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La prova INVALSI e la piccola rohingya

Non c’è mai la scuola aperta quando serve. Domani sarebbe servito. Invece la scuola sarà chiusa. Non letteralmente, perché i cancelli e i portoni si apriranno puntualissimi. Nella sostanza, sì. Chiusa, sbarrata, sprangata. “CHIUSA PER PROVA NAZIONALE INVALSI”, potrebbe recitare un cartello. Se ne starà nel suo bozzolo di meritocrazia posticcia, di oggettività un tanto al chilo. Rigorosamente con gli occhi chiusi,  allegramente al buio. Invece, anche se è giugno e fa molto caldo, avremmo dovuto esserci, insegnanti ed alunni, per parlare di una bambina.

Le cronache – quasi esclusivamente in inglese, in italiano ne accenna oggi Adriano Sofri nel suo pezzo da Oslo su Aung San Suu Kyi – dicono abbia un mese e mezzo di vita. È stata ritrovata alla deriva, a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Sembrava vuota, non lo era. Proprio come le scuole medie domani mattina: sembreranno aperte, non lo saranno. È riuscita a superare il muro eretto dalle autorità del Bangladesh al flusso di profughi rohingya (una minoranza musulmana) in fuga dalla Birmania. Centinaia di disperati che tentano da giorni di attraversare il fiume Naf, confine naturale tra i due paesi asiatici.

Raccolta dall’imbarcazione – involontaria ruota degli esposti – la bambina è stata affidata a una generosa famiglia di pescatori, che le ha prestato le prime cure.

Non ci sarebbe stato molto altro da aggiungere, domani a scuola. Le belle favole bastano a se stesse. I ragazzi sarebbero tornati a casa gonfi di pensieri da cullare, e il prof. si sarebbe chiesto – immaginandoli sdraiati su un prato o smarriti davanti a una finesta: “non avrò mica dato troppi compiti?”.

(Vecchie “battaglie” contro l’Invalsi…: qui, qui e qui)

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