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Miracoli a Sant’Anna (il mio 25 aprile una settimana fa)

 

Di Enrico Pieri per prima cosa si sono fatte strada le mani. Hanno cercato quelle degli altri, quelle di tutti, mentre appena scese dai pullman stavano ancora allacciando marsupi, richiudendo cerniere di giacca. Volevano già dire grazie, quelle mani, chiedere da dove arrivate, quanta strada avete fatto per arrivare fin qui. Viareggio (vabbè: tiro di schioppo), Genova, Carnia. Sì, Carnia, lontano, e allora le strette di mano hanno subito fatto il bis.

Subito dopo le mani è arrivata la voce. Roca e lenta, comunque emozionata. Come fosse una prima volta, un primo incontro, e non un’esperienza ripetuta con convinzione nel tempo, per fare memoria.

Poi c’è stata una cerimonia fatta di passi, i piccoli passi sul selciato spigoloso della strada che conduce al sacrario, sospeso sulla Versilia fino a indovinare la linea del mare. Lì, Enrico Pieri è entrato in scena con tutto il corpo, con tutta la sua vita. Ha chiesto a tutti quei ragazzi di disporsi attorno a lui ed è cominciato il racconto. “Sono nato il 19 aprile…”. Esattamente il giorno dopo, esattamente domani rispetto a questo 18 aprile dentro questa gita toscana. Buon compleanno, auguri, applausi. Il signor Enrico che si commuove, sono ormai 75 i suoi compleanni: 10 normali, magari anche felici, 60 svuotati di senso, assurdi, luoghi buoni al massimo per un supplemento di lacrime.

Il racconto di quel giorno del ’44 è come uno se lo può immaginare. Lucido e concreto, enfatico mai, essenziale, nessuna cura per dettagli che nessuno potrebbe ricordare, figuriamoci uno che aveva 10 anni. Fa quasi più effetto il resoconto puntuale del “dopo”, degli anni del “non ne parlo più”, gli anni dell’emigrazione, della scoperta dell’Europa, quel continente che quel 12 agosto sembrava fosse morto per sempre.

All’estero il lavoro, la famiglia, un figlio. E una scelta difficile: che lingua fargli studiare a scuola? Francese o Tedesco? Tedesco, certo.

Poteva parlare a quei ragazzi di sé e del suo paesino stuprato, Enrico Pieri. Finisce che parla di Europa e di europeismo con una forza che 7 candidati su 8 alle prossime  elezioni se la sognano. Accenna pure agli immigrati di oggi, alle altre Sant’Anna, sparse qua e là sul pianeta, ieri e oggi. Sembra abbia lacrime per tutte.

Conclude, ringrazia ancora. Questa volta sono le mani di chi ha ascoltato in silenzio a stringersi attorno alle sue. Mani di ragazzi, di professori, di ex partigiani. Mi colpisce una giovane donna: il fazzoletto tricolore dell’Anpi, portato al collo con fierezza, inevitabilmente scompiglia un po’ il quadro della sua eleganza, dei suoi abiti ricercati, della sua pettinatura.

Ci si guarda attorno, intanto, tutti un po’ spaesati, gli occhi lucidognoli: qualcuno legge i nomi delle vittime dell’eccidio, qualcuno guarda la statua posta ai piedi del sacrario, qualcuno guarda lontano.

Poi torna Enrico Pieri. Se ne va e vuole stringerci ancora una volta la mano, a noi che veniamo da lontano e a chiunque i suoi occhi incrocino per dire grazie. A una studentessa cinese, per esempio, e ai miei cuccioli.

 

Postilla: a Sant’Anna di Stazzema, quel giorno, i tedeschi furono accompagnati da collaborazionisti versiliani, alcune di quelle “persone in buona fede” di cui ha appena parlato Silvio Berlusconi.

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