Le storie di Scuolamagia, Piccola posta, Res cogitans, Soletta

Caro Guido Baldoni

 

Caro Guido Baldoni,

il primo giorno di settembre dell’anno 2004-2005 è iniziato nella mia piccola scuola con le parole di tuo padre. Le sue “Disposizioni per un saluto” hanno colpito moltissimo i miei alunni di 12, 13, 14 anni. Avevano tutte le caratteristiche per rimanere impresse in quella tipologia di lettore.

Prima di tutto finivano con un “Ma fate voi, cazzo mi frega”. Musica per quelle orecchie.

Poi trattavano di balli, alcoolici e sveltine.

Soprattutto, però, esplodevano di vita e di libertà.

Un funerale tutto da ridere: roba mai vista.

Le parole di Enzo, i suoi reportage, sono entrati in classe tante altre volte, da allora, e mi hanno aiutato tantissimo nella mission impossible di raccontare questo mondaccio andando oltre l’elencazione di tropici e fiumi, capitali e regimi. Mettevano al centro prima di tutto le persone e le loro storie. Erano perfetti, quindi.

Confesso così di essermi rattristato nel veder scivolare questo decimo anniversario lungo una china così poco baldoniana.

Non mi permetto nemmeno di sfiorare il dolore tuo e della tua famiglia, capitolo aperto e destinato a rimanere tale, né tantomeno di muoverti alcun rilievo (non ne ho motivo), ma ti prego di seguirmi.

C’è stato un tuo scontro con Christian Rocca, uno di quelli come ce ne sono tanti. È andato com’è andato: tu l’hai criticato, lui t’ha messo alla porta. Le vostre posizioni sono con tutta evidenza molto poco conciliabili. Rocca ti ha intimato di “smammare”, così come accade spessissimo su Twitter. Ti ha chiamato “Troll”, termine anch’esso quasi abusato in epoca di grillinismo.

Escludo che tu ritenga di godere di una posizione privilegiata in nome della tragedia che hai vissuto. Certo, la vita ti ha posto tuo malgrado in un punto di osservazione privilegiato su certe faccende, e pensi giustamente di avere molto da dire. Ma quando ci si scontra dialetticamente tu puoi dire “troll”, “incompetente”, “cialtrone” e “in malafede” esattamente come quegli epiteti ti possono piovere addosso in quanto Guido e basta, giovane italiano che si indigna e lotta con le sue idee per un mondo migliore.

Il fatto è che il tuo litigio con Rocca ha fatto venir giù un muro e le schifezze che nascondeva alle sue spalle.

Rocca è uno che ha incrociato la penna con un sacco di colleghi, li ha criticati, sfidati e sfottuti. Rocca – in questo andazzo tutto italiano che immagino facesse schifo a tuo padre – “indossa una maglia” (lanciato da Giuliano Ferrara, già giornalista al “Foglio”, da sempre irremovibile filoisraeliano, in forza al “Sole24ore”). Sicuro che chi ti ha difeso non l’abbia fatto anche per approfittare del passo falso di un nemico storico? Sicuro che tutti quelli che han cominciato a seguirti e ti hanno espresso la loro solidarietà in queste ore avessero e abbiano a cuore la memoria di tuo padre e la nobile difesa di suo figlio? Io ho dei dubbi. Mi piacerebbe crederci, ma leggendo tweet e post rimango perplesso.

Stessa cosa con Guia Soncini. Dal suo profilo Twitter molla frustate a destra e a manca, fa girare ogni giorno vagonate di coglioni, fa ribollire la bile di attori e cantanti, giornalisti e uomini politici. Il mondo dei cinguettii funziona anche così, e – forse lo ammetterai anche tu – ci piace anche per questo.

Se leggi il modo in cui è stata attaccata, ti accorgerai di come tantissimi si sono “presi la rivincita” approfittando del tuo legittimo litigare con lei di ieri. In tanti, feroci. Famosi e non. Non sono arrivati. Erano già lì, stavano aspettando.

Davvero non me ne frega niente di chi avesse ragione sul pezzo di Zakaria, dico soltanto che forse tuo padre (qui mi tremano un po’ le parole che sto digitando, pensando a chi sia il loro destinatario) vi avrebbe guardato scazzottarvi di geopolitica, avrebbe fatto il tifo per te (perché sei tu e per le idee che aveva) e alla fine vi avrebbe offerto una birra. Ti avrebbe sussurrato all’orecchio “Quel Rocca con capisce un cazzo…”, ma basta, punto… Di tutto l’odio e di tutta la rabbia dei tuoi “difensori”, a lui “cazzo gli frega?”.  

E se avesse visto un tweet come questo… 

 

Sarebbe diventato subito rocchiano di ferro, Enzo. Seduto comodo comodo dalla parte del torto. Perché nel pandemonio di ieri è successo anche quello che ha descritto bene Luca Sofri in questo breve post, con un azzeccato esempio finale.

(A proposito di cinguettii, c’hai pensato anche tu, vero, a che strepitoso utente di Twitter sarebbe stato?).

Sono sicuro che oggi, a margine di questa querelle che finirà presto nel dimenticatoio, ci sarà stato per te il tempo di “musiche allegre, violini, sax e fisarmoniche”. Scusami quindi per i minuti che ti ho rubato, e per essermi permesso di parlare di tuo padre, che ho conosciuto ahimè soltanto nelle pagine dei giornali.

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Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il piccolo fiume incontra il Grande Fiume

 

Il piccolo fiume si forma a poco a poco, da tanti piccoli affluenti silenziosi.

Eccolo radunarsi nei pressi del lungo ponte e delle quattro strade che vi convergono, due di qua, due di là.

Il piccolo fiume è fatto di persone, alcune scese da macchine in transito, altre accorse dopo aver abbandonato il piatto della cena in corso, nelle case vicine.

Ad attirare il piccolo fiume è il boato del Grande Fiume, impetuoso come non accadeva da anni, prepotente nel suo folle correre verso il mare. Ad accelerare il cammino di quei piedi sono le sirene di soccorsi prestati non lontano da quel luogo, in un punto da cui provengono anche luci lampeggianti.

La processione si sparge lungo il ponte e sulle sponde, raramente così vicine al flusso dell’acqua. Capto le poche parole che sfuggono al fragore di quell’onda sporca e spietata con i timidi arbusti cresciuti a riva: “…ti ricordi la piena del ’78, o era il ’79?”, “E quella volta, sarà stato l’85?”. Discorsi di vecchi, quasi felici di ricordare, e di quel potere di confronto concesso loro dagli anni. Intanto, papà stringono forte – con le destre – manine sinistre di bambine attonite e senza domande. Una donna forse prega, e forse è straniera. Ragazzi scesi dagli scooter ridono forte di qualcosa.

La scena si ripete uguale a se stessa. Acqua che rincorre altra acqua. Il film durerà a lungo, e il cielo è gonfio di nuova pioggia.

Il piccolo fiume si dissolverà molto prima del Grande Fiume. 

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Para la memoria

La notizia ha un paio di giorni e l’hanno sentita tutti.

Succede ancora, fino al momento in cui non succederà più.

Un altro nipote riabbracciato dalla legittima nonna.

Un bambino rubato al corpo ammazzato di una giovane madre. Il figlio di una “sovversiva” riciclato impunemente dai carnefici dei genitori naturali, nella notte buia dell’Argentina.

Un incubo lungo una mezza vita, una vita da Ignacio, riscattato da un esercito di nonne coraggio che mettono il tuo passato in una centrifuga e te lo restituiscono con un’etichetta diversa, che se la leggi dice Guido, non Ignacio, Guido Carlotto, origini italiane, figlio di Laura, imprigionata, colpevole di aver partecipato alla vita politica del proprio paese, uccisa a 23 anni poco dopo il parto. Desaparecida no, le sue spoglie furono riconsegnate alla famiglia. Quel bimbo sì, scomparso, come molti altri.

E la notizia, quel piccolo capolavoro di giustizia, l’han sentita già tutti.

Non hanno sentito tutti – invece, forse – la canzone “Para la memoria”, che Ignacio/Guido, musicista cantautore, ha scritto, interpretato (fisarmonica e voce) e dedicato a questa storia. Proprio lui, il bimbo rubato, quell’esistenza uscita come un maglione rovesciato dalla lavatrice della Storia.

Si sa che i cantautori spesso raccontano di sé nelle canzoni. A differenza dei semplici interpreti, capita che si emozionino in maniera particolare, rivivendo spesso all’infinito, nel corso della carriera, i sentimenti fissati nei versi e nelle note.

Ecco, se tale luogo comune corrisponde al vero, da quale tornado sarà percorsa la pelle di Guido Carlotto mentre esegue “Para la memoria”?

 

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Zeza e Giorgia

Mica per buttarla in politica, ché non ha senso.

Svegliarmi ieri mattina, però, e scoprire da Facebook come due vecchi frequentatori delle mie classi (“diplomati” a Scuolamagia tra il 2007 e il 2008) hanno percorso le strade del loro paese nel giorno topico della sagra – storia e radici, tradizioni e gastronomia – mi ha messo proprio di buonumore.

L’ironia è sicuramente un tratto distintivo nella personalità dei due giovini, che già ai tempi delle Medie nelle ore di teatro gigioneggiavano spavaldi, ma non posso non pensare come il loro rimanga un piccolo paese di provincia, dentro una nazione che si spaventa e traballa perché qualcuno mette un tanga e un boa di struzzo attorno alle sue statue più mascoline e virili.

Ignoro se si trattasse per loro di saldare il debito di una scommessa, se fosse stato indetto (dubito) qualche concorso per maschere o gara di camuffamento, se abbiano semplicemente voluto giocare un gioco nuovo. Non importa, quello che importa è che: belli, belli, belli!

 

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