Res cogitans, Stream of consciousness

Poveri noi

Ebbene sì, i poveri esistono, ci sono ancora. Ieri mattina ne ho visto uno mentre rincasavo dall’edicola con la mazzetta dei giornali.
Il cielo era coperto, l’aria umidissima. Imbacuccato in un piumone bianco e liso, il viso nascosto da un berretto di lana blu, un giovane di colore si è avvicinato al condominio dove abito e dove, al piano terra, ha sede la filiale di una banca. Assorto in chissà quali pensieri, un friulano di mezza età stava armeggiando con il bancomat. L’oracolo elettronico ha dato il suo responso di banconote e ha risputato la tessera, quindi il ragazzo di colore ha preso coraggio e ha sfoderato un sorriso e una domanda.

«Buongiorno, puoi dare qualcosa? Io fame…».

La mano destra, avvicinandosi alla bocca, ha ribadito.
Il friulano, allora, non c’ha visto più. Ha detto qualcosa a proposito del suo cane, attribuendogli caratteristiche divine, quindi ha caldamente invitato il giovane a trovarsi un lavoro – e l’ha ripetuto: TROVARSI UN LAVORO!, UN LAVORO!, UN LAVORO! – proprio quello che ha sempre fatto lui nella vita, e fin da piccolo, perché lui non è mai stato e mai sarà uno scansafatiche. Invece voialtri sì, che siete scansafatiche e volete vivere sulle nostre spalle.

Il finale di questo racconto è molto triste e molto poco edificante, perché il ragazzo di colore ha  soltanto chinato il capo e si è diretto altrove, noncurante, indifferente, cieco e sordo davanti alle richieste di aiuto di quel povero.     

Standard
Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

One inspires many

Franck Paget of France competes in the Men's 10 KM - Standing Cross Country during Day Five of the Turin 2006 Winter Paralympic Games on March 15, 2006 in Pragelato Plan, Italy.

Un anno fa a Scuolamagia abbiamo avuto ospite Claudio Arrigoni. I bambini che frequentavano le scuole Primarie e si erano infiltrati tra i compagni più grandi se lo ricordano bene, e oggi che sono finalmente “alle medie” mi dicono di averlo riconosciuto su Rai Sport Più, qualche sera di queste, a margine della Paralimpiade invernale. Claudio a Scuolamagia ha fatto quello per cui sembra nato: ha raccontato Storie. E da giornalista è riuscito a svestirle di quella patina retorica che la scuola e i professori sembrano cucire addosso alle vicende dei protagonisti, volendo troppo spiegare e interpretare e chiosare e… Le Storie, spesso, sono cavalli che non si lasciano domare e se devono arrivare arrivano. A briglia sciolta. Leggere, da leggere.
In questi giorni si possono raccogliere come frutti, le storie di Claudio Arrigoni. Direttamente dal suo blog paralimpico.

Standard
Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il cassetto dei calzini spaiati

Per giorni ho camminato masticando incipit. Ho scritto righe sui fogli di carta più assurdi, dalla circolare del Preside al biglietto del cinema. Tante frasi sono partite ma non sono mai arrivate alla destinazione di un punto.
Pensavo di doverci essere, in punta di penna, dentro un dibattito che forse mi ero solo sognato e in realtà non c’è mai stato.
Tutto è iniziato con quello schianto di ragazzi un sabato sera, triste faccenda di corpi bruciati prima dell’alba. La solita storia della meglio gioventù che diventa gioventù bruciata. Ci ho messo le facce dei miei ex alunni, dentro quelle lamiere accartocciate e disciolte. Una alla volta, perché quelli erano coetanei loro, compagni di scuola loro. Perché quelli potevano essere Loro.
E quindi ho cominciato a scrivere righe che non andavano da nessuna parte. Sono stato a tratti iper-razionale e politicamente scorretto, chiamando stupidità quello che molti hanno subito definito destino. Ma non funzionava, i conti alla fine non tornavano. Il buon vecchio Gadda mi avrebbe bacchettato ricordandomi che la realtà è ben altro garbuglio, un vero e proprio gnommero di cause e concause.
Ho adottato uno sguardo sociologico, allora, di una sociologia d’accatto, spulciando sui profili di Facebook dei giovani carnici – persino di una delle vittime, e l’ho pagata cara, in termini di vergogna – e annotando come tanto presto si possa passare dall’elogio della birra, del “distruggersi”, del sobbarcarsi di metaforiche “scimmie” fino alla bassa, bassissima retorica dei “ora sei una stellina che brilla e ci guarda dal cielo”. Salvo ricominciare, troppo presto, cazzo quanto presto, con le adesioni a gruppi come “PERCHE’ ALCOLISTI ANONIMI? IO CONOSCO IL NOME DI TUTTI I MIEI AMICI :-)”.
Ma mi sono fermato subito, ché non si può inchiodare un essere umano ad un clic di mouse. Il profilo di un social network mica è un curriculum vitae…
Volevo scrivere che se dei diciassettenni si stringono ancora attorno ad una canzone come IN MORTE DI S.F. – è successo, anche nei paesini di montagna dove le strade non corrono né lunghe né diritte – significa forse che il “loro” tempo non ha prodotto una canzone all’uopo. E come si fa a vivere senza una canzone a fianco di ogni emozione che s’incontra. Io son cresciuto così, c’era una canzone per tutto. Le canzoni erano una grande fornitissima farmacia per l’anima.
Mi accodo quindi a quel silenzio che mi prefiggevo di squarciare. Sono stato presuntuoso. Ho cercato di mettere ordine in un cassetto pieno di calzini spaiati. Il cassetto delle ragazze e dei ragazzi che ho visto crescere e di cui in quei giorni ho captato da lontano la sofferenza. Non ci sono riuscito. Ho soltanto appallottolato fogli.

Standard