Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Tutto quello che un giorno sarà di Daniele

Daniele stava alla finestra, gli occhi sul grande prato steso sotto le tre aule al primo piano di Scuolamagia. Guardava giù, visibilmente immalinconito da qualche suo cruccio. Era appena finita la ricreazione e stava per iniziare l’ora di italiano. Mi sono avvicinato e non ho trovato nulla di più originale che dirgli, indicando il grande spazio verde: “guarda, un giorno tutto questo sarà tuo…”. Nel suo sguardo ho letto subito una certa delusione. Tutti lì i miei sforzi per tirarlo su di morale? In effetti, era un po’ poco. Allora c’ho pensato un paio di secondi e ho proseguito: “un giorno tutto questo sarà tuo, certo, tutto tranne l’erba, la staccionata, quei sassi che emergono dal terreno, la casetta di legno, l’orto, la panchina…” e via sottraendo. Al termine del lungo elenco una cosa risultava chiara come quel cielo di ottobre: di quel variegato tutto a Daniele sarebbe rimasta in dote una cartaccia bianca finita in qualche strana maniera in quel mare d’erba. Soltanto quella, ma quella era sua. Rieccolo sorridere, riecco la faccia di quando pensa che sono matto, riecco la voglia di metterci del suo, di essere parte di tutto quello che succede, fosse pure una semplice cazzata come quella (mi pare si fosse capito che non stessimo discorrendo di metodologie didattiche innovative…).

Da quel giorno, ogni mattina dopo la ricreazione Daniele mi chiede: “e oggi, cos’è mio?”. Rispondere diventa sempre più difficile, ma anche appassionante, una vera sfida alla fantasia. A Daniele ho regalato un verme morto sotto 20 cm di terra, a pochi centimetri da un certo fiore. A Daniele ho donato il braccio orizzontale, soltanto quello, di un crocifisso posto sulla parete di una piccola casetta per la legna. Una panca, ma col divieto di sedersi sulle sue assi. Il filamento di tungsteno dentro la lampadina di un lampione. Due raggi della ruota anteriore della bicicletta di Oleg, il bimbo dirimpettaio della scuola, con la promessa di non sottrarli al piccolo mezzo di locomozione. Un ramarro abitante di certe foglie, vecchio e pieno d’acciacchi. Il petalo di un quadrifoglio, il dente storto di una vecchia ringhiera. Un giorno ho esagerato regalandogli il nucleo incandescente della terra – dono impegnativo, mi rendo conto, ma il ragazzo ha la testa sulle spalle – da raggiungere attraverso un lungo cunicolo da imboccare tra una pietra e una foglia un po’ più scura. Lunedì, perso dietro altri mille pensieri, mi son trovato in difficoltà. “Cos’è mio?” Cos’era suo? Fortunatamente il prato nel corso della mattinata era diventato bianco e Daniele ora possiede un fiocco di neve. Non uno qualsiasi, ma proprio quello lì, quello a sinistra di quell’altro che è mio e me lo tengo.

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