliati (Elisir). Geniale il dialogo con la voce femminile: rapidamente venne inverno / di’ qualche cosa di più serio / forse qualcosa muore dentro / di’ qualche cosa di più vario…

Figlia (Elisir). Preferire che una figlia non sia felice di una felicità finta e borghese. Preferirla contro, finché le lasciano la voce. Un manifesto, un verso che non ho mai capito come possa essere così poetico e contemporaneamente così politico.

Angeli (Blumùn). Poi dopo tanti anni ho saputo che parlava di scuola, di ragazzi. Mi trascinava già via con sé, nel suo ritmo. Adesso che lo so, di più.

Ciondolo (Montecristo). Più che una canzone, un romanzo. Una canzone che pochi sanno a memoria, ma che è meraviglioso sapere a memoria. Una canzone che oggi qualsiasi discografico ti impedirebbe di fare.

Madre (Montecristo). Stupendo eufemismo: “hai sognato sotto un uomo e questa forse non te la perdono”.

Tommy (Per amore mio). Una volta in concerto disse che era tutto vero, che il dentista che tira la corda al cielo è davvero esistito e che lui non ha davvero fatto in tempo, in quella notte impossibile per la neve. Poi l’ha cantata e si è messo a piangere. Era il concertino di provincia, non c’erano le telecamere del Festivalbar.

Pesci nelle orecchie (Ipertensione). I pesci come pregiudizi dentro un’altra canzone manifesto. E che dolce quel “na na na”.

Sabato stelle (Il re non si diverte). Pezzo raro e teatrale.

Sogni d’oro (Ippopotami). Nel disco suo meno apprezzato (ma da me sì), una ninna nanna per adulti.

Dentro gli occhi (Hollywood Hollywood). Canzone di cui esistono 4 o 5 versioni e non c’è verso che peggiori. Come fa a essere così dolce un brano dove si accenna a delle Land Rover e a degli episodi risorgimentali? Non so, probabilmente è un incantesimo.

Sestri levante (Hollywood Hollywood). Ballata malinconica attorno ad un addio. Ma i personaggi sono molteplici: i soldati, la luna, il granchio di sabbia, i figli…

Il castello (Calabuig, Stranamore e altri incidenti). Trasposizione de Il mantello di Buzzati. Sembra fatta apposta per un’attività didattica e infatti io ogni anno…

Ninni (Calabuig, Stranamore e altri incidenti). Incontrare se stessi e la propria famiglia 20 anni dopo, come in un racconto di Borges (l’ho cercato, si chiama L’altro, non mi è piaciuto). Non credo sia stupenda per la postmodernità del tema, ma perché tutti prima o poi siamo stati Ninni per qualcuno, più spesso per una madre.

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Soletta

Dichiarazione d’intenti

Ho apprezzato e condiviso il libro di Luca Sofri: Playlist. Mi rendo conto che quello che sto per fare non è originalissimo, ma anch’io come l’arguto giornalista e blogger ho nostalgia dell’arbitrio magico del registracassette. Era tutta una faccenda di scelte: dalla cassetta nel supermercato (TDK? Sony? Maxell?), ai tempi (46 minuti? 60? 90?), alle canzoni, all’ordine delle canzoni. E poi scrivere i titoli a mano, meglio o peggio in proporzione all’importanza del destinatario della compilation. Alcune plastiche scatoline di musica e parole ce le ho ancora davanti, con i più o meno espliciti messaggi che portavano con sé.

Ho deciso che ogni domenica vi regalerò una playlist originale. Un po’ come l’anno scorso su Pozzanghera si pubblicavano quadri e fotografie d’autore.

Comincio con il cantautore che più mi ha segnato, ed è relativamente facile.

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Soletta, Stream of consciousness

Un mare di nulla

Chissà se mi hanno mai capito, quelli che mi hanno aspettato per ore dentro o fuori da una libreria? Se mi hanno guardato muovermi tra gli scaffali. E toccare, e sfogliare. Avranno visto la rabbia del gironzolare nervoso, il giorno in cui nessuna copertina ti conquista. Avranno visto l’innamoramento lento per ultima uscita, per la nuova ristampa. Avranno visto il colpo di fulmine per pagine tanto attese.

È uscito il nuovo romanzo di Ugo Riccarelli, quello del Dolore perfetto. Nel negozio meglio organizzato, dove tutto è ordinatamente riposto e opportunamente segnalato, mi aspettava discreto dietro la sua favolosa copertina. Un mare di nulla, Mondadori, 16,50 euro. Potevano anche essere 40,00. 

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Soletta, Stream of consciousness

Il suono perfetto

Ho ascoltato per una mezz’oretta Samuele Bersani in un’intervista-concerto alla Tv. Il bravo cantautore rievocava a malincuore i tempi in cui il più “figo” era senza dubbio quello che aveva l’hi-fi. La ricordo anch’io, quell’epoca fatta di casse grattacielo e di cavi che facevano la differenza (una leggenda metropolitana diceva che quelli di un mio vecchio insegnante, raffinato cultore di musica classica, fossero addirittura d’oro!). C’era l’idea che l’impianto migliore nascesse “ibrido”, con il lettore CD di quella marca, la migliore, gli amplificatori di quell’altra, il Top, ecc. Non c’ho mai capito molto, in verità, di queste cose, ma ho ancora davanti quel tizio che mi faceva notare come quel magico fruscio delle percussioni nella tal canzone, uscito dalle sue casse totemiche, a casa mia avrei potuto scordarmelo. La canzone, infatti, la so tuttora a memoria, il fruscio non l’ho mai più sentito. Notava, Bersani, come questa “scuola di pensiero” sia miseramente – e in un battito di ciglia, questo è il punto! – scomparsa. Le sue canzoni fuoriescono oggi dagli altoparlantini dei pc portatili o passano attraverso le cuffie degli ipod. Gracchiano e suonano metalliche, e ad un certo punto un segnale acustico si intromette a ricordare l’avvenuta acquisizione di un nuovo freddissimo file scaricato. Poi si è alzato, Samuele, e ha cantato una sua canzone stupenda che il mio computer sta in questo momento indegnamente maltrattando. E io – maledizione! – a tutta questa imperfezione mi sto lentamente abituando…

 

«Con l’inflessione dialettale che ho

ti posso ipnotizzare, sono un traditore.

Sarò la causa di ogni allucinazione

una specie di dirottatore di tapis-roulant

comperati di notte al telefono.

La solitudine no che non è un affare, ti fa credere di risparmiare

e invece non è che uno sperpero

di stagioni inutili

e di anni andati via

davanti a un calendario

e la colpa è soltanto mia.»

 

Samuele Bersani

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Imago, Le storie di Scuolamagia

Luno

A Scuolamagia stasera si inaugurava la mostra sui giorni dell’alluvione del 1966. È stato bello parlarne in classe, fare una ricerca CONCRETA, senza internet e enciclopedie. Meno piacevoli sono questi momenti un po’ appiccicosi e retorici. Indispensabili, mi dicono, ma fosse per me… Fuori dalla sala in cui si stava svolgendo il cerimoniale dell’inaugurazione splendeva un’incredibile luna. L’ho raggiunta e lì ho trovato alcuni cuccioli anch’essi sensibili a quel richiamo. Una specie di fuga clandestina, la nostra, e inconsapevolmente simultanea. Sotto la luna, che i cuccioli nella loro lingua meravigliosa chiamano “luno”, abbiamo abbaiato un po’ e poi siamo volati via.

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