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Il fattore K

Intanto diciamolo: dietro c’è tutta un’ideologia, tutto un apparato. Basi filosofiche forti e pure una visione del mondo. Poi pazienza se quando sbarca da noi il tutto può somigliare alla morte dell’Occidente. Quello che davvero conta è che non sia la morte dell’Oriente, e che ne rappresenti in qualche modo la vita, e ne simboleggi il riscatto degli individui.

Sono reduce da una seduta di karaoke, 3 ore in una saletta climatizzata, divano in pelle, luci soffuse, controllo diretto su un cospicuo repertorio di basi musicali, camerieri servizievoli pronti ad accorrere. E soprattutto tre ore con il microfono in pugno, vero scettro del potere. Dovrebbe essere riconosciuto nelle giurisdizioni internazionali il diritto umano di cantare a squarciagola. Perché fa bene, perché scioglie i grumi nel cuore, perché fa entrare nei panni di un “noi” migliore, più libero e più puro. Ci riconcilia con la bellezza, anche con la nostra. E poi affratella, e le voci si cercano e si trovano, si rincorrono, si sovrappongono e s’intrecciano.

Modesta proposta: un’ora di karaoke a settimana in tutte le scuole, di ogni ordine e grado.

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