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Apologia di Socrates

A dieci anni non aveva alcuna importanza il fatto che Socrates fosse comunista. Forse un po’ di più contava il fatto che avesse alle spalle studi da medico, tanto evidente era come i suoi compagni si fossero tenuti lontani pure da quelli da geometra e da ragioniere. Il centro di tutto erano i suoi colpi di tacco, liberi e irrazionali, a volte irragionevoli, per noi ragazzini delle giovanili che se soltanto ci provavamo, sul campo, venivamo sepolti di insulti da parte dei veterani della prima squadra, gente concreta, pochi fronzoli, “non fare Platini e passa il pallone prima che puoi”. Scoprire a un certo punto che si poteva “essere Socrates” fu una rivoluzione, nel cortile della scuola e nel campetto del pomeriggio. Non eri più lento e macchinoso, eri Socrates. Non eri egoista e poco incline al gioco corale, eri Socrates. Un nome di quelli da far risuonare nell’aria dentro le telecronache che si facevano e si fanno ancora da ragazzi. Racconti orali improvvisati e folli: una partita finiva 3 a 2 e potevano esserci stati anche 4 goal di Socrates, 2 per parte, e poi dicono che il calcio non affratella.

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