Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Un bicchiere di vino frizzante per Gianmaria Testa

Dentro la tasca di un qualunque mattino è stata la mia prima canzone sua. Un pezzo sorprendente, semplice e originalissimo. Ore a chiedersi chi fosse quel genio in ritardo, mostrosacro senza apparente passato. Ore spese a cercare la nota nascosta dalle parti di quel SOL maggiore, minuscola ma indispensabile. Per poi cantare, cantare, cantare ancora.

Mi piace ricordare un grande cantautore ricercando per i fatti miei quella nota maledetta – si è nascosta di nuovo, ma la scovo, sì che la scovo – e postando questo video.

Gianmaria sta sul trespolo, l’arpeggio già si muove come onda, la canzone è salpata. Arriva una ragazza, commessa di libreria. Gli versa in un calice un vinello frizzante, sussurra qualcosa di inutile, che niente a che fare con quella magia in corso. Il cantautore sorride gentile, fa sì con la testa, la bocca ancora al riparo sotto la coperta dei baffi. Dolce. Inizia a cantare. Dentro la tasca di un qualunque mattino, dentro la tasca ti porterei.

 

 

 

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Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

La donna con il foulard giallo

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Vagavo smarrito nell’ala semideserta di centro commerciale semivuoto.

Attendevo il mio turno al bancone dei cellulari. La mia transazione sarebbe stata rapida, immediata, ma prima di me una signora logorroica chiedeva lumi su un nuovo modello di smartphone. Così, mi aggiravo tra gli scaffali consapevole che nessuno, almeno a quell’ora del pomeriggio, mi avrebbe scalzato nell’ordine gerarchico dei clienti.

All’improvviso mi sono ritrovato nell’angolo dedicato alle Tv, nonostante non mi servisse nessuna Tv. 50, 60 schermi accesi, grandi e piccoli, più o meno luminosi, più o meno costosi, più o meno in offerta, alcuni addirittura curvi, devono essere l’ultimo ritrovato di quel settore. Mi sono sempre chiesto cosa orienti la scelta dei titolari o dei commessi, in luoghi come quello. Ho spesso notato come oltre allo scontato calcio, vadano forte le partite di tennis proiettate in simultanea. I campi sono coloratissimi ed essenziali, geometrici; tennisti e tenniste capita siano ragazzi e ragazze avvenenti. Notevoli anche gli effetti di una moltiplicazione di surf a sfidare altissime onde, dei sorpassi al ralenty tra due moto, di una cucciolata di tigrotti.

Oggi pomeriggio, niente di tutto ciò

Mi ha sorpreso prima di tutto un colore. Quel giallo caldissimo moltiplicato su decine di schermi. Giallo Samsung, giallo Sony, giallo Philips, giallo… Era il colore di un velo, un foulard avvolto attorno al collo di una donna matura. Le Tv tacevano il suo nome, il destino l’ha proprio cancellato, il suo nome, sostituito a forza con quello di suo figlio. Ti chiami Paola ma non importa più a nessuno. Ora tutti ti chiamano mamma, la mamma, e il tuo cognome è diventato un nome proprio di ragazzo. Lo urlano, i sottopancia delle Tv, in quel grande negozio e in tutte le case, sugli schermi dei computer connessi.

Non ti ho potuta ascoltare, però, Mamma di G., eri ovunque, stavi parlando ma in sottofondo la tua voce non c’era. In quegli istanti mandavano una Rihanna di qualche anno fa. La tua faccia bianca era segnata, stanca. Parlavi lentamente, facevi delle pause. Finalmente davanti ai telefonini è toccato a me. Voglio quello, grazie. Pago laggiù? No, non mi serve niente, più o meno so come si fa, davvero, grazie. Bancomat. No, tengo in mano. La garanzia, certo. Grazie.

Poi è stata una corsa, forsennata, verso la macchina. Le scale di casa da salire volando, come da ragazzo quand’ero in ritardo. Accendere la Tv, ‘stavolta la mia, cercare la rete allnews, vedere quella donna alzarsi, salutare, ringraziare, c’è un volo da prendere, scusarsi.

Ho quindi raggiunto il computer, atteso che i siti mettessero ordine alle homepage. Ascoltato, chiuso il cerchio.

#VeritaPerGiulioRegeni

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Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

C’era uno al mio paese. Era Cruyff.

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C’era uno, al paese della mia infanzia.

Lo chiamavano Cruyff.

All’epoca ero un ragazzino delle elementari, molto per bene e pure un po’ secchioncello.

Tuttavia, pensavo sempre e soltanto al calcio. Oltre a quello che praticavo con scarsi risultati al campetto, c’erano quello da tifare in tv, quello da leggere (meglio, studiare) sul “Guerin Sportivo”, quello da contemplare in chiave ironica (ma sognante) nei cartoni di Holly e Benji, quello da disegnare su certi quadernini che ancora conservo, quello da giocare con qualsiasi giocattolo, da Big Jim calciatore (creato all’uopo) fino agli animali della savana orrendamente piegati a calciare biglie di vetro. Giraffa compresa, eccellente nel gioco aereo.

E ogni, tanto, per la strada, mi capitava di incontrare Cruyff.

Sì, perché nonostante fosse ovvia la ragione di quel nomignolo, io a quell’uomo che avrà avuto meno di trent’anni non ho mai visto segnare una rete, nemmeno fare un tiro o calzare un paio di pantaloncini da calciatore. Niente di tutto ciò, lo ricordo in jeans e maglietta, al negozio di alimentari, davanti al bar per un bicchiere con gli amici.

Però era Cruyff, qualcuno l’aveva chiamato così e tutti si erano adeguati. Non poteva essere soltanto per via di quel suo essere un lungagnone dinoccolato, con viso magro e appuntito, seppur coperto da una folta barba chiara.

Va detto anche che al mio paese, piccolissimo comune di montagna, tutti eravamo piuttosto fieri della locale squadra di calcio, infarcita di talentuosi giocatori invidiati da tutti i tifosi delle vallate limitrofe. Senza che Cruyff ne indossasse la maglia, però, a causa di un lavoro che lo teneva per lunghi periodi troppo lontano da allenamenti e partite. Mi sembravano dei mostri, e non avevo ancora visto niente. Non avevo visto Cruyff.

Un’altra cosa va aggiunta. A quei tempi, parlo della metà degli anni ’80, un ragazzino come me non aveva mai visto nemmeno Cruyff quello vero. Il Profeta del gol si è infatti ritirato nel 1984 e allora mica esistevano le compilation su YouTube e i Vine da pescare su Twitter. Insomma: guardavo con infinita ammirazione “uno” che somigliava a “uno” che non avevo mai visto, se non in qualche foto. Un doppio atto di fede carpiato. Di quelli che riescono bene ai bambini, probabilmente grazie alla magia di certi racconti ammalianti fatti dagli adulti.

Avevo una decina d’anni, camminavo per strada nel paesino dove tutti si conoscono e dicevo con gentilezza “ciao”. A tutti.

A volte mi rispondeva Cruyff.

P.S.: Per la cronaca, il Cruyff del mio paese non l’ho mai visto giocare, per quell’altro poi fortunatamente sono arrivate le compilation su YouTube e, per la cronaca, il goal più bello è questo qua.

 

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Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

#ToBeContinued2016

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Peccato, davvero. Domani niente concerto in streaming a Scuolamagia, niente listening point di ToBeContinued come negli scorsi anni. Colpa di nessuno: sono soltanto iniziate le vacanze di Pasqua.

Le prime volte è stato complicato, le connessioni erano fragili, fragilissime, e si perdeva continuamente il filo.

Nel 2015 è stato bellissimo, con la Lim nuova fiammante e il lavoro giornalistico svolto dalla redazione di Radiomagia. Bellissime le porte aperte, con quelle musiche così particolari pronte a cercarti, a stanarti in ogni angolo del plesso, classi, corridoi e bagni. E la curiosità, soprattutto, la curiosità di domandarsi da dove, da dove quelle note, quei battiti, quei sibili, quei cigolii. E poi tuffarsi negli atlanti, nelle mappe digitali, nelle tabelle coi fusi orari per guardare, per toccare con mano luoghi lontani suggeriti appena dal suono.

Proprio un peccato, perdersi una giornata di scuola così.

La maratona sonora di ToBeContinued, comunque, per tutti, comincia a mezzanotte, qui.

 

P.S.: come ogni anno il manifesto dell’iniziativa, realizzato da Cosimo Miorelli, è un capolavoro.

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