Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

Letteratura leggera

Capita spesso, ormai. Chiudere il librino e riporlo sotto il lume, prima della nanna, pensando “bah, tutto qui? E Einaudi (o Feltrinelli, o Bompiani, o Sellerio…) si è ridotta a pubblicare ‘sti romazetti sciapi? Facevo meglio a leggere qualcosa su internet…”.

Perché davvero il divario tra ciò che se ne sta inscatolato sotto nobili insegne editoriali, avvolto da altisonanti fascette rigorosamente gialle, prefato da autorevoli padrini letterari e ciò che nasce su un banale foglio di Word per essere copiincollato su una bacheca di WordPress e reso pubblico dopo una mezza rilettura al volo… si sta assottigliando.

L’ho constatato anche stamattina alle 5:30, mezzoretta prima di partire per il lavoro, dopo essermi imbattuto in un nuovo fulminante post di Enrica.

Io Enrica non la conosco. Io mi relaziono soltanto con il personaggio del suo blog, i cui destini ho mille motivi di pensare siano aderentissimi a quelli dell’autrice, ma non è questo il punto, perché le riflessioni che la verità vi spiego sull’amore mi regala, e lo fa spesso, diventano immediatamente mie. Esattamente come quelle scovate dentro ai libri che – al momento di riporli sul comodino – ti fanno dire “apperò” al posto di “bah, tutto qui?”.

Prima o poi l’amore arriva…, recita il sottititolo del blog, e già senti aria di famiglia, e ti viene in mente un vecchio librino di fantasiose poesie, quand’eri un adolescente o poco più. Soltanto che l’amore… ecco… capita sia un filino privo di scrupoli, succede che non ti guardi proprio dritto dritto negli occhi e proceda – mettiamola così – per vie tra(per)verse. Nasce da un dolore grande, il blog con i caratteri più grandi (e siano benedetti dal dio degl’orbi!) del Web. Nasce dalla rabbia, dal rancore e da mille cocci di vita infranta. Ha voglia di rivincita, però, e di aggrapparsi all’inventario infinito delle cose belle: un vecchio film, una canzone, il disegno di un bambino, un gioco di parole, un gioco di parolacce. E ai figli, si aggrappa. E anche qui si potrebbe divagare sulle mamme nella blogosfera, nel giorno in cui mi scopro anch’io gelosissimo del primo amore di un’altra bambina virtuale ma non troppo, l’Alice che porto in classe in fotocopia per la gioia dei miei alunni…

Il blog di Enrica mette nere su bianco, letteralmente, un sacco di faccende terribilmente serie, e diresti che ti fa piangere se contemporaneamente non ti facesse anche molto ridere; quindi ti disorienti e alla fine ti vien da dirle solamente grazie, come diresti a uno di quelli che per strada ti vengono incontro con un cartello di cartone e una scritta senza senso: free hugs.

No, non ho scritto che i blog sono meglio dei libri. Anche perché ho il sospetto di aver pescato i libri sbagliati, ultimamente. Però mi piace chiamare questa piccola miniera di storie reperibili in rete – basta un po’ di fiuto, e tanta santa pazienza: “letteratura leggera”. Proprio come la musica con quell’aggettivo lì.

È tutta letteratura leggera – si potrebbe dire parafrasando quello… – ma come vedi la dobbiamo leggere.  È tutta letteratura leggera ma la dobbiamo imparare.

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A day

Era finito il gomasio, e il gomasio dalle mie parti lo vendono soltanto lì.

Così stamattina sono entrato come faccio sempre e sempre con quell’unico scopo, ma in quel negozio non era un sabato come gli altri. Era l’ultimo. Il foglio appeso al vetro (lunedì non riapriamo) parlava chiaro, ma meno delle facce. Non solo quelle delle lavoratrici, tutte donne, i volti tirati e gli occhi lucidi. Anche quella della signora più affezionata ma anche più ignara di me, passata di lì a fare scorta di farro e yogurt biologici. Le veniva da piangere e chiedeva del domani. La sua interlocutrice era rassicurante e relativizzava in prima persona (“io per fortuna ho mio marito…”), ma lasciava trapelare un salto nel vuoto per colleghe e colleghi.

Con i miei alunni ho scelto di partecipare a Italy in a day. Siamo saliti sul punto panoramico che domina il paese di Scuolamagia e abbiamo fatto – e ripreso – un urlo. Prima avevamo filmato con il tablet una partita di calcio con in mezzo al campo una ragazza che scriveva un tema, con tanto di foglio di protocollo e Zingarelli d’ordinanza. Non ci sceglieranno mai, Salvatores si coprirà gli occhi con la mano, ma è stato divertente.

La scena giusta per raccontare il paese, però, era senz’altro quella che ho visto entrando in quel negozio, tra gli scaffali semivuoti e quella gente ferita. Prima di recuperare 3 barattoli di gomasio e venire a scrivere questo post.

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Se 14 euro ci sembran pochi

Basta un rapido sguardo alle prime pagine dei giornali di oggi per fare i conti con un’evidenza: 14 euro al mese ci sembran pochi. L’occhiata fugace a un paio di talk politici, ieri sera, regalava la medesima impressione: risatine, sfottò, benaltrismi. Critiche feroci alla legge di stabilità e alle sue magre iniezioni alle buste paga sono arrivate da destra e da sinistra, da leader politici ed economisti, da osservatori stranieri e casalinghedivoghera.

La Pozzanghera è perfettamente consapevole di come molti cittadini italiani fatichino nel quotidiano campare e non ha quindi bisogno di particolari approfondimenti per chiamare “buffetto” quello che avrebbe dovuto essere uno “gancio sinistro” in faccia alla povertà.

Tuttavia, in tanti hanno un filo esagerato nell’ironizzare su quelle 14 monetine messe una sull’altra. 14 dischetti di metallo pur sempre in grado di sfondare una tasca, far traboccare un pugno, sbancare una macchinetta del caffè.

Se quindi quella tintinnante pochezza finisce per offenderci, se risulta inutile ai fini del rilancio dei consumi…

…perché non regalarla alla causa dei migranti che arrivano dal mare?

Con serietà e rigidi controlli, s’intende.

Perché non consegnare quell’obolo irrisorio, anche quello di un mese soltanto, a chi ne ha di gran lunga più bisogno?

Ai bimbi migranti, orfani di padre di madre e di tutto, in prima pagina sui quotidiani di oggi, appena sotto lo scherzetto democristiano delle 14 monetine.

Moltiplichiamo quel niente per… che so… 4 milioni. 56 milioni di euro che potrebbero diventare soccorso più pronto e accoglienza più calda, letti più comodi e mediatori culturali.

Alcuni di quei bambini soli, arrivati rocambolescamente in Italia e spariti nel nulla, potrebbero essere tolti dalla strada su cui ogni giorno mendicano una moneta.

Una al massimo.

Si è mai visto qualcuno che ne depositi 14 in un piccolo palmo?

Una, una, ché son pur sempre 2000 lire…

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Trecento madonne in fondo al mare

mia-migrante

Non c’è il mare nella foto che non riesco a fare a meno di guardare. Il mare è delle balene, il mare è dei delfini, il mare è un contorno, è solo una cornice. I ragazzi a scuola non hanno neanche voglia di colorarlo, nelle cartine sui quaderni. Il mare non si addice certo alla ragazza della foto. È una ragazza di terra, di sabbia, di roccia, di prato. Ma non è nemmeno una creatura da desktop, il (non)luogo dove l’ho piazzata io da luglio, da quando è finita nell’obbiettivo di un reporter di stanza a Malta, inviato a raccontare gli sbarchi di eritrei e somali, e respingimenti ancora più violenti dei nostri. Ho voluto mi facesse da proMemoria, volevo che la mia giornata cominciasse dopo aver consultato i suoi occhi. Ogni tanto mi ha fatto tornare al secolo scorso e al mio  primo pc, un quattroottosei di seconda mano, e al suo sfondo affidato dal precedente proprietario a una seppur castissima Cindy Crawford in bianco e nero. Proprio un bel salto.

Oggi la ragazza ed io ci guardiamo e siamo più muti del solito. Il file con gli esercizi per domani, il logo del browser, l’ultima musica ancora da ascoltare: ho sempre avuto cura di spostare le icone sull’arancione dello sfondo, non violando mai la perfezione delle labbra, il viso disegnato col compasso e lo spazio di quegl’occhi traboccanti di pianto.

L’ho chiamata ragazza, penso che avrei dovuto scrivere donna. Ho scritto donna e mi convinco di poterla chiamare madonna. Una madonna contemporanea, senza bambino. 90 madonne così bruciate o affogate in mare, il mare senza colore dei miei alunni. 250 madonne così ancora disperse: leggi morte, coglione, ché il mare non è mica roba nostra, il mare è delle balene e dei delfini.

Oggi tutti parleranno, tutti diranno qualcosa. Chi regalerà un pensiero, chi scriverà un articolo, chi diramerà una nota, chi si affiderà ad un tweet. La Lega vomiterà la sua pochezza, Grillo dirà di chi è la colpa. Sarà scosso anche Berlusconi: vedrà la sua afflizione nella giusta proporzione, e scaccerà il cagnetto all’altro lato del divano. Telefonerà il Papa, porterà sincero conforto. Penserà anche lui che con trecento madonne morte in fondo al mare il numero da chiamare sarebbe un altro, ma che quel numero selezionato è inesistente.

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Quando eravamo giovinetti

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Prima di tuffarci nei meandri del fiume della Storia, spesso a inizio anno a Scuolamagia ci dedichiamo alla storia minuscola delle pareti e dei pavimenti che ci ospitano. Come piccoli Champollion decifriamo incisioni sul legno di certe finestre, datiamo antichissimi “W Inter”, ci chiediamo il perché di misteriose scritte avvitate alle porte: “App. tecniche maschili”, saranno mica parenti delle app sul display dei nostri cell.? Complici vicende davvero notevoli legate alla nascita dell’edificio oggetto di studio, l’attività capita che appassioni un bel po’, specie nelle sue fasi dinamiche di “caccia all’indizio” storico, su e giù per le scale, chi qua e chi là e che vinca il migliore.

Le ricerche odierne hanno portato al rinvenimento di alcuni interessanti documenti cartacei. Un foglietto volante arancione, perso dentro un vecchio registro, non era altro che il decreto di un’espulsione. Il 29 gennaio 1969 la Prof. Taldeitali presenta a carico del giovinetto (avete letto bene: GIOVINETTO) Tizio Caio il seguente rapporto disciplinare: scarsa applicazione (ancora queste app… n.d.r.) e contegno scorretto. Va da sé: c’era stato il ’68 anche nelle scuolette di montagna. Quella specie di multa, in copia, doveva essere esposta all’albo ed inserita nella cartella personale dell’alunno, che avrebbe avuto la fedina penale sporca alla faccia del garante della privacy.

Altro documento ingiallito, sfogliato in una nuvola di polvere: una raccolta di temi risalenti all’anno scolastico ‘73-’74. Tracce brevi, piuttosto sul vago. Una mi colpisce. Parla di cosa trovi profondamente ingiusto. Da quella e da altre tracce sparse tra i fogli di protocollo deduco un profilo di insegnante sinistrorso, illuminato e forte dei suoi valori. Di altra estrazione l’autore del tema, a occhio. Il suo pensiero, esposto con elementare efficacia, in soldoni: chi ammazza una persona dev’essere condannato all’ergastolo; chi ne ammazza due merita la pena di morte. In proporzione diretta al numero delle vittime, la pena capitale vedrà incrementare l’atrocità della sua esecuzione. Immagino l’inchiostro rosso del collega bollire nella plastica della Bic. Proseguendo, altra grave ingiustizia: la fame nel mondo. E come dare torto al giovinetto? Che continua: mi chiedo perché si siano spesi tutti quei soldi per il referendum; uno solo di quei miliardi sarebbe bastato per aiutare tutti gli uomini affamati ed assetati del pianeta. Spietato, come si evince dall’immagine, il commento dell’insegnante.

Una chiosa in rosso appare anche a margine della chiusa. “I politici inoltre sanno soltanto parlare, ma non agire”. Il Prof., in corsivo nervoso: “da approfondire…”.

Si può star sicuri che hanno approfondito, i politici.

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