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Dei bambini non si sa niente

Nella mia classe ci sono tanti simboli. Sopra l’interruttore della luce c’è una foto di Erminie Da Pesariis, la centenaria che ogni giorno ci ricorda l’importanza delle parole chiare. A fianco della lavagna c’è Sara la desaparecida, anche lei a suo modo allegoria di molte cose. In fondo all’aula c’è il grande drago di cartapesta, ex oggetto scenico in uno spettacolo teatrale, contenitore di tutto un po’. Con i suoi dentoni e i grandi occhi di polistirolo ci parla quotidianamente di condivisione, di ciò che è mio ma anche tuo. C’era una foto (in realtà un ritratto di Pericoli) di Calvino, ma mi pare che non ci sia più. Ci sono immagini autori letti, di Benni, di Riccarelli, di Baricco e di Favetto. Di Marco Paolini e di Don Milani. C’è il logo di Caterpillar. C’era una maschera teatrale, un volto ruvido e terribile, rappresentava – quindi ecco un altro simbolo – la faccia del terremoto in un altro dei nostri eventi teatrali.

Sono legato ad ognuno di questi oggetti. Ognuno di questi oggetti mi ricorda momenti emotivamente indimenticabili e veicola valori decisamente universali. Ma ognuno di essi è perfettamente inutile. Perché loro, i ragazzi, guardano altro. Non lo so se sia un bene o un male. Quando giocano a pallacanestro nella bocca del drago mettendo a rischio la sua dentatura, quando sparano stoppini in faccia a Sara, quando si stacca lo scotch dietro la testa di Baricco e quella chioma riccia resta lì ciondolante senza nessun soccorso, ecco, quando tutto questo accade penso che sia un male. Ma è così. Non è nemmeno vero che la giovinezza impedisca loro di guardare verso il passato, verso la tradizione, per una qualche propensione al futuro. No, non guardano nemmeno avanti. Guardano altrove. A volte credo abbiano negli occhi cose bellissime, a volte che prevalgano i colori del dubbio, le sfumature dell’incertezza.

Certe mattine hanno negli occhi cose che il giorno dopo non ci sono già più. Figuriamo se possono riempirli di simboli millenari.

Quelli sono roba nostra, di noi adulti, e ha un bel dire Luca Sofri che forse è ora di smetterla di tirare in ballo i piccoli nelle nostre beghe estemporanee di grandi. Hanno altro a cui pensare, i cuccioli. E nelle loro parole ci sono sassi fiumi torrenti pioggia ragni fiori merda e stelle. Zero simboli, e le astrazioni tacciono come crocifissi.

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