Cineserie, Stream of consciousness

L’Ego in un pagliaio

Due anni fa, sempre a Pechino. Lontano più lontano degli occhi del tramonto mi domandavo come mai non c’erano i bambini. Non c’erano gelaterie di lampone a fumare lente, come nella canzone di De Gregori, e i bambini non erano tutti a volare. Più probabilmente erano tutti a scuola, ché allora era l’inizio di luglio e non la fine, oppure – più semplicemente – il quartiere dove vivevo allora era abitato in prevalenza da studenti universitari.

Stavolta ci sono eccome. Gli hutong brulicano di pargoletti trotterellanti, bimbe col monopattino, neonati felicemente appoggiati un po’ dove capita. Su un marciapiede consumato da miliardi di quotidiani passi è ritagliato lo spazio quadrato (40 cm il lato) per un alberello di 30 cm. All’interno due pugnetti di sabbia che un fanciullo calvo bagna dall’alto con una pistola ad acqua gialla. La sorellina ha il culo nudo per terra, le manine marroni a impastare la poltiglia. Il gioco più semplice del mondo e fa niente che non ci sia il mare. Loro fanno come se ci fosse. È il loro gioco, il loro ago nel pagliaio, che non c’è sabbia e non ci sono alberelli per chilometri.

E io che non riesco a scattare la foto, proprio non ce la faccio, non riesco a violare quell’intimità. La vedo, ne vedo 300, di fotografie. Ma poi non premo il tasto, così torno a casa e premo sul computer per riporre l’immagine nella pozzanghera. Al sicuro.

Standard

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

code