Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il dolore altrui è sopportabile (proverbio ruandese)

Mi sono ricordato del breve romanzo di Tierno Monènembo, Il grande orfano, letto qualche anno fa all’indomani della scoperta – colpevolmente tardiva – del genocidio ruandese del 1994, al tempo del mio esame di maturità (proprio grande dev’esser stata, quella maturità, per non “accorgersi” di un evento simile…).

Il grande orfano

Il libro – concentrato di descrizioni estremamente realistiche – racconta di Faustin, quindicenne come immagino ce ne siano tanti, in Africa. Non mi avevano colpito, lo confesso, l’esistenza grama tra giacigli infestasti di pantegane, merda da mangiare e vista di teste mozzate a colpi di machete. Mi aveva shoccato la normalità di una sessualità precoce e selvaggia. La vita di Faustin viene salvata da una giovane volontaria irlandese, che il ragazzino non smette mai di considerare in questi termini.

 

«Andandosene, mi aveva abbracciato senza badare al mio odore. Rispetto all’ultima volta i suoi seni erano più grossi, più degni di essere palpati e mordicchiati. Indossava un pareo color carne che si confondeva con la sua pelle e aderiva così bene al suo didietro, che ogni volta che faceva un passo, avevo l’impressione che fosse nuda e che la pelle del suo angusto sedere mi fremesse davanti. Mi resi conto per la prima volta che erano tre anni.

Tre anni che non scopavo!»

 

Faustin, nel racconto, ha 15 anni. Certo, è un personaggio letterario e i personaggi letterari, come si sa, possono tutto. No, invece, tutto no. Io non riesco ad immaginarmelo nemmeno in un libro, un umano che avvicina Faustin per educarlo alla castità e ad una sessualità consapevole.

 

Il titolo del post è un proverbio che compare in apertura del libro. E c’entra, eccome se c’entra.

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