Le storie di Scuolamagia, Soletta

Perdere il nome delle cose

Nella pluriclasse 1ª – 2ª ci stiamo ancora studiando. Oh, sia chiaro, niente PROVE D’INGRESSO. L’unica volta che ho consegnato una di quelle fotocopie da crocettare l’ho raccolta prima del tempo chiedendo ad ogni alunno, antonioalbanesemente, “scusa, veramente scusa”. No, parlo di quel guardarsi occhi negli occhi, quel reciproco capire fino a dove ci si potrà spingere. Tra un po’ i nuovi arrivati si affezioneranno e paradossalmente prenderanno a darmi del lei. Per ora, come con la maestra, è tutto un dimmi-dammi-sai? Oggi alla quarta ora si trattava di leggere. Per me si trattava in realtà anche di capire a che punto stiamo con la tecnica, per loro di rompere il ghiaccio, con l’indice puntato sulla riga e la paura piccola di impappinarsi.

Mi sono detto: è la prima volta, perché rischiare che si stabilisca subito quell’odiosa gerarchia che separa i lettori rilassati affidabili sicuri di sé scorrevolissimi dai tentennanti tremolanti sbavanti strafalcionanti? No, oggi si sbaglia tutti. Mi sono ricordato quindi di un raccontino di Stefano Benni che è un vero e proprio campo minato. Io sono riuscito a fare i miei rilievi da insegnante, ho letto e sbagliato divinamente; loro hanno regalato all’eco della stanza risate squillanti, guance rosse e occhi che così un adulto se li è scordati da un pezzo.

 

Ci provi anche tu, lettore? Ad alta voce. Se arrivi in fondo senza un errore scrivi un commento e complimenti. (Però purtroppo non avrai riso…)

 

C’era un oshammi shammi che viveva in una wesesheshammi in cima a un wooba.
Venne una notte un oogoro e disse all’oshammi shammi:

– Shimì non voglio né la tua corona né il tuo bastone, voglio la tua shammizé.
– De shimite deé – rise l’oshammi shammi – cerca pure. Se vedi qua nella weseshe la mia shammizé, prendila pure.
L’oogoro frugò in lungo e in largo tutta la wesesheshammi e alla fine vide una woolanda e trionfante gridò: – Shimì, eccola qui l’ho trovata.
– Sei furbo come il tsezehé dalle lunghe orecchie – disse l’oshammi shammi – l’hai trovata ed è tua.
L’oogoro corse giù dalla wooba cantando e ridendo: – Ho una shammizé! Per tutta la vita shimideé, avrò una shammizé!
Sulla strada incontrò un vecchio woorogoro. – Shimì woro ti piace? – disse l’oogoro – guarda ti piace la mia shimmizé?
– Woof – disse l’orogoro – stupido come uno tsezehé! Non vedi che quella che tieni tra le braccia è una woolanda?
Alla luce della luna l’oogoro guardò bene, vide il suo errore e se ne andò tzuke shimite no shimé, triste come chi ha perso il nome delle cose.

 

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2 thoughts on “Perdere il nome delle cose

  1. utente anonimo says:

    è più importante quello che veramente l’oogoro tiene tra le mani o quello che crede di avere?è quello che mi sono chiesta inizialmente…poi ho capito, forse le parole non sono solo etichette, ma sono le cose stesse…e dimenticare una parola è perdere qualcosa…il povero oogoro deve essere triste perché forse ha avuto paura di dimenticare qualcosa di importante, magari la parola “amore” o la parola “amicizia”: se è successo con la woolanda, chi gli garantisce che non succeda di nuovo?

    Me

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