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I nostri giornali che ci lasciano nel fango

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Ho fatto un rapido giro dei giornali on line norvegesi e ho guardato le figure. Mi è sembrato – anche se non posso esserne sicuro, ovviamente – che alcuni  nemmeno riportassero la notizia di Breivik risarcito dallo Stato per aver subito un trattamento inumano. Forse da quelle parti è già vecchia e c’hanno incartato gli stoccafissi, forse non scrivono quel triste cognome nelle titolazioni.

Fatto sta che nessuna delle testate che invece riferiscono di quella sentenza sceglie di accompagnare la notizia con la fotografia del saluto nazista compiuto da quel folle giovane durante un’udienza. I nostri giornali: tutti. Compresi i più autorevoli. Niente di nuovo, nessuno stupore. Però qualche somma dovremmo iniziare a trarla, davanti ad un fatto di tragica normalità.

La legge norvegese dice che in carcere si dev’esser trattati in un certo modo. Che la vittima sia una come nel caso le vittime siano 77. C’è una soglia, in Norvegia, e sotto non si scende. Adesso si aprirà un dibattito: ci saranno gli indignati, quelli che non potranno non pensare – loro, eh – a quelle povere madri e a quei poveri padri, quelli che ci voleva la pena di morte, quelli che riporteranno le battute che farà Travaglio, quelli che eccetera eccetera. Nel frattempo, i nostri giornali ci ricordano puntuali che quel personaggio è pure uno sporco nazista. Ci danno la loro spintina, insomma, come se servisse.

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Piccola posta, Res cogitans, Stream of consciousness

Nessuno tocchi Caino, e neanche Doina…

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Prendo un pugnetto di righe di Adriano Sofri a cui sono  molto affezionato, scritte pensando a Erich Priebke. Mi permetto di sostituire alcune parole, e al posto del vecchio nazista ci metto la trentenne Doina Matei. Il discorso fila lo stesso, limpido, con il surplus di pietà che una ex prostituta di trent’anni, madre a 14, carcerata da 9, merita rispetto a un vecchio camerata coerente fino all’ultimo con il suo passato di carnefice.

«Un minuto dopo la sentenza, sarei stato sollevato se Doina Matei fosse stata rimandata a casa sua. Non ha alcuna importanza, ai miei occhi, che donna sia oggi, quali pensieri esprima o taccia sul suo passato, quali selfie posti o non posti su Facebook, di quali sorrisi si renda protagonista.  Riguardano lei. Forse riguardano i parenti della vittime, ammesso che diano peso a ciò che lei dice o tace, o fotografi: non so. Per me non ha alcuna importanza. Non importa niente che donna sia, ma che sia una donna.»

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