Res cogitans, Stream of consciousness

La pianista

Colpivano di più le dissonanze, nel quadretto di ieri al grande centro commerciale.

Due stivaletti imbottiti a pigiare i pedali, quasi dei “doposci”, coperte per piedi perennemente infreddoliti.

Il pianoforte a coda nero si stagliava in mezzo alla grande piazza su cui confluiscono le entrate di negozi gremiti all’inverosimile.

Quel che colpiva, però, erano le dissonanze. Il maglione di lana grossa, di un improbabile lilla, sformato, un maglione “dastareincasa”, un maglione “dastarealcaldo”.

Le note riempivano il primo pomeriggio delle cassiere in pausa, dei mattinieri già stremati dagli acquisti, oberati di borse e borsette.

Ma il vero concerto, era il concerto delle dissonanze. Il cellulare grosso e consumato, e acceso, esibito sul leggio a fianco dello spartito, consultato il doppio, nella pausa tra i brani.

Il piccolo concerto, davanti al bancone dei caffè e dei cappuccini, prevedeva pezzi di Ludovico Einaudi, riconosciuti (bella forza!) dopo un indice e un medio sulla tastiera, e pezzi di Beethoven, non riconosciuto, scorto in caratteri grandi e neri sopra il pentagramma candido.

Dissonante: la mano sgraziata, quasi uno schiaffo rabbioso, lesta a girare la pagina senza perdere il ritmo. Dissonante: il sorriso assente, simile forse solo a quelli di certi babbinatale controvoglia, sorriso triste da pomeriggi d’infanzia passati ad odiareamare lo strumento visti trasformarsi in questa prostituzione da “cosamitoccafarepercampare”.

Nessun’applauso, nessuna moneta. Il finale è uno spartito che si chiude e affonda in un invicta vecchio e liso. Che se ne va, e il mio caffè s’è già freddato.

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