Piccola posta, Soletta, Stream of consciousness

Venute al mondo

 

 Penso a dove sono finite, ventiquattrore dopo.

Copie di giornale, allegato al quotidiano del sabato.

Quelle lasciate sui sedili di un Frecciarossa o di uno sgangherato treno locale.

Quelle appoggiate sul termosifone del bagno, a fianco del water, sfogliate fino a pagina 10, ché magari era un falso allarme.

Quelle cestinate all’istante: roba da donne, solo pubblicità, vestiti e creme antirughe.

Quelle lette avidamente, sì, ma soltanto l’oroscopo, in una delle ultime pagine.

Quelle che qualunque fine facciano, sono 50 centesimi caricati sul prezzo già alto del giornale.

Quelle inzuppate di pioggia, abbandonate nel cestino dei rifiuti a quattro passi dall’edicola.

Quelle già stivate nel bidone giallo dei bravi cittadini, carta con carta, insieme ai depliant pubblicitari e al cartone delle merendine.

 

Per tutte le altre, forse c’è ancora una speranza.

Che qualcuno le trovi, le prenda in mano e vada, e corra a pag. 60.

Per leggere storie vere di donne, nella Sarajevo assediata. Storie di vent’anni fa, anche se sembra ieri.

Storie così:

 

In un altro ufficio postale, a Marindvor, in cui la gente entrava solo per trovare riparo, una donnetta anziana parlava a un telefono, parlava e piangeva, si rivolgeva a una figlia, le raccontava delle cose confuse, poi ricominciava a piangere. Durò a lungo, nessuno le badava. Quando finì, si rassettò il soprabito sdrucito e uscì, vidi che il telefono, restato sulla sua mensola, non aveva fili.

 

A raccoglierle – ma tra i propri ricordi: sono storie di prima mano – è stato Adriano Sofri.

Se la vostra copia è rimasta davvero sul sedile del treno, non disperate. Copio il pezzo nei commenti del blog.

Ma la prossima volta state più attenti. 

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