Fiori di Biblioteca, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

I ragazzi che fanno “Oh”

 

Si sono fatti attendere e non poco, i libri ordinati dalla mia biblioteca di montagna anche grazie ai preziosi consigli dei lettori di questo blog. Poi però si sono materializzati dentro due scatoloni cubici pesanti e ammaccati, ieri, scortati dalla flemma indisponente di un corriere espresso. Oggi ho deciso di cominciare la giornata scolastica così, tra l’italiano la letteratura il teatro e il cazzeggio, con i due cubi sulla cattedra, un paio di forbici in mano e la regola ferrea di non dire nulla se non attraverso la vocale “O”, declinata secondo le sensazioni di ognuno.

«Oooooh…»

«Oh-oh…»

«O-ooooh…»

«Oh!!!»

E via disc“O”rrendo.

Le facce erano tutte consentite, il gesticolare liberissimo.

Erano le 8:05 e ho aperto la prima scatola premettendo: “non è detto che con voi funzioni”.

Mi sbagliavo, ha funzionato anche con loro. I libri hanno attaccato in massa gli umani con i loro colori e le loro forme. Con l’odore. Ecco subito due occhi dietro le foglie, soli come due numeri primi; ecco la Mazzantini, Veronesi, Concita De Gregorio. Ecco Yasmina Khadra. E Daria Bignardi, Harry Potter e Goliarda Sapienza. Ecco il piccolo esercito di DVD: Alina Marazzi che vuole anche le rose, Marco Paolini, Nazirock, la Shoah di Einaudi.

I libri per i più piccini cambiano la tonalità alle “O”, che si fanno più tenere. Richard Scarry ricorda qualcosa a tutti, indipendentemente dall’età. C’è anche quel libro, poi, in cui i disegni descrivono le evoluzioni domestiche di un grande elefante, con la piccola complicazione del testo in cui dalla prima all’ultima pagina si parla convintamente di un gatto. C’è l’albo con all’interno il CD di Samarcanda e la carta patinata a raccontare di quella grande festa nella capitale, perché la guerra era finita.

La cattedra si è presto riempita, coperta di coloratissimo disordine: Cirri e Solibello con sopra la biografia della cantante Elisa e quella del cantante Morgan. Il libro del grande fotografo che copre il fumetto che racconta la strage di Bologna.

Dani, che i libri dice di odiarli, ha addirittura iniziato a leggere uno Strade Blu con in copertina il suo idolo Marco Van Basten, Samu e Ricky hanno violato la regola della vocale unica leggendo ad alta voce Chuck Norris’s e Obama’s facts. Abbiamo quindi scoperto che il nuovo presidente Usa qualora ti scopra a letto con sua moglie non esita e ti rimbocca le coperte.   

Francy non si è innamorata a prima vista di nessun libro, ma mi ha aiutato a riporli tutti ordinatamente nelle due scatole, con cure materne.

 

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Miracoli a Sant’Anna (il mio 25 aprile una settimana fa)

 

Di Enrico Pieri per prima cosa si sono fatte strada le mani. Hanno cercato quelle degli altri, quelle di tutti, mentre appena scese dai pullman stavano ancora allacciando marsupi, richiudendo cerniere di giacca. Volevano già dire grazie, quelle mani, chiedere da dove arrivate, quanta strada avete fatto per arrivare fin qui. Viareggio (vabbè: tiro di schioppo), Genova, Carnia. Sì, Carnia, lontano, e allora le strette di mano hanno subito fatto il bis.

Subito dopo le mani è arrivata la voce. Roca e lenta, comunque emozionata. Come fosse una prima volta, un primo incontro, e non un’esperienza ripetuta con convinzione nel tempo, per fare memoria.

Poi c’è stata una cerimonia fatta di passi, i piccoli passi sul selciato spigoloso della strada che conduce al sacrario, sospeso sulla Versilia fino a indovinare la linea del mare. Lì, Enrico Pieri è entrato in scena con tutto il corpo, con tutta la sua vita. Ha chiesto a tutti quei ragazzi di disporsi attorno a lui ed è cominciato il racconto. “Sono nato il 19 aprile…”. Esattamente il giorno dopo, esattamente domani rispetto a questo 18 aprile dentro questa gita toscana. Buon compleanno, auguri, applausi. Il signor Enrico che si commuove, sono ormai 75 i suoi compleanni: 10 normali, magari anche felici, 60 svuotati di senso, assurdi, luoghi buoni al massimo per un supplemento di lacrime.

Il racconto di quel giorno del ’44 è come uno se lo può immaginare. Lucido e concreto, enfatico mai, essenziale, nessuna cura per dettagli che nessuno potrebbe ricordare, figuriamoci uno che aveva 10 anni. Fa quasi più effetto il resoconto puntuale del “dopo”, degli anni del “non ne parlo più”, gli anni dell’emigrazione, della scoperta dell’Europa, quel continente che quel 12 agosto sembrava fosse morto per sempre.

All’estero il lavoro, la famiglia, un figlio. E una scelta difficile: che lingua fargli studiare a scuola? Francese o Tedesco? Tedesco, certo.

Poteva parlare a quei ragazzi di sé e del suo paesino stuprato, Enrico Pieri. Finisce che parla di Europa e di europeismo con una forza che 7 candidati su 8 alle prossime  elezioni se la sognano. Accenna pure agli immigrati di oggi, alle altre Sant’Anna, sparse qua e là sul pianeta, ieri e oggi. Sembra abbia lacrime per tutte.

Conclude, ringrazia ancora. Questa volta sono le mani di chi ha ascoltato in silenzio a stringersi attorno alle sue. Mani di ragazzi, di professori, di ex partigiani. Mi colpisce una giovane donna: il fazzoletto tricolore dell’Anpi, portato al collo con fierezza, inevitabilmente scompiglia un po’ il quadro della sua eleganza, dei suoi abiti ricercati, della sua pettinatura.

Ci si guarda attorno, intanto, tutti un po’ spaesati, gli occhi lucidognoli: qualcuno legge i nomi delle vittime dell’eccidio, qualcuno guarda la statua posta ai piedi del sacrario, qualcuno guarda lontano.

Poi torna Enrico Pieri. Se ne va e vuole stringerci ancora una volta la mano, a noi che veniamo da lontano e a chiunque i suoi occhi incrocino per dire grazie. A una studentessa cinese, per esempio, e ai miei cuccioli.

 

Postilla: a Sant’Anna di Stazzema, quel giorno, i tedeschi furono accompagnati da collaborazionisti versiliani, alcune di quelle “persone in buona fede” di cui ha appena parlato Silvio Berlusconi.

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Compleanno in contumacia

Da quanto mi risulta il compleanno in contumacia è un’invenzione di Marco Ardemagni. Nelle sale stampa della Pechino olimpica fece notizia la sua torta in onore dei 18 anni del giovane interista Balotelli, speranza dell’Italia calcistica, vittima pochi giorni fa della solita Italia senza speranza.

Oggi mi sono fermato nel piccolo supermercato a pochi passi da Scuolamagia ed ho acquistato un euro e settantacinque di torta di mele confezionata, l’unica che offriva il piccolo esercizio del paese. A ricreazione l’abbiamo divisa in tante fettine e abbiamo festeggiato i 100 anni di Rita Levi Montalcini. Ci è sembrato fosse quasi doveroso, e dove poi se non in una scuola? Francy ha anche deciso che metterà la scienziata al centro della sua tesi multidisciplinare all’esame di giugno, con una fitta rete di collegamenti: il cervello umano, l’emancipazione femminile, la scienza, l’Africa, la Shoah, la giovinezza, ecc.

Qualcuno ha fatto notare che oggi era anche il compleanno di Kakà. Vabbè… tanti auguri.

Davanti alla commessa, dieci minuti prima della ricreazione, ho addirittura pensato di comperare 100 candeline, magari soltanto per rendere l’idea. Non ce n’erano abbastanza, e non sarebbe stata abbastanza la superficie della torta.

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La risposta nella domanda

Sono belli i film di Francesca Archibugi. Belli perché scritti, profondamente scritti. Belli perché intimi e civili, raffinati e popolari. Belli perché ti strizzano l’occhio, perché sembrano leggeri ma poi ti porti dietro per giorni le loro riflessioni, nascoste nelle battute o nelle facce dei personaggi. È bello anche Questioni di cuore, e resta addosso, e dentro, una battuta che è quasi un tormentone: “questa è la domanda…”. Fermandosi lì, senza avere la risposta, perché la risposta non si può dire ed è la vita, ed è la storia delle persone.  

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Baluardi

Un telegiornale locale captato a Montepulciano il giorno di Pasqua mi aveva allarmato non poco. Sembra che negli ultimi tempi, a Lucca, siano caduti dalle mura (alte anche 8 metri) frotte di ragazzini gitanti. Non male come notizia, alla vigilia della partenza della mia gita.

Alla fine non è caduto nulla se non tanta pioggia giovedì e qualche lacrima ieri, a Sant’Anna di Stazzema, ma di quell’acqua parlerò nei prossimi giorni, magari per festeggiare il 25 aprile.

Torno sulle mura, le più belle d’Italia. In realtà i Lucchesi hanno avuto la fortuna di adoperarle molto poco nel corso dei secoli, al punto di poterle sfoggiare oggi come un qualcosa di appena inaugurato. Ricordo di aver letto in un libro di Renata Pisu di un convegno di super architetti a proposito di città e di conservazione della loro bellezza coniugata alle inevitabili esigenze di sviluppo. C’è un esempio al centro del dibattito: l’urbanistica di Lucca. Si alza l’ospite cinese e propone di squarciare le mura o almeno di abbatterne un tratto. Per fare posto. I rimanenti conferenzieri gli danno qualcosa come un calcio in culo. Per fare posto.

Sabato mattina la sveglia è suonata alle 6 in punto. Mi sono vestito nel buio della mia stanza d’ostello, condivisa con altri colleghi, e mi sono affacciato sul corridoio. Ad aspettarmi lì ho trovato l’alunno Samu, come d’accordo. Nella penombra abbiamo raggiunto il portone d’ingresso e siamo sgusciati sotto l’umidità di un cielo nuvolosissimo. Siamo andati a correre sulle mura, da un bastione all’altro, lui con il suo fiato da piccolo atleta, io che arrancavo dopo poche centinaia di metri. Ma senza mollare, suvvia. Scomponendomi, riducendo il dialogo a pochi monosillabi sparagnini di ossigeno, guardandomi le scarpe per non lasciarmi torturare psicologicamente dai rettilinei infiniti.

È stato bellissimo, abbiamo parlato tanto e abbiamo visto tutto quello che il clima infelice non ci aveva permesso di vedere nei giorni precedenti. Abbiamo spiato una città svegliarsi, i cinesi allestire i mercatini nelle viuzze strette strette (certo, abbattendo qualche tratto di mura…), i bar sollevare le serrande, i pensionati portare i cani a fare quello che devono fare. Indimenticabile.

 

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Prima pagina

Risultati immagini per l'aquila massimo sestini

A Samu è piaciuto il pezzo di Gian Antonio Stella, si è tuffato nel “Corrierone” e ne è riemerso con tanti piccoli fregi verdini a pennarello, sotto le parole, sotto lo “…scossone. Piccolo. Leggero. Sinistro”. Sotto le “enormi cucchiaiate di quotidianità annientata” sollevate da un caterpillar.

Francesca ha consultato per parecchi minuti sul giornale locale una cronologia con un paio di secoli di eventi sismici. Una storia dentro alla Storia.

Daniele dalla mazzetta ha scelto avidamente “Il Giornale”. Daniele è di destra, ha evidenziato col giallo fosforescente tutti i Berlusconi possibili e immaginabili ma anche piccole storie di morte e di eroismo in cui si è tuffato con la faccia seria. Tra le sue pagine filogovernative mi sono permesso di fargli notare un articolo che spiccava come un intruso, un piccolo virus sinistrorso. Si chiedeva quante saranno alla fine le vittime, alludendo pietosamente ai clandestini – spesso tenutari degli alloggi meno sicuri – poveri fantasmi fuori dal conto.

L’evidenziatore di Ricky era fucsia. Ha invaso di frecce e cerchietti le pagine di “Repubblica” e de “L’Unità”. È andato a caccia di didascalie, ha tracciato paralleli tra le due testate, ha colto sfumature. Ha volato come sempre altissimo, al seguito dei suoi pensieri velocissimi. Alla fine della “rassegna stampa” era stanco morto e ci ha ricordato che il suo babbo infermiere partirà a giorni per L’Aquila e dintorni.

Abbiamo anche guardato un mare di tristi fotografie, e la più bella manco a dirlo abbiamo scoperto che a scattarla è stato Massimo Sestini, il fotoreporter che ci ha immortalati l’anno scorso quando siamo finiti sul “Venerdì”.

Tra le pagine chiare e le pagine scure è trascorsa una mezza mattinata, ieri, e alla fine la superficie dei banchi era sporca d’inchiostro. Le punte degli evidenziatori erano irrimediabilmente annerite. Daniele mi ha detto di voler essere risarcito. Scherzava. No, non c’era un clima pesante, in classe. Il giornale di oggi parla di  traumi psicologici, di bambini terremotati che non ridono più. Ai miei quattro cuccioli è scappato spesso da ridere: per aver scambiato una parola per un’altra e scombussolato di conseguenza il senso di un titolo, per qualche ridicola immagine pubblicitaria. “Però, prof.,…” – mi hanno detto – “quando un giornalista della Tv chiede a uno scampato della tragedia se ha avuto paura… lì non c’è proprio niente da ridere…”

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Terremoto

Io l’ho saputo così. Con una foto. Erano le sette di mattina. In camera mia e sull’homepage del grande quotidiano punto it. Nella grande foto (non ho voglia di cercarla, tanto è come se la vedessi anche in questo momento): due donne. Un’anziana con lo scialle, curva e disperata; una donna orientale (cinese?) a sorreggerla con braccia badanti: giovanissima, solida e pressoché impassibile. Un gesto semplice: sostenere e guidare in una lentissima fuga. Un gesto semplice, una metafora fortissima. Sullo sfondo un paesaggio irriconoscibile di macerie, nuvole di polvere sollevata dai crolli, altri corpi a brancolare.

Dopo l’immagine, subito un pensiero, per il quale dico grazie ad A.S., mio amico su Facebook: un pensiero per il carcere di Sulmona (già tragicamente famoso) ed i suoi abitanti. Sì possono avere le gambe buone, lì dentro, lo scatto felino, l’istinto animale che prevede la scossa. Ma è tutto inutile, in strada a stringersi e a tremare con gli altri umani non si può proprio andare.

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans

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«Che l’indisciplina,  nelle sue forme più aggressive, vada punita, è un concetto sul quale oramai si è tutti d’accordo, sia pure con sfumature rilevanti (ci sono pedagogie più spensierate, che una volta inferta la punizione considerano chiusa la pratica; e pedagogie più faticose, che tendono a chinarsi sul punito per chiedergli se è possibile fare qualcosa per lui…). Ma il grosso dell’indisciplina, quella più ricorrente e quotidiana, probabilmente anche quella più snervante, si manifesta in una specie di diserzione, di indifferenza, di non partecipazione alla vita degli adulti: il cinque in condotta, da agitare come un bastone sotto il naso di uno che ti guarda come se abitasse su Marte (o ci abitassi tu), a che diavolo serve? È come puntare un cannone su un dormiente: non solo un palese eccesso di legittima difesa, ma un monito del tutto male indirizzato, che dà l’idea di una scuola assediata, di un mondo adulto in crisi di nervi come se fosse di fronte a un attacco frontale. Mentre è di fronte (ed è ben più grave) a una travolgente ondata di indifferenza».

 

Michele Serra, “La Repubblica”

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Grido (Terza lezione su Antonia Pozzi)

Pozzi

Oggi Vito Mancuso su “Repubblica” dice di scrivere “Dio” con la maiuscola per riservare un piccolo onore “all’idea del principio di tutte le cose”. Antonia Pozzi – nel 1932, ventenne – sembra condividere, salvo subito concentrarsi sulle “cose”. Il vero problema, le cose. Il vero nocciolo. Più vere di Dio, più sguscianti della sua idea creatrice. Il vero banco di prova per la sua vita spezzata.

Sfugge – prima non c’è/poi c’è – anche la “i” aggiunta nel manoscritto alla parola accecare.

E che dire di quei due “non” al secondo e al terzo verso. Sembrano due “nn”, come in una crasi da sms. Come per un’ansia.

Adesso rileggete bene. Ad alta voce. Poi pensate forte all’ultima cosa viva che vi è sfuggita. Mano, bocca, sguardo, abbraccio, tenerezza, qualunque fosse.  

Le lezioni precedenti (1, 2)

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La meta

Si avvicina la gita scolastica, quest’anno una tre giorni toscana a ritmi piuttosto serrati che si concluderà sabato 18 aprile con la salita a Sant’Anna di Stazzema. Sembra una scelta difficile, quella di portare dei tredicenni sul luogo di un eccidio. Poi ogni volta mi accorgo che è molto più difficile coinvolgerli con una partita di basket, o in un ballo di carnevale. Non è affatto una scelta difficile, è soltanto una cosa da fare. Dopo aver studiato, certo, dopo aver parlato a lungo, con mille attenzioni, con delicatezza, ma quello è: soltanto una cosa da fare.

Però che ansia. Anche oggi ho chiamato l’ufficio preposto. Sì, siamo quelli friulani, quelli del 18 aprile? È tutto confermato? Certo che è tutto confermato. Quanto ci si mette ad arrivare a Sant’Anna partendo da Lucca? Un’oretta, forse un po’ meno. Vabbé, si capiva anche dalla cartina. Come? Bisogna stare attenti al bivio maledetto, dove tutti i pullman tirano dritto in barba ai navigatori satellitari di ultima generazione? Mannaggia, questa non ci voleva. Manco la guidassi io la corriera. E i superstiti, mi confermate che ci saranno? Certo, ormai hanno un’età… e sono solo in due, ma di solito se garantiscon la presenza poi mantengono la promessa e si intrattengono con gli studenti, li coinvolgono. Sono solo in due, davvero? Soltanto due? Ah, gli altri non ce la fanno, a parlare, gli altri non ci riescono, non ci sono mai riusciti, non ci riusciranno mai, capisco, capisco…  

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