Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

La mia Vernazza

VER

Ho da sempre una speciale predilezione per i borghi abbarbicati. Mi affascina la follia di abitare i pendii, la roccia scoscesa che (stra)piomba sul mare. Mi piace immaginare la pazienza certosina di mani umane che scavano e si intrufolano quasi clandestine nella terra, rendendo ospitale l’inospitale. Muri messi “in bolla” da persone che del tutto “in bolla” non sono, altrimenti si sarebbero stanziate in qualche altrove più stabile e meglio piantato.
Quest’estate sono planato a piedi su Vernazza e come al solito ho decisamente snobbato il mare, rivolgendomi incantato verso la follia dell’intervento umano. Scale che si arrampicano, terrazze e terrazzamenti, abitazioni che si reggono una sull’altra, la galleria capace di scodellare magicamente dal nulla un regionale carico di anziani turisti anglosassoni.
Nell’era degli impazzimenti climatici, in fondo era folle e menagramo anche quel caldo di fine agosto, con il sentiero per Monterosso crepato dal sole. Ogni viandante stringeva in mano una bottiglia di acqua minerale, la fortuna dei piccoli negozietti della via centrale, l’unica del borgo.
Leggo da giorni dell’esodo della popolazione, della strada che non c’è più, che è andata perduta come una monetina finita nel mare. No, non è questione di sistemare, di aggiustare. Bisogna ricominciare ad immaginarla, una nuova strada per Vernazza. Leggo dei morti, dei dispersi: di chi è stato portato via dall’acqua mentre difendeva la serranda abbassata del suo negozio di souvenir. Mi torna in mente la fruttivendola che quest’estate difendeva tenace la buccia delle sue pesche dalle mani tastatrici dei turisti, che poi proseguivano senza comprare. Ignara che presto avrebbe perso tutto. Un puntino anche lei, sulla fragile scorza del mondo.

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