Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Aura

La prima  volta ero in seconda liceo. La Prof. mi chiede di leggere un capitolo dei Promessi sposi e sono costretto a dirle che proprio non posso. In realtà da qualche minuto sto pensando che tutto sia finito. La giovinezza, la vita, tutto.

Poi ci sono state tutte le altre volte.

La volta prima dell’esame di maturità, a causa dell’esame di maturità.

La volta a Trieste, davanti all’università, e lì la colpa son sicuro che era del vento.

La volta prima dell’esame di Storia delle dottrine politiche.

La volta prima di dare Storia dell’arte veneta.

Le volte al sindacato, quand’ero un obiettore di coscienza.

La volta che mi sono svegliato e ho detto non è possibile, succede anche nel sonno.

La volta che avevo appena fatto gol ed ero pure tutto fiero del gol che avevo fatto.

La volta che in classe stavo parlando di commercio equo e di sperequazioni economiche planetarie.

La volta che stavo suonando e cantando una canzone di Guccini, da allora mai più nemmeno ascoltata.

[Poi ho conosciuto G. e ho scoperto che succedeva anche a lei. E succedeva forte. E succedeva a scuola, perché io di G. ero il professore di italiano, storia e geografia. G. che sotto il banco aveva il “quaderno dei mal di testa”, diario delle sue cefalee auree. Capitava di vedere i suoi occhioni riempirsi di lacrimoni pesanti, e di notare come – esattamente come nel mio caso – non trovasse le parole per dirlo, quello che le stava accadendo. Uscivamo dall’aula, cercavo per lei il posto più adatto, comodo e buio. E silenzioso. Telefonavo alla famiglia e mi sedevo al suo fianco. Le tenevo forte la mano, le accarezzavo la fronte, le asciugavo le gocce dalle guance. Cercavo di distrarla con le parole, la portavo lontano colle parole. Una volta mentre la accudivo così m’ha detto lo sa che lei per me è come un padre? No, G., non dire cazzate, sono solo uno che c’è passato prima di te. No, insisteva, lei per me… No, G., no… E giù a discutere… Sì, no, sì, no… benissimo, intanto passavano i minuti, la mamma si avvicinava e si raggiungeva la soluzione compromissoria: fratello maggiore e non ne parliamo più.]

La volta che era ieri. E la tastiera del telefonino non ha più voluto dirmi che ora fosse. E si è sdoppiata, si è persa tra bagliori e brillamenti sempre gli stessi, sempre inequivocabili. Per un’oretta, poi passa, poi capita di salutare certe fitte nella testa come una liberazione. So che c’è chi ne soffre e la sa vivere come una semplice emicrania. Io esagero, lo ammetto, e sto in ansia per almeno un mese, dopo…

Ecco, questa sarà la volta che dopo ho fatto un post.

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