Cineserie, Soletta, Stream of consciousness

FarfalLiNa

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a quando il tennis se n’è andato per sempre dalla Tv generalista, a noi orfani non restano che gli spezzoni su YouTube e gli articoli di Gianni Clerici.

In quello di oggi, su “Repubblica”, lo scrittore racconta di sé vestito di rosso, alla garibaldina, per battere le mani alla cinese Li Na, finalista dello Slam australiano.

«…la stabilità del match veniva meno quando Li Na affrontava micidiali diritti, facendo perno su gambette infisse nel cemento. Nel mezzo di tutto ciò, quella delizia trovava anche il modo di occuparsi di una farfallina, consegnandola ad un incaricato, invece di schiacciarla con una racchettata…»

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Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Non possiamo non dirci IL CULO

I quotidiani viaggi verso Scuolamagia mi rubano all’incirca 2 ore. Uno lo sa in partenza e si attrezza. Quindi pensa, parecchio, quindi canta, quindi ascolta musiche varie e la radiofonia che le vallate di montagna permettono di intercettare. Questa mattina – il tempo di un’andata e di un ritorno – dai microfoni della radio pubblica ho ascoltato ben 2 voci femminili, voci di giornaliste navigate, avanzare un pericolosissimo punto di vista capace di fare imbestialire il mio femminismo a oltranza. Che pena queste giovani donne così volgari, capaci di macchiarsi di parole tanto spietate nei confronti di una persona anziana. “Vecchio”, “Cadente”, “Grasso”, “Fa schifo”. Ma è quello il modo di riferirsi ad un Premier attempato? E poi, quella Ruby: ma è proprio il caso di continuare a porre l’accento sulla parola “minorenne”? Ma non sembra anche a voi un po’ troppo scaltra, disinvolta, furbetta per finire nel mucchio degli infanti insieme alla vostra nipotina di 7 anni? Ecco, parole così.
Da qui l’idea del post che sguazza oggi nella Pozzanghera. Per prender parte, per stare dalla parte giusta. Fondere e intrecciare un celebre pensiero del laico Benedetto Croce (“Non possiamo non dirci Cristiani”) con l’intercettazione telefonica più eloquente della storia, un’agile sineddoche attribuita alla giovane Ruby (“…io sono il culo”).

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Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Che domanda siamo?

Le librerie sono piene di titoli che celebrano – in un modo o nell’altro – i 150 anni del nostro paese. Più o meno sinceri, più o meno instant book, molti non resteranno e faranno soltanto cassa. Ho come l’impressione che il libro che ci racconta meglio, noi italiani, possa essere in realtà l’ultimo romanzo di Marco Lodoli, dove un bel po’ della nostra storia, e quindi di quello che siamo, la sostanza di cui siamo fatti, è racchiusa nelle vicende di un’unica famiglia e della sua domestica – di nome Italia, manco farlo apposta.

Marianna era pronta da tempo, ma non si decideva a uscire da casa, dopotutto Sant’Agnese sta a poche centinaia di metri da via del Giuba, come uno scoglio davanti alla spiaggia. Continuava a guardarsi nello specchio, a controllare ogni dettaglio, a ritardare e ritardare. Le ho sistemato ancora una volta il velo, e lei mi ha stretto il gomito, e ora eravamo insieme nello specchio, lei vaporosa e bianca, io con un tailleur grigio e duro che mi aveva prestato la signora, lei alta sui tacchi, io un poco più bassa, lei con gli occhi agitati come due pesciolini e io immobile come un’ombra, per sostenerla. Italia, non so se sono felice di sposarmi, mi ha detto piano nell’orecchio, con la voce che scricchiolava. E allora? Allora adesso vado, lui mi aspetta, mi desidera bella e non mi importa se qualche volta si buca. Devo andare, non voglio ma devo, forse ho bisogno di sbagliare ancora tanto altrimenti non capirò mai niente. Ho bisogno di farmi del male, perdonami Italia, tu lo sai come sono, tu mi guardi da quando ero alta così e sai quanto mi manca tutto, è come se fossi solo il vestito e dentro ancora niente, neanche un inizio. Perché sono fatta così, Italia, perché? In questo mondo, io che domanda sono? 

Marco Lodoli, Italia

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