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Baci d’acciaio

La volta che in bicicletta, davanti al capannone dell’acciaieria, si è aperto l’immenso portone di lamiera e sono usciti suoni d’inferno, e metri di scintille, e tonnellate di fiamme. Che poi mi sono guardato le mani e le loro macchie di pennarello. Quella mattina avevo aiutato due occhioni di ragazza a colorare una madonna con bambino ed era anche quello – nonostante mi paresse assurdo – un lavoro ed era pure il mio pane guadagnato. La volta con Piumetta, al cinema di Topolò, che davano il film cinese sull’acciaieria in via di dismissione, e l’infinito piano sequenza percorreva il perimetro dell’immensa fabbrica e non finiva davvero mai. Come il dolore degli uomini che ci lavoravano. La volta di quella macchia viola, buco profondo sulla pelle bianca del polso, la volta di quelle ciniche parole di operaio: “…non è niente, è soltanto il bacio dell’acciaio”.

La volta che sarà domani e voglio parlare ai cuccioli di acciaio e di persone che si fanno baciare a morte. Ma è difficile.

C’è una canzone nuova, semplice, presto la ascolteremo tutti, presto apparterrà a tutti. «L’unico pericolo che sento veramente è quello di non riuscire più a sentire niente». Lo schiocco che fanno i baci d’acciaio lo dobbiamo sentire ancora.

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