Le storie di Scuolamagia, Soletta

Aeroplanini

Tra le fotocopie distribuite ai cuccioli, giovedì mattina, si era infiltrato un foglio bianco, passato indenne nel vortice laser della macchina stampatrice. Mi è rimasto in mano, candido superstite. “Tieni, te lo regalo”, ho detto appoggiandolo sul banco di un cucciolo. “Mi raccomando, fanne buon uso”, ho aggiunto. Accade ancora che, lasciato solo con un foglio di carta, un ragazzino decida di farne un aeroplanino. Con più o meno precisione e pazienza, quello che importa è l’esito finale, quello che importa è il volo.

Due anni fa, in una scena dello spettacolo di giugno, i miei cuccioli di attore avevano squarciato la quarta parete facendo diventare il teatro un grande terminal internazionale. Dalle loro mani erano decollati circa 400 aerei di carta (riciclata e successivamente ririciclata). Nel panico generale, con il pubblico che si copriva la testa, per una decina di folli minuti.

Il mio mestiere costringe ad estenuanti numeri di equilibrismo tra sogno e realtà, concretezza ed immaginazione. Ci sono le allarmanti indagini OCSE Pisa e c’è un giorno in cui entri in classe e dici “Gente, oggi costruiremo 400 aeroplanini di carta”. E vedi gli occhi, e voli via con loro.

 

Maurizio Crosetti ha letto lo stesso articolo (di Renata Pisu, dal Giappone) che ha mosso in me questi ricordi, e ne ha scritto così…

 

C’è questa notizia (simbolica? Un po’ lo sono tutte) degli aeroplanini di carta che saranno lanciati da un astronauta nello spazio. Immaginiamoli vagare nel vuoto, nel silenzioso buio cercando una strada. Seguiamoli mentre i più si smarriscono e qualcuno, forse, trova il corridoio verso casa (ma non decidiamo quali, tra gli aeroplanini, a questo punto siano gli smarriti), guardiamoli incendiarsi nell’atmosfera oppure, gli scienziati non lo escludono, varcare la barriera e planare lentamente verso di noi. Tra gli scampati i più, dicono i teorici, dovrebbero inabissarsi nell’oceano. Ma forse state vedendo anche voi quell’ultimo aeroplano bianco che manca le onde di un niente, per adagiarsi su una riva tra un gabbiano e un bambino. Il bambino lo raccoglie, se lo gira tra le mani, poi lo lancia verso le onde. L’aeroplano, finalmente arrivato, non affonda ma galleggia.

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