Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Katalin, un guanto

Nel titolo di prima pagina c’è scritto “donna”, nelle pagine interne – le pagine di nera – si dice più volte “ragazzina”. Sprezzante, il diminutivo: 18 anni compiuti – sulla strada, la strada di un paese che non è il tuo – sono l’età di una persona cresciuta, anche se schiava del racket, anche se schiava di tutti gli uomini del Nord Est. “Ragazzina” tua sorella, caro giornalista.

Nel titolo c’è scritto “dilaniato”, l’occhiello dice “martoriato”. Dice anche “irriconoscibile”. Un corpo, gettato da un’auto o da un camion in corsa, sull’autostrada, e tutta un’umanità a passarci sopra. È capitato a tutti, con la propria vettura: i gatti nessuno si ferma a spostarli dall’asfalto.

La descrizione prosegue minuziosa: la minigonna, gli stivaletti, il giacchino. Ci sta, il giornalista di cronaca deve mostrarci quello che è successo, dev’essere concreto. Poi nella colonna a fianco riassume e dice “abiti da lavoro”. E forse ci sta un po’ meno. Abiti da lavoro: è capitato a tutti, passarci sopra con la propria vettura: il classico guanto spaiato caduto dal camion di qualche squadra di operai.

Katalin era ungherese, mi dice l’articolo che prosegue con il quadro etnico della prostituzione tra Veneto e Friuli: romene (in calo), albanesi, moldave. Le ungheresi, come il guanto spaiato, “sono pure di origine rom”. “Pure”, avete letto bene. No, non bastava esser puttane, son pure zingare. No, questo non c’è scritto, ma purtroppo si capisce lo stesso.

Sputo sul giornale, davvero. Poi lo chiudo.

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