Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

La cultura umanista ha ancora senso, aggiungendo un po’ di brodo…

 

L’SMS, letto nel tragitto tra la Pluriclasse e la 3ª, è fin troppo chiaro: “Oggi Lodoli ti farà incazzare”.

Il pezzo in questione sta in taglio basso su “la Repubblica” di oggi. S’intitola ADDIO CULTURA UMANISTA: PER I RAGAZZI NON HA SENSO. Inizia con il lamento di un’insegnante, una delle tante a cui Lodoli dice di aver porto la spalla consolatrice: “Io non esisto più, sono diventata invisibile. Entro in classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno mi ascolta”.

Io non ho le parole per dire come sia cambiata la scuola in questi anni. O meglio: le ho ma sono incerte, malferme, insicure, sono forti sensazioni e sensati sospetti. Non ho ricette e medicine, e giuro che consolerei anch’io col cuore la collega. Tuttavia, nel suo lamento sembra esserci già bello spolpato il nocciolo del problema. “Entro e comincio a spiegare”. Ci sono un po’ di vasi vuoti e c’è un otre bello pieno: la scuola è compiere un magico travaso di cultura, la didattica è un imbottigliamento di nozioni, concetti, idee. Ecco, collega disperata, non è così che può funzionare, oggi. Da ragazzo sono stato un vaso vuoto, mi sono messo in fila e ho lasciato diligentemente che le mie pareti di coccio si riempissero. I prof. spiegavano e io ascoltavo. Amavo però meno di un decimo di quello che assimilavo con dedizione, il resto lo stivavo in me perché ero soltanto un vaso e a quello servono, i vasi: a stivare cose, punto. Non so cosa siano i ragazzi del 2012, ma di una cosa son sicuro: non sono – e soprattutto non vogliono essere – dei vasi vuoti da riempire. La tua spiegazione, sconsolata prof., è una chiave inglese che si prefigge di aggiustare un McBook Air che non si accende più.

Continua Lodoli, e anche il suo è un lamento:

“Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta ma di sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell’uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito, possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla potenza e all’atto, alla maieutica e all’iperuranio, alla letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli angeli barocchi, all’idealismo tedesco e al simbolismo francese, a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa nel deposito degli oggetti perduti”.

Lo scrittore è un maestro della malinconia e del disincanto, armi con cui nei suoi racconti ha disegnato personaggi difficili da dimenticare. Quando dipinge i suoi studenti con i toni della stessa sconfitta, per giunta raggiunta ancor prima di combattere, non lo sopporto. E un po’ m’incazzo, sì. Da anni descrive ragazze e ragazzi delle scuole secondarie romane viaggiare nella vita come zombie: non un orizzonte da raggiungere, mai niente da fare, figuriamoci da credere. Occhi tristi, testa povera, sensibilità spuntata. Vittime di tutto: la società dei consumi, l’omologazione culturale, la famiglia. Mai un dubbio: e se fossi io quello sconfitto? Quello che non li sa più coinvolgere, quello che racconta la letteratura come si poteva fare vent’anni fa e come non è più possibile fare ora, con i tempi ed i linguaggi così cambiati. Quello che spiega e la spiegazione rimbalza come un pallone sul muro, e torna indietro, come un passaggio rifiutato: il canestro fallo tu, a me non interessa. E cambiare strategia? Cambiare linguaggio? No, troppo difficile, diamo per morto l’Umanesimo che facciamo prima. E cos’è la cultura umanistica, poi? Siamo tutti d’accordo oppure indiciamo le primarie e rottamiamo Petrarca e Boccaccio? (son lì da 700 anni e non hanno mai vinto, direbbe un’altra corona fiorentina…).

Ora, lo scrittore (e critico, e poeta, e sceneggiatore… ma, e mollare la cattedra nella scuola pubblica a un giovane più motivato, no?) non è nemmeno così categorico e tranchant come in altre occasioni. Sul finale, infatti, riconosce agli studenti le attenuanti generiche.

“Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. Il mondo cambia di continuo, a volte lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in modo brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi leggono altri libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in un altro modo, ragionano seguendo strade invisibili, e noi adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché non conoscono Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano senza nemmeno voltarsi, perché non si fidano più della nostra cultura. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l’urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei”.

Puzza un po’ di soluzione di comodo, questa, però. Collocare i ragazzi in un altrove, magari nel posto giusto, chi lo sa, comunque in un universo lontano e irraggiungibile, nemico a oltranza di ogni tradizione. 

Ogni mattina mi metto lì e spiego. Una spiegazione può diventare un luogo di grande solitudine: sono terribili gli occhi che ti guardano senza guardarti davvero. È successo anche stamattina, eppure i miei aneddoti su Obama sembravano perfetti. Che delusione, maledetta 3ª di repubblicani.

Però a ricreazione c’erano ragazzini che correvano sulla fascia cantando a squarciagola le canzoni dei Beatles che abbiamo ascoltato insieme, a scuola. Chissà se la premiata ditta Lennon McCartney può essere ricondotta alla cultura umanista di cui parla Marco Lodoli…

Poi è arrivata Irene, 12 anni, gran lettrice.

“Ti ho portato un libro”, mi fa. “Mi piacerebbe lo leggessi”, continua. “Purtroppo è un po’ macchiato… una macchia di brodo…”.

Brava Ire, hai capito tutto… bisogna ridare sapore ai Classici. È quella la sfida.

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