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All’inferno con Chuck

Dannazione1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Mi sente, Satana? Sono io, Madison. La prego di non prenderlo come un rimprovero. Consideri ciò che sto per dirle come un feedback esclusivamente costruttivo. Di buono c’è che lei gestisce una delle aziende più grandi e di successo nella storia del… be’, della storia. È riuscito nell’impresa di ampliare la sua quota di mercato malgrado la spietata concorrenza di un competitor diretto nonché onnipotente. Il suo marchio è ormai sinonimo di tormento e sofferenza. Tuttavia, se posso essere brutalmente schietta, il livello del vostro customer  service fa davvero schifo.»

Chuck Palahniuk, Dannazione

 

 

Concedersi una pausa Palahniuk. Ogni tanto serve. Una volta all’anno si può. Ci si mette lì, inermi. Come un quindicenne davanti al filmdinatale.

Questa volta ho imparato…

Che all’inferno finisce ogni schifezza che sulla terra ci illudiamo di occultare, dalle caccole alle unghie tagliate.
Che quando suona il telefono, stai mangiando ed è un venditore di qualcosa o il call center di un istituto demoscopico… ecco, in realtà stai parlando con l’inferno e dall’altra parte c’è un morto.
Che nel girone più infernale dell’inferno, il top del top dell’inferno, i dannati sono costretti a verdere – ad libitum – Il Paziente inglese.
Che certe cattive ragazze posso essere apostrofate come delle Zoccole Vanderzoccols, come delle Mignotte MacMignotts, come delle Vacche Van Vackenberg, come delle Ochette Von Ocherville, come delle Luride Von Luridberg, come delle Cagne Vandercagnis e qui mi fermo che se mi legge qualche alunno poi chi lo ferma.
Che finire all’inferno ci vuol poco: bastano 500 + 1 colpi di clacson, oppure aver superato il limite consentito di puzzette in ascensore.
Che all’inferno i demoni preposti muovono una farraginosa burocrazia, complicata da sgangherate stampanti ad aghi.
Che…

Adesso si riparte con i saggi e le altre letture seriosissime, ma una volta all’anno, un Palahniuk non è peccato. Almeno credo.  

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