Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

Deglutendo a fatica una lattina di Mastro Cola

L’idea di scuola della scrittrice e insegnante Paola Mastrocola è avanzata almeno quanto quella di Benedettodecimosesto in tema di sessualità. Non ne fa mistero il suo articolo di oggi su “La Stampa” a proposito della pioggia di 5 in condotta appioppati agli alunni italiani: l’autrice parla di “scuola disarmata” e della valutazione in termini di “bastone” (???!!!). Ci mettesse vicino almeno la carota, al bastone. Invece no, è proprio il bastone bastone.

Si legge tra le righe la frustrazione dell’insegnante insoddisfatto che in classe incontra ogni giorno dei nemici – e probabilmente è proprio così e il sentimento è ricambiatissimo – ma che invece di porre fine alla guerra più insensata che esista, nel luogo meno adatto, cerca uno strumento di distruzione più efficace, una bomba atomica, una soluzione finale.

Un po’ di filologia. La prof. Mastrocola va a far supplenza in una classe e trova alunni che “deglutiscono liquidi a garganella dalle lattine”. Nelle sale insegnanti, in un momento di pausa, si deglutiscono forse solidi?

Penso alla scuola italiana e quella scena mi fa arrovellare su altre questioni, che vanno oltre le dinamiche di deglutizione. Chi è il titolare di quell’ora di lezione? Perché non c’è? Lo sa Mastrocola che gli studenti italiani hanno imparato a distinguere una malattia vera da una falsa?

Quella falsa ha sintomi chiarissimi, come ha sintomi chiarissimi il disamore per il proprio mestiere.

Fosse soltanto un’insegnante, l’autrice dell’articolo, non mi preoccuperei più di tanto. Il problema è che si tratta di una scrittrice, e una scrittrice non può negarsi l’orizzonte della complessità. Sì, perché nemmeno io probabilmente saprei come fare davanti ad una classe allo stato brado come quella lì, e al mio cospetto a quella deglutizione seguirebbe certamente anche un rutto.

Ne uscirei con alcune domande in saccoccia, però.

Quello che avrei detto a quei ragazzi (Petrarca, il periodo ipotetico, l’unitàd’italia…) è davvero quello di cui hanno bisogno?

Che senso ha che i fondamenti di una cultura di una nazione vengano somministrati sotto minaccia? Non è di per sé questo un fallimento?

Basta per spiegare questa situazione la solita scusa del lassismo sessantottino?

E io: perché non riesco a infiammare quei cuori e quelle menti? Fosse colpa mia? Fosse che non sono all’altezza? Fosse un problema di linguaggio?

Una classe non è una colonna sulla prima pagina di un giornale. Lì ha senso pure pontificare, il lettore è comunque libero di girare pagina, riporre il quotidiano, riderne. Tra in  banchi bisogna lottare a mani nude. Tollerare, certo. Mediare, certo che sì. Scendere a compromessi: è giusto. Sgridare, sempre. Loro sono di più, anche 27 contro 1, tu forse ne sai (almeno dovresti) un po’ di più. Non è nemmeno così impari, la sfida, senza i 5 nelle fondine e nelle faretre.

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