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Lezione su Antonia

Ormai da quasi un anno mi tengono compagnia le poesie di Antonia. Provo a spiegarmi il perché di questo mio amore travolgente. Sarà che nessuno la conosce, sarà che all’università – Lettere moderne! – nessuno l’ha mai nominata e a me sembra che la Storia della Letteratura debba essere riscritta alla luce delle sue poesie. M’immagino già le indiscrezioni: “Sai, dicono che quest’anno alla maturità il Ministro proporrà una traccia su Antonia Pozzi…”. “Ma no, la Pozzi è già uscita due anni fa!”.

Perché mi fa impazzire Antonia? Per anticonformismo, certo: è la poetessa che so solo io. C’è dell’altro sicuramente. Mi tocca la sua morte, il suo suicidio, certo. La sua morte prematura, inspiegabile, bianca. Mi tocca, lo confesso, come fa a non toccare la morte di una ventiseienne piena di talento? Lo psichiatra Eugenio Borgna ha provato a spiegare il tragico gesto partendo dall’indicibile malinconia e dall’assenza di speranza, dalle attese tradite e dall’assenza di attese. Parole, solo vaghe astratte parole, il grande medico non mi ha convinto e il mistero rimane fitto.

Mi ricordo a volte di aver studiato da filologo, carriera presto tradita inseguendo magie di ragazzini. Allora prendo una poesia, e mi sbarazzo del contesto storico: Antonia potrebbe essere morta ieri, i suoi versi si potrebbero collocare in qualsiasi tempo. Il titolo, comincio dal titolo: Fuochi di S. Antonio. Partiamo male, nessun appeal, sapore di sagra paesana. Portate pazienza e ascoltate.

 

Fiamme nella sera del mio nome

 

La sera del mio nome. Bisogna essere capaci, il 30 novembre – S. Andrea – di dire “è la sera del mio nome”. Io non ci riuscirei.

 

Sento ardere in riva

a un mare oscuro –  

e lungo i porti divampare roghi

di vecchie cose,

d’alghe e di barche

naufragate.

 

C’è il fuoco, benché non nominato. Ma c’è anche molta acqua. La cosa più concreta, in fondo, sono le vaghe vecchie cose. Ognuno ci metta le sue, non ha importanza delineare i contorni di un oggetto.

 

E in me nulla che possa

esser arso,

ma ogni ora di mia vita

ancora – con il suo peso indistruttibile

presente –

nel cuore spento della notte

mi segue.*

 

Ecco la stoccata, il tocco della fuoriclasse, il numero d’alta scuola. Eravamo rimasti lì, colle nostre vecchie cose che bruciavano. Beati noi, Antonia non ha nulla da consacrare a quelle fiamme. Quel fuoco che ci aveva inquietati adesso ci tranquillizza. Possiamo smaltire i nostri scarti, possiamo di tanto in tanto liberarci di un po’ di zavorra, di qualche peso. Lei no, la opprimono tonnellate di ore dolorose. Si sente inseguita, braccata, Antonia vorrebbe bruciare qualcosa di sé ma non ci riesce, la notte ha un cuore e quel cuore è spento.

Spesso il male di vivere ha incontrato, mai è riuscita a divincolarsi dalla sua presa.

Fine della lezione, per casa pensate a quali ore della vostra vita vorreste bruciare. La prossima volta interrogo.

*: Antonia Pozzi, Fuochi di S.Antonio, 17 gennaio 1935

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