Le storie di Scuolamagia

Se sulla punta della lingua non c’è Sanaa e non c’è nessun’altra ragazza che viene dall’Africa

Dentro un racconto, il secondo giorno di scuola, c’erano il bambino Marco e il bambino Abdullah. Era una lettura semplice e immediata per dire fin da subito le sperequazioni del mondo. Una storiella alla Giorgio Gaber con una mamma coccolona italiana che consegna al suo cucciolo che va a scuola un Bacio Perugina e una mamma nordafricana che consegna al suo cucciolo che va a scuola un bacio, (pausa) …e basta.
Una storia che funziona, che i ragazzini colgono e apprezzano. Come accade spesso non si tirano indietro quando dico: “adesso rilegge qualcuno di voi”. E subito: “chi fa Marco? Chi fa Abdullah?”.
Però in classe ci sono le Debore e le Camille, le Ilarie e le Anne, ecc., e se il “Marco” del racconto può diventare una “Maria” o una “Mirella”, “Abdullah” può cambiare sesso e diventare…
Eh, diventare…

Saranno 10 i secondi di memoria brancolante nel buio, sarà breve questo istante di amnesia onomastica, ma c’è. In me prima di tutti. È concreto, si tocca. Mettersi in bocca un nome femminile di provenienza diciamo – semplificando – africana è più difficile che battezzare, sia pure banalmente, un maschietto dalla medesima provenienza.
Poi ci soccorre, al solito, la cronaca, che ci presenta dopo poche ore il viso di Sanaa. Era così difficile, il giorno prima? Marco e Abdullah – Maria e … Sanaa.
Il viso di un’uccisa, come era già stato per Hamina. Com’era già stato per delle condannate a morte, ricordate? Safiah, Amina.
Certe tragedie dettano alle comunità umane disperati appelli al progresso e alla lotta contro la barbarie. Istituzioni e religioni chiamate in causa da vicende come quella di Sanaa è necessario raccolgano sulle spalle pesanti matasse da sbrogliare.
Noi, dalla nostra riva apparentemente lontana da quelle tempeste, però, sarebbe bello imparassimo almeno qualche nome. Femminile.

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