Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Figlia

Quando ho sentito per la prima volta parlare di lei, a occhio sarò stato in terza media. L’ho stimata da subito e vorrei vedere: era la figlia del mio cantautore preferito. Ne son venuti tanti e tante, di cantautori dopo di lui, ma il primo è il primo, e non lo si scorda.

Di lei sapevo che era bella come il sole.

Di lei sapevo che era anche bella come la terra, e qui l’immaginazione di uno di terza media era messa a dura prova. Cosa vorrà mai dire?

La canzone scritta dal celebre genitore continuava: era pure bella come la rabbia. E mai prima di allora avevo pensato che quel sentimento potesse essere considerato dal  punto di vista estetico.

Gran finale: era bella come il pane. Spiazzante quel ritorno alla concretezza e alla tangibilità: game set e partita per il guru dei miei quattordici anni.

Quel brano, però, andava molto oltre il semplice decantare la bellezza di una bambina. Era un manifesto. Era una weltanschauung. Era un manuale per apprendisti esseri umani, era una bibbia per chi stava cercando un senso e una direzione. Rappresentava un meraviglioso e poetico NO da sbattere in faccia a tutti i conformismi e ad ogni scivolamento nella palude dei compromessi. Ricordava – era quello il nucleo esplosivo di quella bomba atomica in do maggiore – che essere giusti e in pace con la propria coscienza può essere molto meglio di essere felici. E tutta quella responsabilità etica era caricata sulle spalle di una bimba, che avrebbe dovuto essere sempre contro, finchè qualcuno non le avesse strappato la voce.

Sono passati gli anni e nel frattempo ho consumato svariati plettri su quegli accordi. Seduto sul letto o sul bordo della vasca da bagno, perfetto amplificatore naturale. Oggi scopro che Francesca Vecchioni ha vissuto e vive davvero così. Non accettando, scegliendo la vita contro le leggi di un paese morto. E che lontano l’ha portata il sogno. E che dentro il pugno oggi può mostrare fiera i suoi due fiori

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