Cineserie, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Head down little girl

dibaba1

Usain Bolt ride sempre, per qualcuno anche quando non dovrebbe. Tirunesh Dibaba non ride mai, almeno questo è quello che dicono le due righine che soltanto uno dei principali quotidiani italiani ha deciso di dedicarle oggi, all’indomani del secondo oro olimpico. Per il bravissimo Bolt si sprecano i titoloni (il più ad effetto, ironico sulle disgrazie degli avversari: Usain, Usaout), meritatissimi; per lui si lavora di metafore, dai fenomeni atmosferici (fulmini e saette) a quelli pirotecnici. Per Tirunesh no. Forse è il caso di chiedersi il perché. So bene che i 10.000 stanno ai 100 metri piani come un lungometraggio rumeno sottotitolato in coreano sta ad un blockbuster americano. Eppure quando c’è di mezzo un atleta azzurro ci appassioniamo alle vicende del taekwondo o del tiro al piattello, discipline complicatissime e non sempre da cardiopalma. Quindi? È tutta colpa davvero di quel sorriso mancato, di quel capo chino. Di quei pensieri impenetrabili, di quella vita che se ne sta al riparo dentro il suo guscio, senza squadernarsi davanti a tutti? L’infanzia sugli altipiani, la famiglia numerosa sì, d’accordo, ma chi è davvero Tirunesh? Perché non ci interessa? Usain Bolt che ride sempre, Tirunesh Dibaba che non ride mai. E noi lì nel mezzo, costretti a scegliere. E scegliamo sempre la storia più semplice, quella dove non serve andare a fondo. La storia fast food dell’uomo più fast. Peccato. Tirunesh Dibaba: who’s that girl?

Standard