Soletta

Recensione in ginocchio

Trattasi di recensione in ginocchio, premessa inevitabile. C’è un disco che mi fa perdere la testa. Arrivato nel momento più opportuno. Ci sono giorni in cui ho bisogno di belle canzoni come di acqua. Giorni in cui ho bisogno di cantare e di pensare al canto degli altri. C’è un punto nella vita in cui uno ha voglia di sentire avvolte da un suono bellissimo parole come “Che nessuno la baci / la tua faccia bianca di cera / e che il tempo migliore / ti accompagni la sera”. Oppure: “Tagliano i denti tagliano / parole di vetro e i pensieri si sbagliano / tu scrivimi dall’ombra di un foglio…”. E allora ecco che arriva l’album dell’esordiente che sembra l’album del veterano all’apice dell’ispirazione. Un disco compiuto come un macramè, un anime salve, un rimmel. E la cosa più bella è che sembra non essersene accorto nessuno, la rivista, il settimanale, la pagina degli spettacoli del grande quotidiano. Tutti tacciono e allora si fa strada l’idea che sia un miracolo tutto per me e per chi voglio io. Ma anche – paurissima! – che possa sciogliersi e scomparire d’un tratto – sortilegio! – il rosso disco di Giua.

Giua2

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Soletta

Mare

C’è il libro di una giovane scrittrice albanese, c’è quello con le favolette matte e improvvisate di un papà alla sua bimba. C’è il fumetto Shenzen di Guy Delisle, c’è un’altra biografia di Andrea Pazienza. Ci sono le poesie di Sandro Penna, riprese in mano dopo tanto tempo grazie a una ragazzina che nemmeno conosco. Ci sono le 50 storie noir di Cesare Fiumi, il mio giornalista preferito di quando scrivevo la tesi. C’è l’interessantissimo saggio sul teatro sociale. Ci sono le poesie e i racconti di Gian Luca Favetto che forse tra qualche giorno incontrerò a Topolò. Chi mi cerca sappia che è estate e sono al mare. Un mare di libri.

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Stream of consciousness

26.06.1957

Quanto sono lunghi 50 anni?

50 anni sono la distanza che separa un ragazzino di quindici anni che sta tagliando l’erba in un prato una mattina di giugno e il prato è un prato scosceso e il ragazzino che è già un ometto e sa fare tutto ad un tratto scivola e ricade pesantemente sulla lama della falce con la mano e sulla mano la sua mano vede un taglio profondo e sangue tantissimo sangue e allora corre e raggiunge il paese la gente le persone e quello con la macchina che lo porta all’ospedale ma è passato già del tempo prezioso e poi siamo nel 1957 ed un ospedale di provincia è quello che è e non si va troppo per il sottile e quelli si vede lontano un chilometro che non sanno che cazzo fare e allora ti aprono una gamba (perché la gamba diosanto: la mano!) una gamba per prendere un pezzo della gamba e sistemarlo lì tra il pollice e l’indice anche se la mano non sarà più la stessa e non potrà più stringere le cose come prima e afferrare gli attrezzi di un lavoro che sarà fatto di attrezzi pesanti da afferrare e tenere un volante o un bambino in braccio no il bambino potrà sì che potrà me lo ricordo ché quel bambino son io e ci son stato ore e giorni stabile e sicuro arrampicato su quelle braccia forti fortissime mai pensato di cadere da lassù da un uomo che lancia uno sguardo al calendario e chiosa così la discussione sul piccolo problema di martedì 26.06.2007: “beh, 50 anni fa le cose andavano decisamente peggio…”.

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Soletta

Si vede

Da questa finestra si vede il viale lungo e in fondo al viale il semaforo da dove tu arrivi a casa. Anche se c’è la nebbia si vede, o lo smog, o la polvere alzata da tutte le cose che passano qui sotto in continuazione.

Si vede l’autobus, ventinove rosso, e io lo prendo poco volentieri, da quando tu non mi accompagni più al lavoro tutti i giorni, perché hai cominciato a dire che il giro è lungo e arrivare tardi non conviene proprio.

Si vede il bar di Nando, dove ci siamo conosciuti e non ricordo neanche bene come, perché mi si è perso tutto dentro il tempo che ho nella mia mente, tempo che ognuno ha diverso, anche nei momenti uguali della giornata. Diverso e strano.

Si vede la gente fuori dal bar, adesso che è estate, a parlare del pallone, tutta la brava gente dalle idee ben chiare sulla formazione, sulla politica fatta a pezzi, e sul padrone. Si vede anche da lontano che non sanno cosa fare e hanno tempo da passare a far commenti sulle donne e sulle cose che passano, se passano. Le donne e anche le cose.

Si vede la bicicletta che mi hai regalato, legata al palo del divieto con una catena, che non la freghino come hanno fatto ad Arturo. Si vede anche la casa di Arturo, con lui dietro la finestra a sbirciare, per vedere se io lo vedo, perché ancora credo che mi voglia bene e si vede che guarda male la bici che tu mi hai regalato. La odia, attaccata com’è al palo.

Si vede l’alimentari dove vado sempre, ma compro meno roba e vado solo, perché tu vieni su di meno e adesso non mi porti tutti i giorni in macchina al lavoro.

Si vede la tua macchina che arriva dall’incrocio, fino qui sotto dentro il parcheggio. Si vede che posteggi e scendi, bello, lanci uno sguardo alla finestra per vedere se ti vedo, se vedo i calzoni che ti ho regalato, la stessa mia misura, uguali ai miei, presi al supermercato.

Si vede che parli con Nando del bar, che asciuga le sue mani sul grembiale e parla con te che ridi, sembri felice, con la risata forte e sembra tutto uguale.

Si vede che saluti, ti fermi, ti guardi ancora un poco attorno prima di salire, e poi cammini verso casa, dove staremo insieme.

Si vede che cammini, verso casa e anche da come cammini si vede che non mi vuoi più bene.

 

Ugo Riccarelli, Pensieri crudeli

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Le storie di Scuolamagia

Sociologia del cartone animato: Mighty Atom & Emily the Strange

A margine delle lunghe riunioni tra professori, nei giorni degli esami, ho captato i soliti discorsi tranchant sugli adolescenti di questo inizio secolo: sono fannulloni, trovano sempre la pappa pronta, noi quei voti ce li dovevamo sudare. Io da tempo penso invece che il vivere dei 12-13-14-15-16…enni sia più facile solo in apparenza, se non addirittura più difficile. Perché il mondo squadernato davanti ai loro occhi è tremendamente più complesso di quanto non lo fosse quello squadernato davanti ai miei. Faccio un esempio, usando i cartoni animati. L’infante titolare della Pozzanghera amava il robottino Astroboy, il quale – creato in un Giappone postbellico decisamente ravveduto – era la quintessenza del Bene, era inequivocabilmente dalla parte giusta. Spaccava tutto, da buon eroe poderoso, ma la causa era sempre una “giusta causa”.

Clothing and Accessories Astroboy Wallet (black & white)

Ecco, Astroboy piace anche ai miei alunni, anche se lo possono conoscere soltanto tramite i miei racconti, una vecchia sigla nell’mp3, qualche video di YouTube. Però ai miei alunni piace anche Emily.

Un marchio più che un vero personaggio, e già questa è una bella differenza (è nata prima la maglietta con la scritta o la scritta sulla maglietta?). Emily, dice wikipedia, è un’adolescente disincantata, si dimostra piena di depressione esistenziale (!!!!!!), è aggressiva, anche verso chi la ama (!!!!!!!!), parla spesso di morte (!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!) e augura a tutti “felici incubi”, è avida e fa pagare gli sgarri. Ecco, leggere e interpretare tutto questo non dev’essere una passeggiata. Perché magari il quaderno da cui Emily ti guarda da sotto la frangetta corvina te l’ha regalato proprio la zia che ti raccomanda di comportarti bene e aiutare il prossimo tuo amen. Soltanto un esempio, moltiplicatelo per quanto volete e pensate – se avete l’età – a quando eravate piccoli e il bianco era bianco e il nero era nero, il rosso era…

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Le storie di Scuolamagia

Amuleti

Io li ho sempre visti un po’ come quattro fratelli, i miei alunni classe 1993. Mai dovuto far nulla per unire, avvicinare, mettere in relazione. Sono arrivato ed era già tutto pronto, bastava partire. E mai una volta mi sono sentito inascoltato. Ieri, dopo l’ultimo atto, mi han fatto capire che vogliono che li porti sempre con me.

Morellato

E poi ci sono le coincidenze.

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Tutte queste cose passare

Naturalezza

Mentre Jin Xing raccontava serafica e luminosa la sua vita in bilico tra i generi, il suo essere stata UN ufficiale dell’esercito della Repubblica popolare e successivamente LA ballerina cinese più famosa del mondo, il suo rincorrere e raggiungere un’agognata identità oltre gli steccati delle carte d’identità…

…suo figlio adottivo di 7 anni smanettava impaziente e un po’ assonnato tra le leve del mixer. Che palle, quanto parla stasera la mamma…

Con la stessa naturalezza con cui tre quarti dei miei connazionali giudicherebbero tutto questo “contro natura”.

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Tutte queste cose passare

Impaginazione

Singolare e rivelatrice, pag. 25 di “Repubblica”. Oggi. Convivono nell’impaginazione una notizia e una pubblicità, metà spazio per ciascuno. La notizia: “Lampedusa, strage di immigrati. In mare 14 corpi di clandestini”. La pubblicità: “Repubblica e L’Espresso presentano la guida ufficiale di SECOND LIFE”.

Nelle immagini 15 africani stipati su una bagnarola, sopra, l’avatar bianca e tettuta con le braccia come ali, sotto.

Ché nel mondo virtuale si può volare, ché nel mare virtuale non si affonda.

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Le storie di Scuolamagia

Il Malincuore

Confesso che qualche pregiudizio, nei confronti di quella Prof., lo nutrivo eccome. Sarà stato l’aspetto severo, sarà stata la voce ferma e autoritaria: sarà che spesso noi Nuovi Prof. Maoisti Dadaisti Esistenzialisti Donmilaniani Cuccuruccucù Paloma mettiamo lì giudizi un po’ affrettati, leggendo tutto con le nostre appannatissime lenti.

Oggi ho lavorato al suo fianco, correggendo i compiti in classe dell’esame. Io 4 elaborati, lei 23. Ce n’è già abbastanza perché mi odi, pensavo. E invece no. E invece m’ha dato una sberla di lezione, sulla passione e sull’amore per questo mestiere. Perché quei fogli di protocollo la emozionavano, tanto, davvero. «Senti questo cosa scrive…».  «Leggi che carina, sta frase…». «Ma no Denis, non così, quante volte ti devo dire che non si scrive così…». E chissà dov’era, Denis, a quell’ora. E più segni rossi piazzava su quei fogli, colorandoli, più mi ricordava quanto sono imprevedibili, e originali, e sorprendenti sempre, i ragazzi. E leggeva  e leggeva, fedele nei secoli al Mestiere, e ogni tanto le toccava arrendersi alla deregulation del Vocabolario: «Niente da fare, ha ragione il ragazzino: si può dire anche VALIGIE».

Rideva, rideva tanto. Ma mi è sembrata anche commuoversi, quando la ragazza nella seconda facciata – descrivendo la gita a Caporetto, e il camminare tra le trincee della Prima Guerra Mondiale – ha confessato sincera… “mi è venuto il malincuore”.      

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Le storie di Scuolamagia

Una patata

Anche a Scuolamagia Angelina recitava benissimo. Nelle mie “regie”, in 3 anni, le ho fatto fare la bambolina meccanica, la maratoneta, la soldatessa americana e la showgirl russa. La parte più bella, però, forse è stata quella della zingara di strada, homeless, e lei c’era entrata così tanto da mangiare in scena le bucce dei mandarini.

E cosa ho pensato quando ho saputo che anche alle Superiori si era iscritta ad un gruppo di teatranti, continuando a camminare sopra quel filo sospeso? Eh…

E cosa ho provato, quando nella scena finale dello spettacolo di ieri sera, replicato e applaudito un po’ ovunque in regione, gli attori sono scesi tra le poltroncine del teatro per consegnare al pubblico un esemplare dell’oggetto ortofrutticolo di cui – tra le tante cose – il testo rappresentato parlava… e lei ha cercato proprio me, nella penombra, e mi ha raggiunto, perché dalle sue dita quell’oggetto scivolasse ruvido e peloso nelle mie mani piccole emozionate commosse tremanti?      

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Tutte queste cose passare

Che cosa cambia sapere di chi era incinta una moglie picchiata e poi uccisa dal marito?

…si chiede Daria Bignardi in queste righe piene di compassione e rispetto. Cambia, verrebbe da rispondere. Cambia eccome, però bisogna provare a guardarla da un’altra angolazione, la storiaccia. Provando ad immaginare che questa donna prigioniera del peggiore dei carcerieri sia riuscita a trovare, dentro una vita che era buia come una morte, lo spiraglio di libertà per innamorarsi di un altro uomo, riuscendo chissà come a credere che possa esistere “un altro uomo”, un uomo diverso. E allora facciamole, quelle analisi. Incrociando le dita sperando ci sia stata per Barbara una notte d’amore, di passione e di rispetto. E facciamole magari anche un po’ per vendetta, per regalare al mostro le corna postume. E facciamole magari solo per scoprire che c’è al mondo qualcuno che continuerà a voler bene – come un padre – a quella bimba mai nata.

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Le storie di Scuolamagia

Come un piumaccio

Piumaccio2

Ad ognuno dei quattro ragazzi che domani alle 8.00 andrò a cercare («oh, gente, si comincia…») per l’ultima volta, e con i quali domani sera griderò merda merda merda in un camerino improvvisato, non potevo non regalare – insieme all’ormai solito libro – l’oggetto simbolo di quest’anno scolastico. Il souvenir dalla Cina che ha percorso chilometri e chilometri del cielo della classe, ha impattato planisferi, sfiorato facce, fatto passare più in fretta certo tempo infinito…

La dedica dice così: «a *********, perché tu possa, proprio come un piumaccio, essere colorata/o, VOLARE e cadere sempre in piedi».

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Le storie di Scuolamagia

“A volte un po’ sopra pensiero in qualche foglio in qualche cielo non riesco a disegnar le stelle…”

Mi succede di applicare in classe didattiche maoiste. Capita che ad un certo punto della lezione – di storia, di geografia – io dia un segnale (generalmente un battito di mani) al quale gli alunni rispondono passando il proprio quaderno al compagno seduto alla propria destra (meglio: sinistra… se abbiam detto che la tecnica è maoista…) e così via di seguito creando un ciclico scambio in cui tutti scrivono almeno una volta sul quaderno di tutti. Il disordinato sente una responsabilità che tra le sue pagine generalmente ignora e dà il meglio di sé; il perfettino esce dalla routine perfettina del suo supporto cartaceo perfettino e continua a prendere appunti con rinnovata umiltà (vedete che il maoismo c’entra?).

Qualche giorno fa i quaderni stavano girando già da un po’ quando l’alunno C., entrato in momentaneo possesso del quaderno dell’alunna N., sobbalza e mette lì una faccia contrita e sofferente. La brava e ordinata N., infatti, sta realizzando il breve elenco puntato oggetto della lezione utilizzando, al posto dei tradizionali pallini o trattini… delle simpatiche stelline.

Ecco, confessa C., ecco, io, ehm… Cresce l’imbarazzo, l’ansia morde feroce. Io… Tu? Io… Tu? Io… Io non so fare le stelle. Non le so disegnare, piccole e grandi, mai stato capace. N. dolcemente ride, io stempero, gli altri rincuorano ma intanto dimostrano sul foglio che loro sì, loro sanno. Che si fa così. Che è semplice.

Caro C., tranquillo, ti insegno io a disegnare le stelle. Non faccio altro dalla mattina alla sera, si può dire. Lassù in alto, sempre più lontano dalla realtà, sempre più perso. Ci penso io, a farti vedere come si fa… e se ti tremerà la mano non avere paura, con un tratto di matita basta fare un filo che scende verso il basso e disegnare un prato, un fiore, un sasso…  

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Soletta, Stream of consciousness

Le catene di Irene

Irene io per davvero non l’ho mai conosciuta. Forse m’ha detto ciao, una volta, mentre uscivamo dalla lezione di Storia del Teatro, all’Università. Irene era bionda, senz’averne l’aria, alta magra e serafica sempre. Oggi fa l’attrice e un paio d’anni fa ha scritto pure un libro. Un libricino, sembra un Bignami, con dei raccontini tanto veri. Dico solo “Irene”, perché se un giorno giocando a cercarsi su Google dovesse trovarsi qui, nella pozzanghera, mi vedrei costretto ad abbassare gli occhi come il giorno che m’ha detto ciao.  

 

«Nacqui in autunno, che di per sé è già una sfiga.

Mi battezzarono in pieno inverno, nevicava.

La primavera m’affatica, solo l’estate mi risana!

La vita è strana, non si decifra… come una trottola dai mille colori, oggi consola, domani ti sbrana.

La vita, la vita… quella roba che vola… quella roba trasparente…

Ti prende la faccia e te la rende rugosa, ti prende lo sguardo e te lo sposta indietro, 100 kilometri prima, ti prende sto corpo e… mica te lo rassoda!!

No!

Forse per questo più passa il tempo e più la cellulite non mi dà tregua!! Ahiahiahiai… Paloma!

Compio trent’anni… e non possiedo niente, a parte i ricordi…

Non ho casa, non ho marito, non ho figli, non ho cani, gatti, pesciolini rossi…

Faccio fatica…

Mi guardo allo specchio e mi pare sempre di vedere qualche altra cosa… chiamo Maria, la mia coinquilina, e le chiedo se le sembro normale, lei dice che no… che mi aiuterebbe molto il fatto di “PRATICARE”, come i buddisti giapponesi o i monaci zen, i tibetani… io la ascolto con moltissima attenzione, mi faccio spiegare, accendo incensi, ce la metto tutta…

Poi però…

Proprio quando la mia pratica zen sta per cominciare… ogni volta suona il cellulare!!

Maria Maria Maria mia! Non sarò mai un samurai! Sarò sempre confusa!

Cercherò sempre di liberarmi dalle mie catene inesistenti, così psicologicamente pesanti!!

E allora sarò patetica, sarò banale, sarò scontata, noiosa, un poco deficiente… inutile, perdente, moralista, cagacazzi, petulante… però mi chiedo… mi chiedo… mi chiedo… per dio… per budda o chissàchi…

E se fosse? …l’amore? …la soluzione?»

 

Irene S.

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