Le storie di Scuolamagia, Piccola posta, Soletta, Stream of consciousness

Paolo è stato un mio alunno dal 29 settembre 2001 (come faccio a ricordarmelo? Beh, era il primo – insperato – giorno di scuola del mio secondo anno da prof., era il giorno dell’articolo sul “Corriere” di Oriana Fallaci, quello post 11 settembre…) al 21 giugno 2004. Forse era il 22, qui i miei riferimenti sono meno precisi.

A 5 anni dal suo esserne stato licenziato dopo un contributo essenziale di simpatia e originalità, ha deciso di fare della sua vecchia scuoletta (il suo portone, la colonna, il recinto del cantiere per l’impianto a biomasse…) il set per uno dei suoi video in cui si esibisce nell’arte (?) del (della?) Jumpstyle. Non so altro di questa pratica (moda? tendenza? stile di vita? religione? filosofia?) se non quello che dicono i piccoli e armonici balzi eseguiti con maestria da Paolo. La novità dell’operazione, che spero venga subissata di click da parte del popolo di YouTube, è lo scenario. Immagino che i pionieri del Jumpstyle abbiano fondato e sperimentato la loro creatura sullo sfondo di paesaggi metropolitani, tra i cavalcavia e i sottopassaggi pedonali, tra parcheggi marciapiedi e tombini. Nel grigio, comunque. Paolo ci mette panorami di vette, alberi verdeggianti e ruscelli di montagna: decisamente più originale e, mi sbilancio, quasi rilassante.

Il primo sasso nella piccionaia di Scuolamagia, quest’anno, l’ha lanciato Paolo. Che sia l’anno del Jumpstyle?

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

Feccia tricolore

Quando chiuderanno la mia e molte altre scuolette, in nome di salutari politiche di contenimento della spesa pubblica, so per certo che una sana e dignitosa malinconia cederà il passo al rabbioso conto degli sprechi veri, degli sciali reali che gridan vendetta. I cavalcavia che si interrompono come terrazze sul vuoto, gli ospedali mai portati a termine, le opere incompiute tutte; gli eserciti di assunti per nullafare e nullaprodurre; i soldi del canone televisivo bruciati in spettacoli da voltastomaco. Eccetera. Ma in cima alla lista mi verrà in mente la gloriosa e patriottica pattuglia acrobatica (e sempre di bandiere finiamo a parlare…) che presto onorerà l’amico tiranno. Sperando che non gli faccia volar via la mirabile tenda.

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Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Sbandierare il mondo è possibile

Il nero è la sofferenza del passato, il giallo è il sole che sorge, verde vuol dire speranza. È presto spiegata la bandiera della Giamaica che sventola sul cielo sopra Berlino. Ma l’atletica che dà spettacolo in occasione dei mondiali tedeschi non è forse la dimostrazione che quei rettangoli di stoffa – lanciati dagli spalti in direzione degli atleti vincitori, issati sui pennacchi durante l’esecuzione degli inni – potrebbero essere finalmente banditi?

Oppure, meglio: potremo finalmente deciderci ad amarle tutte le bandiere, soprattutto quelle altrui, esattamente come invitava a fare Alex Langer, indimenticato costruttore di ponti. Siamo tutti berlinesi, in fondo, e non possiamo non dirci giamaicani, soprattutto dopo che un fulmine giallo nero e verde ci ha fatti sobbalzare sul divano. Ma siamo anche un po’ russi, ammettiamolo, basta che una saltatrice con l’asta di quella nazione si metta a piangere come una bimba davanti al suo giocattolo rotto. Siamo etiopi, almeno un pizzico, durante un cinquemila che ci fa sentire profumo di altipiani. Siamo americani – certo, lo siamo spesso per mille altre cose – quando un centometrista fa la faccia triste perché più di così lui non riesce proprio a correre e quel suo sforzo sovrumano non è servito a niente. Siamo croati davanti alla cavalletta che ha ricominciato a danzare, dopo che per un anno a ballare sono stati solo i suoi nervi. Per un attimo stiamo per dirci tedeschi in onore del muscolosissimo discobolo biondo che si strappa la canottiera e gioca a fare l’incredibile Hulk… poi lo immaginiamo con stivaloni nazi e la sua esultanza ci sembra molto meno divertente di mezzo sorriso giamaicano… ma poi ci giriamo dall’altra parte e abbracciamo di tifo la saltatrice crucca e un po’ punk che corre ad abbracciare l’avversaria da cui è stata sconfitta e subito la incita mentre tenta il record del mondo.

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Sotto gli occhi dei bambini

Due notizie che si guardano allo specchio: accade spesso.

 

Italia, esami di stato conclusivi al termine del primo ciclo di istruzione, gli esami di terza media, insomma, e in particolare la Prova Nazionale nuova fiammante, quella oggettiva, quella uniforme, quella che fa statistica e che fa classifica. Qual è la notizia? Semplice, si tirano le somme e si scopre che in tantissime, in troppe scuole si è giocato sporco, si è barato: gli insegnanti hanno indicato la casellina giusta da crocettare, o hanno permesso che gli studenti crocettassero in gruppo, unendo le forze. Importanti sociologi dicono che in fondo è normale e che si poteva prevedere: è l’atavica ritrosia degli insegnanti nel farsi giudicare. E un alunno asino non può che segnalare la presenza di un docente asino. Ottimisti, i sociologi: sarebbe come a dire che l’elevato numero di trasgressori dei limiti di velocità sia indicativo del desiderio degli automobilisti di non passare per ritardatari.

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Cina, concorso pubblico. In una grande aula i banchi sono riempiti da colletti bianchi: impiegati statali che mirano ad una promozione. Ad un progresso nella loro carriera, ad un passo avanti. A controllarli c’è un piccolo battaglione di bambini delle scuole elementari. Solerti e impeccabili sanzionatori: i 18 cuccioli rileveranno in sole due ore 25 infrazioni.

 

Chissà perché i bimbi. Che gli adulti si sentano moralmente colpevoli nel commettere imbrogli davanti a testimoni innocenti per natura? Che i piccoli risultino impermeabili ai tentativi di corruzione? O sarà per il baricentro basso e per la vista più fresca, utili nell’individuare le manovre dei trasgressori… Chi lo sa…

 

Nessuna lezione, sia chiaro. Anche perché la Cina in fatto di corruzione non è certo il pulpito migliore da cui far partire una predica. Però le due notizie stridono ugualmente. I grandi che insegnano ai piccoli la corruzione – i piccoli che insegnano ai grandi l’onestà.

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Maestra Suor Amaranta

«Ieri in classe i bambini erano pochi, e d’improvviso mi sembravano tutti più alti di qualche mese fa, quando li ho visti per la prima volta. Più alti e già un po’ più seri, indaffarati nelle loro cose, un castello, un foglio da colorare, pupazzi da animare. Gabriele giocava con tre dinosauri, papà, mamma e figlio, mi ha detto. Li strofinava tra loro, poi li faceva azzannare, uno cadeva riverso sul pavimento, gli altri lo prendevano a zampate, poi si baciavano tutti con quei musi e quei dentacci, si mettevano a letto: fanno la nanna perché sono tanto stanchi, diceva. È vero che non esistono più i dinosauri? Mi ha domandato dopo un poco. Si sono estinti, Gabriele. Estinti, vero? Significa che non ci sono più, Gabriele. Stanno in cielo con nonna, vero?

Ho immaginato un cielo pieno di tirannosauri e nonni morti, una vallata antica.

Martina teneva in braccio una bambola senza una gamba, la cullava e le cantava piano una ninna nanna. Non dorme, diceva, io sono una brava mamma ma lei non dorme. Non mangia nemmeno. Io la imbocco e lei sputa tutto. Ogni tanto le baciava la testa clava, e la bambola mandava un singulto di pile mezze scariche.

Coraggio, ho detto, adesso incrociate tutti le braccia sul banco e poggiateci sopra le testoline, chiudete gli occhi e dormite un poco. Ho abbassato gli avvolgibili mentre i bambini si sistemavano. Lo stanzone è calato in una penombra serena, traversata appena da sottili lame di luce, da una polvere dorata. Dopo pochi minuti erano altrove, nel sonno che pulisce.

Eppure anche dormendo qualcuno si muoveva un poco, e mugolava, e diceva no e di più e mamma. Nemmeno laggiù la vita li lasciava in pace, entrava nelle pieghe della mente e scuoteva quei piccoli corpi. Ognuno ha dentro di sé la propria dannazione, più cerchi di distanziarla più quella ti si aggrappa addosso. Bevi, viaggi, preghi, cambi nome, posto, pensieri, compagni ma lei non ti molla. E non cambia mai, è sempre la stessa da quando sei bambino, sempre intera e presente, come un cane in una gabbia che non si apre.

Solo Luca non dorme mai. Gli altri bambini stanno col capo reclinato tra le braccia, ma lui sta dritto, i palmi aperti poggiati sul banco, e lo sguardo grande e vuoto.

Ieri però non c’era, in questi ultimi giorni manca sempre più spesso. Avrei voluto dirgli sono pronta, tutto accadrà domani che è domenica. Ma forse lui già lo sa».

 

Marco Lodoli, Sorella, Einaudi

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Le lacrime di San Lorenzo e le lacrime di Sant’Anna

santanna

La madre di Chiara Poggi parla sottovoce e soltanto al citofono. Il giornalista è aitante e non sembra dolersene, ad andare in onda saranno la sua camicia e i suoi riccioli chinati sul piccolo altoparlante sopra il campanello. La madre del ragazzo precipitato con l’elicottero a New York ha lacrime da vendere e la Tv si vede che muore dalla voglia di raccoglierle. La telecamera si avvicina fin troppo, quasi deforma, quasi tocca. Le lacrime dei superstiti di Sant’Anna sono le uniche che vorrei vedere, le uniche che avrebbe senso mostrare a tutti. Anche se è Ferragosto, questa specie di natale al caldo, solo un po’ più silenzioso. Penso al signor Enrico Pieri e al suo peso sull’anima, alla fatica di questo dodici agosto e a quella del dodici agosto che sarà domani, e via col prossimo, dopodomani.

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