Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta

La siore Erminie di Pesariis

La siore Erminie entra ogni giorno nelle mie classi, specialmente nelle Terze. È nata nel 1922 e vive in una meravigliosa località in una vallata vicina a quella dei miei cuccioli e di Scuolamagia. Non ha frequentato nemmeno le scuole elementari, ha partecipato attivamente alla Resistenza, ha sgobbato una vita intera per campi, pascoli e boschi, è vedova, non si sa se abbia figli. Non si sa perché non ce lo siamo ancora chiesto, noi che l’abbiamo inventata.

Sì, perché la siore Erminie di Pesariis è la nostra “casalinga di Voghera”. La persona che immaginiamo ci sieda accanto, a scuola, ogni volta che la nostra scrittura e il nostro eloquio devono essere chiari e limpidi come laghi di montagna. Vale a dire: sempre.

Mi capita spesso di censurare i pensieri più contorti, o il periodare più intorcinato, richiamando la classe al rispetto dell’energica e curiosa vecchina. Le mie spiegazioni, altresì, possono subire degli stop ironici ma perentori: “…e se ci fosse la siore Erminie? Capirebbe?”.

 

La siore Erminie è contro il politichese (e contro l’infamia di tutte le lingue settoriali: didattichese compreso…). La siore Erminie ha sulle spalle una gerla di punti (.) e li usa: le frasi che preferisce sono brevi ed essenziali. La siore Erminie ama la rima fiore-amore e i poeti della poesia onesta, l’unica che rimanga da fare.

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Trattenere il respiro, fino a scoppiare

A Recife, in Brasile, c’è una bambina di nove anni. Ha un patrigno. Il patrigno abusa sessualmente di lei da quando aveva sei anni. Abusa di lei da tre anni. Il patrigno abusa anche della sorellina della bambina, che ha 14 anni ed è invalida. Ora il patrigno è in carcere. Ora la bambina di nove anni è incinta, di due gemelli.


La bambina ha anche un suo padre, e una madre. La madre spera che abortisca, il padre no.
A Recife c’è un medico che ha preso in cura la bambina, le ha somministrato dei farmaci che hanno procurato l’aborto. Il medico e i suoi collaboratori pensano, come vuole la legge, che non si debba obbligare una donna, e tanto meno una bambina, a mettere al mondo il frutto di uno stupro.
Si sono anche spaventati del rischio che il parto gemellare avrebbe comportato per una bambina di nove anni.

 

C’è un arcivescovo, a Recife – non importa il nome: non c’è il nome della bambina, né del suo violentatore, perché citare quello dell’arcivescovo – che ha scomunicato senza appello il medico che ha aiutato la bambina ad abortire, i suoi collaboratori, e la madre che ha approvato. Non il patrigno, “perché l’aborto è peggiore del suo crimine”. Non la bambina. La bambina non ha l’età per essere scomunicata. Solo per partorire due gemelli. L’arcivescovo ha proclamato – indovinate – che la legge di Dio è al di sopra della legge umana. L’arcivescovo ha tenuto ad aggiungere che l’olocausto dell’aborto nel mondo è peggiore di quello dei sei milioni di ebrei nella Shoah. Peggiore. C’è anche, a Recife, un gruppo di avvocati cattolici che ha denunciato i medici per il procurato aborto: omicidio volontario aggravato, presumo.

 

C’è, a Roma, il Vaticano e, in Vaticano, la Pontificia Accademia per la Vita. Con una gamma di sentimenti che vanno dall’imbarazzo al dolore alla perentorietà, i suoi esponenti hanno spiegato che la scomunica comminata dall’Arcivescovo di Recife era necessaria. Un atto davvero dovuto, come prescrive il Codice di Diritto Canonico. Un sacerdote del Pontificio Consiglio per la Famiglia, a sua volta, ha soffertamente ribadito che “L’annuncio della chiesa è la difesa della vita e della famiglia”. E che i medici sono “protagonisti di una scelta di morte”.


Penso che non si debba commentare tutto ciò. Neanche una parola. Bisogna trattenere il respiro, fino a scoppiare.

 

Adriano Sofri

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