Res cogitans, Soletta

“Niente” da leggere

I sociologi parlano di “effetto clessidra”. L’idea che sempre più spesso, al mondo, si vada assottigliando il numero degli appartenenti alla cosiddetta “classe media”, in favore di chi sta in alto (i ricchi) e a discapito di chi sta in basso (i poveri). L’antropologo Alberto Salza concorda in linea di massima con la tesi, la trova sostanzialmente efficace, ma decide di cambiare metafora: quella non è una clessidra, quello è un cesso. Sì, perché quelli che sono in alto possono sentire l’aria e vedere la luce, ma a quelli che stanno in basso tocca nuotare nella merda.

È cinico e raffinato, ironico e provocatorio, Niente (Come si vive quando manca tutto, antropologia della povertà estrema, Sperling e Kupfer). E sconvolge e prende a sberle, anche se come me uno ne ha lette per ora soltanto le prime 70 pagine. Ma d’un fiato.

Colpiscono le parole – sentenze – di quelli che non hanno niente, a parte una smisurata saggezza e una grande dignità. Compaiono qua e là, mescolate a teorie economiche e modelli matematici. Pronunciate da pescatori di laghi asciutti e da pastori del deserto.

“I soldi non danno la felicità, figuratevi la miseria…”.

“Lava, lava, tanto non diventerai mai nero come me…”, rivolto all’autore che si toglie di dosso la polvere di un viaggio, nell’Africa dove il bianco è il colore dello sporco.

“Occorre camminare cinque mesi nei sandali degli altri, prima di capire se stessi”.

“Essere poveri è come essere vecchi”.

“Essere poveri significa non avere nessuno con cui vivere”.

“I poveri sono coloro che non hanno accesso alla scuola”.

Frasi così, pronunciate da chi non ha niente ma anche quando parla di miseria non allude mai alla miseria materiale.

Frasi così, dentro un libro con una strepitosa foto in copertina.

Coverbook

 

Oggi è un giorno di scoperte. C’è anche, infatti, questo giovane e bravissimo fotografo.  

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