Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Soffio

Sto camminando al centro dell’aula. In mano la pila dei quaderni. Ci sono le parole belle che hanno scritto per casa, vanno lette pubblicamente come si leggono le notizie urgenti. Lo faccio sempre, lo faccio alle 8 di mattina. Mentre ancora sbadigliano e, nonostante gli sforzi pedagogici di Topo Gigio, si stanno ancora stropicciando la faccia con le mani piene di microbi. Cade un foglio da uno dei quaderni che stringo goffamente sotto il braccio, una vecchia fotocopia. È colpa mia, voglio reggere troppe cose oltre a quei 28 occhi curiosi. Mi chino a raccogliere l’A4 piegato in due, mi rialzo di scatto e – capita anche a voi, no? ditemelo, vi prego, che capita anche a voi… – la testa è una trottola e mi fa girar come fossi una bambola. Ma non mi butta giù, mi spavento soltanto e cerco per qualche istante la cattedra, dovrebbe essere lì, da qualche parte. Mi siedo per continuare a leggere, sposto il registro di classe, faccio come niente fosse e mi rituffo dentro i corsivi selvaggi che ho strigliato di rosso passione.

 

«No, non lì. Se si siede lì mi sembra un prof…».

 

Seduta sul banco ad ascoltare, perentoria come sa essere, con quella vocetta che a volte è un vulcano e a volte è un soffio. Questa volta è un soffio. Faccio una pausa, poi continuo.

Mi girava la testa, adesso mi gira la vita perché non so più cosa sono.

 

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Imago, Le storie di Scuolamagia

Rugbymagia

Un insegnante può scrivere quello che vuole nel suo “piano di lavoro annuale”. Tanto poi le cose andranno diversamente e lui si troverà a fare altro. Chi l’avrebbe mai detto che l’argomento di una mia lezione – una lezione di italianostoriageografia – sarebbe stato il rugby.

Uno sport di cui sapevo e so praticamente nulla, se si escludono i luoghi comuni sulla nobiltà e l’alto tasso di etica, inversamente proporzionale alla foga agonistica e all’apparente violenza dei gesti atletici.

Ma il 21 novembre in regione sbarcheranno gli Springboks sudafricani e un concorso mette in palio la possibilità di portare i cuccioli allo stadio a scoprire un mondo. E quello a scuola ogni giorno si fa: si scoprono mondi.

corsa

Per giorni mi sono tuffato in uno studio matto e disperato, tra i libri e la rete, tra gli articoli di Corrado Sannucci di “Repubblica”, spentosi poche ore dopo aver messo duramente all’opera la mia stampante, e i video di YouTube. Parallelamente ho preso per la prima volta sul serio la figura di Nelson Mandela, andando oltre i luoghi comuni della cultura generale e scoprendo dettagli molto affascinanti. Quel grande uomo rifà il suo letto ogni mattina, non importa se abbia dormito a Città del Capo o alla Casa Bianca. Non importa se le cameriere di Shanghai s’incazzano pure, e io che un letto d’albergo nella Parigi d’oriente l’ho rifatto so che la situazione non è delle più facilmente gestibili. Mandela che subisce angherie per anni da un manipolo di carcerieri e quando, dopo anni, può ricevere il suo avvocato interrompe il colloquio dicendogli “oh, devi scusarmi, non ti ho ancora presentato Tom, George, Stephen…”. Lasciando esterrefatti i propri aguzzini.

Gruppo

Poi finalmente arriva un giorno di quasi inverno su un campetto di calcio in un paesino di montagna. Si gioca a fare il rugby con le sue regole complesse e il suo linguaggio che in fatto di complessità non scherza. I cuccioli sono eccitati, forse un po’ nervosi, neanche si trattasse di una verifica in classe. Finalmente prende il sopravvento l’innata allegria, l’istinto al gioco. Maschi e femmine eseguono antiche danze neozelandesi (che nulla hanno a che vedere con gli Springboks, ma quando ricapita?), si tuffano verso la meta, fanno mischia, si immischiano.

Tuffo
Alla fine sporco loro la faccia di fango, un impasto di terra da fiori e acqua di rubinetto. Faccio clic, fermo sorrisi gioie e imbarazzi.jpg.

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Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Una domenica trascorsa pensando al lavoro, quello del 2020

Ho già scritto una volta del mestiere dei miei sogni, uno dei pochi che potrebbe farmi rinunciare quello che ho scelto e del quale i sogni sono materia quotidiana.

Il creatore di cerimonie d’apertura olimpiche. Il CDCDAO. Un lavoro decisamente creativo, mosso dall’imperativo di incantare il mondo. Annessi e connessi: si viaggia parecchio, si alloggia in buoni alberghi e se si è bravi c’è un triennio di ferie. (Anzi no. M’ero scordato i giochi invernali…).

Oggi sento della candidatura di Hiroshima e Nagasaki per l’edizione 2020. E il pensiero, dopo un’istintiva e convinta adesione al progetto, va al CDCDAO che dovrà raccontare con luci musiche coreografie cavi d’acciaio effetti speciali cerchi e torce costumi macchine sceniche bandiere e corpi, tanti tantissimi corpi, il senso di quell’evento lì. Di quell’evento, lì.

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Res cogitans, Stream of consciousness

Il lodo Basaglia

 

Mi connetto in cerca di un Lodo e trovo una Legge. È un bel trovare, perché la legge è la 180 e il sito del “Corriere”, al solito un’accozzaglia di frivolezze, ha allestito un bel forum on line dalla sua prestigiosa Sala Buzzati. Ci sono politici e medici, operatori e pazienti. Modera Massimo Cirri di Caterpillar, distillando ironia come soltanto lui sa fare. L’evento è fortemente voluto da Claudio Magris, che in prima fila ascolta attento come neanche il giorno della discussione della mia tesi. Vabbè: emoticon col sorrisino di quando uno dice una cazzata e andiamo avanti.

A un certo punto, finito un primo giro di interventi dei relatori, parte il dibattito. E lì è come se una piccola diga cedesse, la diga delle persone compunte, abituate al confronto pubblico, alla faccia istituzionale. Tra le persone in sala il clima è diverso. Sono quasi tutti parenti di pazienti psichiatrici. La diga non tiene più, la 180 è buona giusta ma quello che opprime e calpesta è la realtà della sua applicazione. Prevalgono tra i presenti gli umori del giorno, e quel clima barbaro di cui si parla sempre a proposito dei nostri rappresentanti politici ma che non avevo mai misurato sulla pelle. Stasera sì, invece. Una madre racconta indignata le disfunzioni del servizio pubblico alle cui cure è affidata la figlia. Emotivamente provata fa di tutta l’erba un fascio, è evidente che quello esposto è un caso particolare che non può essere esteso all’intero universo della psichiatria italiana. Ciononostante, nulla impedisce ad un altro partecipante al forum, seduto qualche sedia più indietro, di radere al suolo quella madre, ricordandole come molto probabilmente sia lei, che non capisce un tubo, la causa dei problemi della figlia, che evidentemente non ama abbastanza. Così, come se quella fosse una normale arma retorica e non una fucilata nel petto.

Un clima così, che parla di un paese “materiale” mai così lontano da quello “formale”, dimenticato chissà dove magari dentro le parole di qualche antica nobile legge.

Il dibattito continua e un altro componente del pubblico fa riferimento ad una donna seduta al tavolo dei relatori in qualità di paziente psichiatrica, chiamandola “il caso di cui si parlava prima”. Mi permetta, interrompe incredulo Cirri, non è un caso, è una Persona.

 

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