Soletta, Stream of consciousness

Playlist: ROBERTO VECCHIONI

Millenovantanove (Bei tempi). Canzone dell’infinita malinconia. Uno può non saperne nulla delle Crociate, i personaggi vecchioniani soffrono drammi fuori dal tempo. E l’idea che qualcuno possa essere geloso di Dio: meravigliosa. “E Dio e Dio, però la sera ti baciavo io…”

Waterloo (Club Tenco). Idem come sopra: i grandi momenti della Storia e i piccoli istanti di ogni minuscola storia. Meglio i secondi.

Pagando s’intende, canzone degli effetti sbagliati (Elisir). Geniale il dialogo con la voce femminile: rapidamente venne inverno / di’ qualche cosa di più serio / forse qualcosa muore dentro / di’ qualche cosa di più vario…

Figlia (Elisir). Preferire che una figlia non sia felice di una felicità finta e borghese. Preferirla contro, finché le lasciano la voce. Un manifesto, un verso che non ho mai capito come possa essere così poetico e contemporaneamente così politico.

Angeli (Blumùn). Poi dopo tanti anni ho saputo che parlava di scuola, di ragazzi. Mi trascinava già via con sé, nel suo ritmo. Adesso che lo so, di più.

Ciondolo (Montecristo). Più che una canzone, un romanzo. Una canzone che pochi sanno a memoria, ma che è meraviglioso sapere a memoria. Una canzone che oggi qualsiasi discografico ti impedirebbe di fare.

Madre (Montecristo). Stupendo eufemismo: “hai sognato sotto un uomo e questa forse non te la perdono”.

Tommy (Per amore mio). Una volta in concerto disse che era tutto vero, che il dentista che tira la corda al cielo è davvero esistito e che lui non ha davvero fatto in tempo, in quella notte impossibile per la neve. Poi l’ha cantata e si è messo a piangere. Era il concertino di provincia, non c’erano le telecamere del Festivalbar.

Pesci nelle orecchie (Ipertensione). I pesci come pregiudizi dentro un’altra canzone manifesto. E che dolce quel “na na na”.

Sabato stelle (Il re non si diverte). Pezzo raro e teatrale.

Sogni d’oro (Ippopotami). Nel disco suo meno apprezzato (ma da me sì), una ninna nanna per adulti.

Dentro gli occhi (Hollywood Hollywood). Canzone di cui esistono 4 o 5 versioni e non c’è verso che peggiori. Come fa a essere così dolce un brano dove si accenna a delle Land Rover e a degli episodi risorgimentali? Non so, probabilmente è un incantesimo.

Sestri levante (Hollywood Hollywood). Ballata malinconica attorno ad un addio. Ma i personaggi sono molteplici: i soldati, la luna, il granchio di sabbia, i figli…

Il castello (Calabuig, Stranamore e altri incidenti). Trasposizione de Il mantello di Buzzati. Sembra fatta apposta per un’attività didattica e infatti io ogni anno…

Ninni (Calabuig, Stranamore e altri incidenti). Incontrare se stessi e la propria famiglia 20 anni dopo, come in un racconto di Borges (l’ho cercato, si chiama L’altro, non mi è piaciuto). Non credo sia stupenda per la postmodernità del tema, ma perché tutti prima o poi siamo stati Ninni per qualcuno, più spesso per una madre.

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Soletta

Dichiarazione d’intenti

Ho apprezzato e condiviso il libro di Luca Sofri: Playlist. Mi rendo conto che quello che sto per fare non è originalissimo, ma anch’io come l’arguto giornalista e blogger ho nostalgia dell’arbitrio magico del registracassette. Era tutta una faccenda di scelte: dalla cassetta nel supermercato (TDK? Sony? Maxell?), ai tempi (46 minuti? 60? 90?), alle canzoni, all’ordine delle canzoni. E poi scrivere i titoli a mano, meglio o peggio in proporzione all’importanza del destinatario della compilation. Alcune plastiche scatoline di musica e parole ce le ho ancora davanti, con i più o meno espliciti messaggi che portavano con sé.

Ho deciso che ogni domenica vi regalerò una playlist originale. Un po’ come l’anno scorso su Pozzanghera si pubblicavano quadri e fotografie d’autore.

Comincio con il cantautore che più mi ha segnato, ed è relativamente facile.

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