Cineserie, Soletta, Stream of consciousness

Andare a Erenhot

In edicola da oggi, il nuovo numero di “Diario” è un ottimo compagno di viaggio. Per chi va in vacanza e per chi – fortuna sua – riesce a viaggiare anche con la mente per sintonizzarsi con le cose che succedono nel mondo. Quelle che succedono davvero e che lasciano tracce.

A pagina 120, ad esempio, Piumetta racconta di un suo viaggio coraggioso in una città cinese di confine. Un luogo pazzesco, che sembra nato dalla fantasia di uno scrittore. E invece no, sta lì e brulica di personaggi. Veri, verissimi. Leggere il reportage è come conquistare un luogo prima d’ora inesplorato – hic sunt leones!!! – e metterci una personale bandierina di conoscenza.

diario2

Standard
Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Prof.ssa Militello, prenda pure una cadrèga…

Prendessero davvero alla lettera, i tanti colleghi meridionali, i diktat del Carroccio zoticone… Aggiungessero ai loro piani di lavoro testi in dialetto e nelle lingue minoritarie dei luoghi dove sono chiamati ad insegnare. Si divertirebbero un sacco e soprattutto contribuirebbero a sfornare generazioni di ragazzi immuni da virus xenofobi, strenui oppositori di partiti territoriali dalla vista corta e dalla pancia rumoreggiante. Sì, perché le opere dialettali (o in lingua, nel caso ad esempio del friulano) veicolano da sempre (ed evidentemente all’insaputa della Lega…) contenuti radicali e progressisti, insegnano tolleranza e spalancano mondi. Aiutassero davvero, i tanti colleghi meridionali, i leghisti a darsi la zappa sui piedi.

 

Al ven su l’aiar pe strade

te memorie, malade

dai vecjos tornâts fruts

ven su l’aiar

feroz ch’a nol à pôre di nessun

al ven, al tire

adun

fueis, ideis

sul barcon ch’a tu mi âs

sierât in muse

cence dî nuie

aiar di ploie

e nûi môi, come bombâs

aiar ch’a nol tâs

e al sivile, al tormente

si incazze desperât

aiarat

ch’al rive di lontan

Maistrâl, Sclâf, Tramontan

aiar tzigan ch’al mene semencis di tale

di orâr

aiar peçotâr

contadin

imigrât clandestin

aiar Garbin, Scjafoiaç

aiar di burlaç

Zefir, Gurizan

Aiar rosean, disminteât

aiar frêt di Cividât

Buere

odôr di tiere

sparide tal ciment

aiar content

ch’al cen su pe strade

te memorie, malade

dai vecjos tornâts fruts

sierâts tal ospedâl

aiar spaziâl, di Bielestele

aiar ch’al sberghele

ch’al vai

rincoionît

aiar smavît

ch’al çuete tal vignâl

aiar ch’al stâ mâl

ch’al vuarìs

si ferme, al partìs

al va, al torne

aiar ch’al duârm

te gorne

partiere

tes velis di une nâf

aiar blâf

zâl, ros, miscliç

fi metiç dal marimont infinît

aiar ch’al rît

 

 

Maurizio Mattiuzza, Aiar

 

[Vento

Viene su il vento per la strada / nella memoria, malata / dei vecchi tornati bambini / vien su il vento / feroce / che non ha paura di nessun / viene a raccogliere / foglie, idee / sul balcone che mi hai / chiuso in faccia / senza dire nulla / vento di pioggia / e nubi molli, come bambagia / vento che non tace / e fischia, tormenta / s’incazza disperato / vento forte / che arriva da lontano / Maestrale, Salvo, Tramontana / vento tzigano / che porta sementi di tarassaco / di alloro / vento stracciaio / contadino / immigrato clandestino / vento di Libeccio, afa  / vento di bufera / Zefiro, Goriziano / vento resiano, dimenticato / vento freddo di Cividale / Bora / odore di terra / sparita nel cemento / vento contento / che vien su per la strada / nella memoria, malata / dei vecchi tornati bambini / chiusi in ospedale / vento spaziale, di venere / vento che grida / che piange / rincoglionito / vento sbiadito / che zoppica nel vigneto / vento che sta male / che guarisce / si ferma, parte / va, ritorna / vento che dorme / nella gronda / per terra / nelle vele di una nave / vento blu / giallo, rosso, mescolamento / figlio meticcio dell’universo infinito / vento che ride]

Standard
Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Stanno meglio quelli che stanno peggio

Un corpo d’ebano ricoperto di collanine, pendagli, braccialetti. Sulla testa un cappello di paglia con sopra un cappello di paglia con sopra un cappello di paglia ecc.: merce esposta. Ai piedi – piedi che han camminato tanto e si vede – sandali consumati. In faccia pace e sorriso. Nessuna inquietudine, nonostante alcuni suoi colleghi siano bloccati all’ingresso del piccolo parco da un carabiniere spaesato che aspetta rinforzi. Pace e sorriso di un corpo d’ebano ricoperto di colori. E gli affari vanno, la gente tratta e lui si finge inflessibile, poi dice “vabè” con una “b” sola e accetta gli euro di chi è convinto di averlo fregato. Pace e sorriso basterebbero, ma lui, che è senegalese e a dirmelo è il ciondolo a forma di bandiera attorno al collo, ha anche qualcosa in più. Ha anche l’ironia. L’ironia che davanti a due clienti che lo hanno illuso di voler comprare di tutto e che alla fine non comprano niente gli fa esclamare, mentre si allontana dinoccolato: “MANNAGGIA LA NIGERIA…”.

Standard
Soletta, Stream of consciousness

Professione di intenti mancati

Appena tornato da un incontro pubblico con Umberto Ambrosoli. La normalità del bene, e un racconto tanto civile da non sembrare quasi italiano. Vorrei scrivere e dilungarmi, ma non so perché non ci riesco. Penso valga tacere e buttarsi a capofitto nella lettura. Quella del suo libro, ad esempio. Ma ho voglia di entrare, ad esempio, anche nella Patria di Enrico Deaglio. Un migliaio di pagine dove nascondermi e stare un po’ zitto, ché la pozzanghera c’è e mi saprà aspettare.

Oggi mentre pedalavo in salita pensavo a un bel post sulla Cina, la mia Cina di un anno fa (non quella di 3 anni fa). Poi, no. Poi mi sono detto: un’altra volta. Al concerto di Madonna – ebbenesì – avrei voluto avere il computer appresso per raccontare tutto quel mondo che non riusciva proprio a stare fermo. Dal concerto di Fossati, ad Aquileia, avrei riportato emozioni e musica vera, quella sì. Gianmaria Testa a Cividale – è un tempo di concerti, I know – mi ha graffiato come sempre con la sua voce, ma anche di lui non voglio scrivere.

A Topolò per la seconda volta, un pezzo minimalista per il blog mi è venuto incontro nelle sembianze di un cane. Proprio lui, lo stesso dell’incontro con Gian Luca Favetto. Si era seduto al mio fianco allora, si è seduto al mio fianco ieri, anche se il luogo del paese era un altro e nonostante ci fossero altre 70 persone. No, lui viene vicino a me.

Però non ne voglio scrivere e non ne scrivo. Pazienza.

Verrà il tempo.

Standard
Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

Diane corre

Gli articoli dei quotidiani diventano ogni giorno più sintetici. A volte è un bene, non servono 300 righe per dire di un’orgia a casa del Primo Ministro. A volte è un male, e le storie stanno strette dentro abiti small, traboccano come i litri dentro le tazzine da caffè. Capita anche oggi, a pag. 34 di “Repubblica”. Metà pagina per la pubblicità, una foto brutta ma necessaria, uno schema cervellotico, il titolo impreciso come sanno essere i titoli. L’articolo: la superficie di due scontrini fiscali. Per fortuna che esistono altri mezzi, altre vie. La storia di Diane Van Deren ha bisogno di fiato, ha bisogno di andare a capo spesso come ha fatto spesso la sua vita. Diane è una madre ed è anche una donna da sempre molto sportiva. Un giorno si ammala, una forma di epilessia, una forma grave. La operano, le asportano una parte del cervello. Via un pezzo di lobo temporale destro e con lui via la memoria e il senso dell’orientamento. Non la memoria dei giorni prima di quello dell’operazione, la memoria sempre. Del tipo: “Buongiorno, oggi è il 13 gennaio e io sono tuo marito, questi sono i tuoi figli, questa è casa tua e questo è un tuo giorno”. In questo senso, la memoria sempre. E l’orientamento, perde, anche se a questo punto vi sarà sembrato il male minore. Ma non lo è, perché Diane corre. Corre e ama correre in condizioni estreme. Vince gare a 44 gradi sotto zero, corre di notte con una lampada in fronte. Nello zaino tutto il necessario, soprattutto le istruzioni per l’uso: “questa è acqua, bevila spesso…”. Andare di qua, a destra; andare di là, a sinistra: concetti fuori dalla portata di Diane. Parti, corri, ecco una strada. Questo sì, questo si può fare e Diane lo fa. Ogni tanto non ritorna, passano 5 ore e i familiari se la vanno a riprendere.  

 

Standard
Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Le tre domande

Mi è già capitato di rubare a larghe mani da questo blog. A volte è davvero più forte di me.

 

 

“Qual è il tuo piatto preferito, quello che mangi quando sei triste o felice?”

 “Latte e biscotti”.

 

“Cosa fai quando sei triste o felice?”

“Scrivo”.

 

“E dimmi: a cosa o a chi pensi quando sei triste o felice?”

 

Lei sorride, arrossisce, abbassa leggermente gli occhi, e lui la anticipa.

 

“Pensi che vorresti mangiare tanti biscotti con il latte?”

E con una battuta rispetta il suo segreto.

 

“È una cosa tua, ma la risposta ce l’hai, si è visto nel tuo viso. Immediata. Quindi sai tutto di te. Noi siamo in queste semplici risposte. Tre. Da nessun’altra parte. Siamo quello che mangiamo e desideriamo, siamo quello che facciamo, siamo quello a cui pensiamo quando siamo tristi o felici. Sono le cose che amiamo a pelle e dobbiamo volerle per non tradire noi stessi”.

E aggiunge: “In quelle tre risposte ti sei illuminata, eri certa, non capita a tutti. Sono le tre cose della tua vita. Sei tu. Non cercare da altre parti, perdi solo tanto tempo per accorgerti poi, troppo tardi, che alla fine approdi sempre lì, in quelle tre cose. E se è troppo tardi quelle cose non ci sono più e ci puoi approdare solo con il rimpianto. E, credimi, non è la stessa cosa immaginare di mangiare i biscotti zuppi di latte, meglio assaporarli veramente. Ricordando di togliersi, prima, i guanti di scena”.



(Dialogo tra il signor Giovanni, 87 anni, e Chiara, 35)

 

E poi bisogna pure rispondere.

Quindi:

 

QUALCOSA CON LA VANIGLIA

 

CANTO

 

[…]

Standard
Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

Chi guarda Topolò sappia che Topolò

Metti una sera non qualsiasi, a Topolò. C’è uno scrittore che parla, che racconta. C’è un cielo che sfoglia la margherita e fa “piove o non piove”. (Non pioverà.) Ci sono poche panche, ma la possibilità di sedersi per terra, o sul muretto. E rimanere in piedi, certo, si può. In fondo è in piedi anche lo scrittore e in piedi comincia a parlare sopra una musica di fisarmonica. Quello che la suona è seduto su una vecchia sedia di legno. I libri da cui leggere e attorno ai quali tessere trame sono due. A turno, mentre uno è nelle mani dell’autore, l’altro è appoggiato sull’erba, a faccia in giù. Uno – grigio chiaro – c’è il rischio che si sporchi, anche se ovviamente non sarebbe un problema, l’altro ha la copertina verde e  il rischio è quello di perderlo tra i ciuffi di prato.

C’è un cane, sicuro che c’è anche un cane. Cammina un po’ tra le gambe di chi ascolta finché si sdraia su un fianco e rimane lì, nel suono della voce dello scrittore, proprio come ci fossero solo lui e la voce dello scrittore.

C’è una mamma che è anche una poetessa e ad un certo punto si alza e se ne va sul più bello. Ma cosa c’è di più bello di una mamma poetessa che riappare con una maglia da appoggiare sulle spalle della figlia rimasta in ascolto, ché nel frattempo s’è alzata un’arietta pungente?

Ci sono una vecchia nave di cui smaltire i metalli, c’è Sarajevo, c’è una macchina fotografica, un campo di basket, la Sicilia e un pugno di vite vissute: tutta roba portata dallo scrittore.    

C’è una sera non qualsiasi, una sera così, a Topolò. Nei prossimi giorni ce ne saranno altre e mai “soletta” è stata più sincera.

Standard
Res cogitans, Soletta

Il disprezzo

Si torna all’amaca di Michele Serra, a volte, come ad una passeggiata all’aria aperta dopo un mese di su e giù dai mezzi pubblici nel caos metropolitano. A differenza dei blog, che ti accolgono ma ti mandano subito via sulle tracce di qualche link che dovrebbe fungere da approfondimento, ma più spesso finisce per deviare l’attenzione verso altro, il trafiletto quotidiano lo puoi leggere e rileggere, puoi assaporarne il ritmo, la scelta delle parole.

Non è facile essere freschi e originali una volta al giorno, trecentosessantacinque volte all’anno, e a volte mi succede pure di abbandonarlo dopo 4 righe, il mini corsivo quotidiano. Ma quando è come quello di oggi, vale la pena impararlo a memoria.

 

«Decisamente simpatico, e ancora un gran bell’uomo, l’ex playboy Gigi Rizzi ha raccontato da Bruno Vespa il suo antico flirt con Brigitte Bardot. La rievocazione ha avuto accenti perfino teneri, con qualche divagazione diciamo storica sugli anni ruggenti di Saint Tropez e sull’impenitente tirar mattina di quel mondo svagato, benestante e allegramente pirla. Ma nel carattere maschile italiano, purtroppo, è parte fondante quel genere di vanteria che tiene in gran conto il palmares, e in nessun conto, ahimè, la discrezione. Assistito con gongolante complicità da Paolo Limiti e Bruno Vespa (in rappresentanza dei non playboy), Rizzi ha tenuto a enumerare, con finta nonchalance, il numero delle trombate giornaliere con una delle ragazze più belle degli ultimi diecimila anni. Non rendendosi conto che il dettaglio, non richiesto, aggiungeva pochissimo al fascino di quella storia, e toglieva a Bardot, che è una signora, il diritto di non sentirsi esibita come un trofeo sessuale.

Ogni rilievo in questo senso è comunque inutile. Il coro italiano ama definire “invidia” ogni possibile richiamo alla misura. Altri e più celebri vantoni nazionali ce lo insegnano: attribuiscono all’invidia degli inferiori tutto ciò che li supera per buon gusto».

 

Aveva capito tutto, Jean Luc Godard, quando nel Disprezzo faceva pronunciare a BB una sfilza di volgarità gratuite senza che in nulla fosse intaccata l’eleganza del film, senza che il quadro generale scadesse, senza oltraggiare il gusto. Ed è facile capire oggi come tre signori per bene (Vespa, Limiti e il Playboy per antonomasia), eleganti e moderati, possano sulle loro bianche poltrone vomitare tutta la volgarità di questo paese.

Standard