Cineserie, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness

Sotto gli occhi dei bambini

Due notizie che si guardano allo specchio: accade spesso.

 

Italia, esami di stato conclusivi al termine del primo ciclo di istruzione, gli esami di terza media, insomma, e in particolare la Prova Nazionale nuova fiammante, quella oggettiva, quella uniforme, quella che fa statistica e che fa classifica. Qual è la notizia? Semplice, si tirano le somme e si scopre che in tantissime, in troppe scuole si è giocato sporco, si è barato: gli insegnanti hanno indicato la casellina giusta da crocettare, o hanno permesso che gli studenti crocettassero in gruppo, unendo le forze. Importanti sociologi dicono che in fondo è normale e che si poteva prevedere: è l’atavica ritrosia degli insegnanti nel farsi giudicare. E un alunno asino non può che segnalare la presenza di un docente asino. Ottimisti, i sociologi: sarebbe come a dire che l’elevato numero di trasgressori dei limiti di velocità sia indicativo del desiderio degli automobilisti di non passare per ritardatari.

83201248976332978

Cina, concorso pubblico. In una grande aula i banchi sono riempiti da colletti bianchi: impiegati statali che mirano ad una promozione. Ad un progresso nella loro carriera, ad un passo avanti. A controllarli c’è un piccolo battaglione di bambini delle scuole elementari. Solerti e impeccabili sanzionatori: i 18 cuccioli rileveranno in sole due ore 25 infrazioni.

 

Chissà perché i bimbi. Che gli adulti si sentano moralmente colpevoli nel commettere imbrogli davanti a testimoni innocenti per natura? Che i piccoli risultino impermeabili ai tentativi di corruzione? O sarà per il baricentro basso e per la vista più fresca, utili nell’individuare le manovre dei trasgressori… Chi lo sa…

 

Nessuna lezione, sia chiaro. Anche perché la Cina in fatto di corruzione non è certo il pulpito migliore da cui far partire una predica. Però le due notizie stridono ugualmente. I grandi che insegnano ai piccoli la corruzione – i piccoli che insegnano ai grandi l’onestà.

Standard
Cineserie, Soletta, Stream of consciousness

Andare a Erenhot

In edicola da oggi, il nuovo numero di “Diario” è un ottimo compagno di viaggio. Per chi va in vacanza e per chi – fortuna sua – riesce a viaggiare anche con la mente per sintonizzarsi con le cose che succedono nel mondo. Quelle che succedono davvero e che lasciano tracce.

A pagina 120, ad esempio, Piumetta racconta di un suo viaggio coraggioso in una città cinese di confine. Un luogo pazzesco, che sembra nato dalla fantasia di uno scrittore. E invece no, sta lì e brulica di personaggi. Veri, verissimi. Leggere il reportage è come conquistare un luogo prima d’ora inesplorato – hic sunt leones!!! – e metterci una personale bandierina di conoscenza.

diario2

Standard
Cineserie, Imago, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il clic prima del clic (ancora su Tiananmen)

Ragazzo

E tutti a chiedersi che fine abbia fatto il ragazzo. Un anno dopo. A cinque anni da. A dieci anni da. A vent’anni da: l’altro giorno. Il ragazzo con le sporte di plastica e la schiena dritta, quello coi capelli neri nel posto dove tutti hanno i capelli neri. L’avranno catturato, l’avranno torturato, sarà fuggito negli Usa, sarà protetto, vivrà sotto mentite spoglie: la solita girandola di ipotesi. E l’ossessione per il dopo, per il “come sarà andata a finire?”.

Ma chi si chiede mai come sia andata a cominciare?

Io sono rimasto colpito questa foto che racconta il prima. Il poco prima, l’attimo prima. Bisogna aguzzare la vista, bisogna “fare caso” tra i due alberi, a sinistra della colonna. La colonna di pietra, non la colonna di carrarmati, pur presente all’orizzonte della piazza. Era già tutto scritto. Il gesto, intendo. Era pensato, ci saranno almeno 200 metri per cambiare idea e l’idea non cambierà, rimarrà la stessa, in quella che non era una farsa (era una tragedia, infatti…) e lo si legge nello sguardo di chi scappa, a piedi o in bicicletta.

Standard
Cineserie, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Tiananmen e il giorno che metteranno una pezza in piazza

4771b18b2dcd83b5f59e9e3b21051bb2Io in piazza Tiananmen ci son stato 5 volte. In due occasioni era la meta, nelle altre andava soltanto attraversata, come si attraversa un luogo che sta un po’ nel mezzo e ti tocca passarci per forza.

Leggo le testimonianze di chi c’era nel 1989 e mi vengono in mente soltanto le mie impressioni grandi una sciocchezza: gli aquiloni regali pilotati con maestria, i militari di guardia – molto più possenti e accigliati di quelli visti altrove a Pechino, quasi che stare lì fosse il vertice di una carriera di vigilantes – le bottigliette di plastica vuote, per terra, e i vecchietti dalla pelle bruciata dal sole che le raccolgono solerti e quello è il loro lavoro, la faccia grande del timoniere, le statue degli eroi del popolo, la bandiera, l’enorme palazzone del potere, la strada a 12 corsie, la puzza di smog, il  rumore, le vibrazioni al passaggio della metropolitana.

E l’impressione che quello non potrà mai più essere un posto normale, nonostante gli sforzi di normalizzazione, nonostante ai giovani cinesi sia da mesi impedito l’accesso a YouTube e da sempre quello alla verità. Ci vorrebbe forse una di quelle pezze che si mettono in democrazia, un marmo freddo che ricordi: “qui furono barbaramente trucidati…”. Uno di quei gesti contraddittori che accendono i riflettori sulla debolezza dell’uomo e del suo potere, come quando il nostro Stato commemora in uno spaesato cortocircuito le vittime delle tante, delle troppe Stragi di Stato.

Questa sera in cui rivedo gli aquiloni, le statue e le bottiglie vuote di quella grande macchia grigia sulla buccia del mondo, immagino il giorno in cui i cinesi ci metteranno una pezza. Ammettendo ciò che è giusto ammettere e consentendo alla memoria di mettersi in moto con i suoi complicati ingranaggi. Sarà soltanto una pezza, e scusate se non sarà poco. Una pezza in piazza.   

Standard
Cineserie, Soletta, Stream of consciousness

Una poesia di GLF

Ieri mi hanno regalato un’armonica

a bocca, mi hanno regalato una bocca,

un suono, un respiro con mille spifferi dentro,

una piantagione di spifferi che fa il vento,

e decido, portando le labbra sul ferro

passando sulle finestre scure, di mettermi in armonia

con la sua voce – lo chiamo ritmo.

Balla sui denti come una foresta a notte

che sale e scende le colline.

Dove abiti, non so se vedi le colline

o se la città per te è tutto. Pensa a un’armonica,

un pezzo di legno viti e metallo

che squarcia il mondo, indica l’uscita e l’abbraccia,

perché non te ne vada. Voltati di spalle,

inumidisci le labbra e ascolta.

È made in China la mia armonica,

un passaggio sulla carne come un’impennata di spruzzi

sulla pancia del mare,

è made madre lontana dall’Oriente, porta l’odore

di sandalo, profumo d’arie incrociate sugli oceani,

e di sale, poi scende a cavallo di un destriero,

ventre alla steppa, solletica con la saliva,

i cieli come corridoi di casa. E correndo canta.

 

Gian Luca Favetto

Standard
Cineserie, Soletta, Stream of consciousness

La Cina è vi… rtuale

Il giorno che Piumetta mi ha mostrato RMB city ero scettico. Su Second Life avevo già messo piede nel 2007, stufandomene ancora prima di decidere il colore delle scarpe del mio avatar.

RMB city, però, non è la solita isoletta virtuale, RMB city – luogo di tutti i luoghi della Cina – è un’opera d’arte, è una “città invisibile”, la Tecla di Italo Calvino. RMB city è lo specchio in cui una giovanissima cinese dedita all’arte prova a guardarsi insieme al suo popolo smarrito. È una foto di gruppo, mossa, mossissima.

Nel nuovo numero di “Diario”, da poco diventato mensile, Piumetta racconta del suo viaggio dentro la Cina virtuale di RMB city, del suo incontro con la sua creatrice Cao Fei, di molto altro.  

Standard
Cineserie, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Compleanno in contumacia

Da quanto mi risulta il compleanno in contumacia è un’invenzione di Marco Ardemagni. Nelle sale stampa della Pechino olimpica fece notizia la sua torta in onore dei 18 anni del giovane interista Balotelli, speranza dell’Italia calcistica, vittima pochi giorni fa della solita Italia senza speranza.

Oggi mi sono fermato nel piccolo supermercato a pochi passi da Scuolamagia ed ho acquistato un euro e settantacinque di torta di mele confezionata, l’unica che offriva il piccolo esercizio del paese. A ricreazione l’abbiamo divisa in tante fettine e abbiamo festeggiato i 100 anni di Rita Levi Montalcini. Ci è sembrato fosse quasi doveroso, e dove poi se non in una scuola? Francy ha anche deciso che metterà la scienziata al centro della sua tesi multidisciplinare all’esame di giugno, con una fitta rete di collegamenti: il cervello umano, l’emancipazione femminile, la scienza, l’Africa, la Shoah, la giovinezza, ecc.

Qualcuno ha fatto notare che oggi era anche il compleanno di Kakà. Vabbè… tanti auguri.

Davanti alla commessa, dieci minuti prima della ricreazione, ho addirittura pensato di comperare 100 candeline, magari soltanto per rendere l’idea. Non ce n’erano abbastanza, e non sarebbe stata abbastanza la superficie della torta.

Standard
Cineserie, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Baluardi

Un telegiornale locale captato a Montepulciano il giorno di Pasqua mi aveva allarmato non poco. Sembra che negli ultimi tempi, a Lucca, siano caduti dalle mura (alte anche 8 metri) frotte di ragazzini gitanti. Non male come notizia, alla vigilia della partenza della mia gita.

Alla fine non è caduto nulla se non tanta pioggia giovedì e qualche lacrima ieri, a Sant’Anna di Stazzema, ma di quell’acqua parlerò nei prossimi giorni, magari per festeggiare il 25 aprile.

Torno sulle mura, le più belle d’Italia. In realtà i Lucchesi hanno avuto la fortuna di adoperarle molto poco nel corso dei secoli, al punto di poterle sfoggiare oggi come un qualcosa di appena inaugurato. Ricordo di aver letto in un libro di Renata Pisu di un convegno di super architetti a proposito di città e di conservazione della loro bellezza coniugata alle inevitabili esigenze di sviluppo. C’è un esempio al centro del dibattito: l’urbanistica di Lucca. Si alza l’ospite cinese e propone di squarciare le mura o almeno di abbatterne un tratto. Per fare posto. I rimanenti conferenzieri gli danno qualcosa come un calcio in culo. Per fare posto.

Sabato mattina la sveglia è suonata alle 6 in punto. Mi sono vestito nel buio della mia stanza d’ostello, condivisa con altri colleghi, e mi sono affacciato sul corridoio. Ad aspettarmi lì ho trovato l’alunno Samu, come d’accordo. Nella penombra abbiamo raggiunto il portone d’ingresso e siamo sgusciati sotto l’umidità di un cielo nuvolosissimo. Siamo andati a correre sulle mura, da un bastione all’altro, lui con il suo fiato da piccolo atleta, io che arrancavo dopo poche centinaia di metri. Ma senza mollare, suvvia. Scomponendomi, riducendo il dialogo a pochi monosillabi sparagnini di ossigeno, guardandomi le scarpe per non lasciarmi torturare psicologicamente dai rettilinei infiniti.

È stato bellissimo, abbiamo parlato tanto e abbiamo visto tutto quello che il clima infelice non ci aveva permesso di vedere nei giorni precedenti. Abbiamo spiato una città svegliarsi, i cinesi allestire i mercatini nelle viuzze strette strette (certo, abbattendo qualche tratto di mura…), i bar sollevare le serrande, i pensionati portare i cani a fare quello che devono fare. Indimenticabile.

 

Standard
Cineserie, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Terremoto

Io l’ho saputo così. Con una foto. Erano le sette di mattina. In camera mia e sull’homepage del grande quotidiano punto it. Nella grande foto (non ho voglia di cercarla, tanto è come se la vedessi anche in questo momento): due donne. Un’anziana con lo scialle, curva e disperata; una donna orientale (cinese?) a sorreggerla con braccia badanti: giovanissima, solida e pressoché impassibile. Un gesto semplice: sostenere e guidare in una lentissima fuga. Un gesto semplice, una metafora fortissima. Sullo sfondo un paesaggio irriconoscibile di macerie, nuvole di polvere sollevata dai crolli, altri corpi a brancolare.

Dopo l’immagine, subito un pensiero, per il quale dico grazie ad A.S., mio amico su Facebook: un pensiero per il carcere di Sulmona (già tragicamente famoso) ed i suoi abitanti. Sì possono avere le gambe buone, lì dentro, lo scatto felino, l’istinto animale che prevede la scossa. Ma è tutto inutile, in strada a stringersi e a tremare con gli altri umani non si può proprio andare.

Standard
Cineserie, Stream of consciousness

Shanghai babies

Shanghai b

Stanotte li ho sognati e la prima domanda è “chissà perché?”. Li incrociavo per strada, anche se in quell’istante onirico era l’asfalto di una città molto più normale della loro. La seconda domanda potrebbe essere “dove stavano andando?”. La terza domanda è “perché non me li sono dimenticati?”, i bambini di Shanghai. Quei sei bambini lì, spuntati all’incrocio tra quattro superstrade, tra i grattacieli che in quel punto della città sembrano i denti di un pettine. Quei sei bambini soli, incustoditi – al contrario dei piccoli imperatori pechinesi che avevo incontrato nei giorni precedenti, sempre scortati da una mano di nonno, da uno sguardo di mamma – sgusciati fuori da qualche slum metropolitano dopo un forte acquazzone estivo. “Perché non avevano paura?” è la quarta domanda, ma è fin troppo semplice rispondere: quella era casa loro, erano casa loro quei rumori, quel brulicare di passi, di facce, di frette. In qualche altro posto del mondo avrebbero potuto metterla loro, la paura addosso, ma Shanghai e la Cina non sono luoghi da borseggiatori, da babygang: le gang non le formano nemmeno gli adulti.

Quei sei bambini lì, una banda colorata, una quarantina d’anni a spasso su 12 zampette. Il gruppo si è spezzato, incrociandomi sulle strisce pedonali – tre alla mia destra, tre alla mia sinistra – per poi subito ricongiungersi. Forse quattro di qua e due di là. Io sono rimasto lì, invece, immobile, per qualche istante, fino alla sirena che annuncia la fine del verde e l’imminente arrivo del rosso e di 6000 macchine dalla strada perpendicolare. La sesta domanda, “sarà mica quello il cuore del mondo?”, è la sicuramente la più impegnativa.

Standard
Cineserie, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

O Andrea o Disint

Luca, Mattia, Manuel, Nicola, Stefano, Francesco, Michele, Martina, Martina, Martina e Marina. Altri undici alunni che si affiancano aglii undici consueti. Più piccoli, però: si tratta di cuccioli della scuola primaria in trasferta a Scuolamagia per una serie di lezioni d’informatica.

Due ore ogni settimana il mercoledì pomeriggio: più faticose di 2 settimane di insegnamento tradizionale con i ragazzi delle medie. Perché  chiedono, domandano, inquisiscono. Alzano le mani e le voci. Si appoggiano e si aggrappano. Vogliono fare e fanno, vogliono creare e creano.

E chiamano, soprattutto chiamano.

Mi chiamano Prof., e ci sta.

Mi chiamano Maestro e ci sta pure quello.

Mi chiamano Maestra e con la barba di tre giorni ci sta un po’ di meno (e mi fa ridere).

Mi chiamano Disint e prova a contraddirli… carta (d’identità) canta.

Mi chiamano Disi, e questa è una deriva onomastica partita quest’anno in prima media…

Mi chiamano Andrea, così, spontaneamente, finché qualche adulto – purtroppo – non spiegherà loro che non possono.  

 

Oggi stavano lavorando all’inserimento nel computer di un gran numero di immagini di grandi città. Due bimbe scelgono una foto di Shanghai con in bella vista la Jin Mao Tower. Io mi vanto di aver bevuto una camomilla a pochi piani dalla sua vertiginosa vetta e indico la finestra precisa del grattacielo, o pressappoco. Prima mi danno del millantatore. Io giuro sul giurabile e una di loro decide di scriverlo sul documento inserendo una freccia e un’opportuna casella di testo. Detto e fatto: “lassù Andrea ha bevuto una camomilla”.

All’altra bimba i conti non tornano.

È basita.

“Non ci vuoi proprio credere…”, faccio io.

“No, ci credo, ma tu non ti chiami Disint?”

     

Standard
Cineserie, Res cogitans, Soletta, Tutte queste cose passare

Ciminiere

Le stesse cose che ho pensato quest’estate mentre attraversavo l’immenso quartiere pechinese dedicato all’arte contemporanea (la celeberrima 798), quando non riuscivo a concentrarmi su quella macedonia di bizzarrie e estri creativi. Quando passavo oltre la grande gabbia per uccellini con dentro una bambina viva (un’opera d’arte) per raggiungere e sfiorare l’immenso reticolo di tubi arrugginiti (l’antica realtà di quel luogo, sorgendo lo spazio espositivo sulle rovine di un grande complesso industriale). Quando giravo attorno al maiale decorato con migliaia di fototessere (un’opera d’arte) per avvicinarmi al vecchio binario dismesso, ormai quasi cancellato dall’invadenza dell’erba. Quando snobbavo pesanti teste di gesso, fotografie di mutilazioni, vetture da Formula 1 incidentate (tutte opere d’arte) per rivolgere gli occhi alla maestosità delle ciminiere. Mute di fumo, e da anni, tuttavia molto più eloquenti di tutta quell’arte imbrigliata, incellophanata alla periferia di un regime. Capaci di raccontare la storia di quella città stravolta dal moderno, piccoli indizi sulla scena di un urbicidio.

cimi2

Le stesse cose che ho pensato quest’estate le ha scritte Antonella Bukovaz in una lettera alla stampa. Accade che stiano dismettendo un’area industriale nella città in cui vive, per fare posto ad una banca e all’ennesimo complesso commerciale. Il tutto con in sottofondo una fastidiosissima enfasi modernista culminata nel più classico tonfo di ciminiera abbattuta.

A proposito del quale scrive Antonella:

 

“È stato un piccolo moto causato da uno spostamento tra ciò che è giusto e ciò che lo è meno, tra ciò che è bellezza e ciò che non lo è, tra ciò che va bene e ciò che va male e ciò che andrà peggio.

È stato l’ultimo appigliarsi a un’immagine, quella della ciminiera, che ha fatto e farà parte del nostro personale paesaggio e che abbattendosi al suolo, grigia come un faggio secolare, ci ha fatti risuonare come cosette da nulla”.

 

Ricordo le parole di Marco Paolini, a teatro. “Mettere il piede su un ponte che ha visto ottomila stagioni e sentire che ancora resiste non è poco. Il ponte è mio, ma sento mie anche le città della chimica e siderurgia bruciate in questo secolo: Gela e Marghera, Ferrara e Gioia Tauro, Taranto. […] Mi ripeto: a me le valli troppo verdi, quelle della pubblicità, mettono un’incontenibile voglia di fargli subito dentro la cacca e la pipì per contaminarle almeno un po’… mi dà tristezza pensare che la maggior parte dei non luoghi che usiamo, attraversiamo, sfruttiamo debbano essere considerati persi. È a quelli che devo dare un nome, perché è quella la zavorra che mi tira sotto, perché la maggior parte del mio tempo lo passo lì. Cavalcavia, viadotti, sono emozioni a buon mercato se uno sa andare a piedi, ma se ci passo sopra come faccio a buttarli via, come faccio a fare finta che non siano nel paesaggio?”

 

Ancora Antonella, ancora più a fondo:

“Questo nostro tempo ha invece l’arroganza di decidere la scomparsa della memoria in nome di un futuro improbabile. Ha l’urgenza di semplificare radendo al suolo. Ha la cecità di produrre un futuro che è previsto uguale per tutti e per questo porta un altro nome: omologazione! E qui anche vorrei essere chiara. Nel tentativo che faccio quotidianamente di allevare con bellezza le mie figlie cerco di impastare la loro origine slovena con quanto più mondo mi riesce. Cresceranno intorno alla propria radice, a una memoria collettiva che fatichiamo a preservare, ma è base per un  futuro consapevole e le aiuterà a non cadere nella trappola di considerare quelle che vediamo come le uniche scelte possibili”.

 

cimi

Sono importanti le ciminiere, andrebbero abbracciate come si abbracciano certi alberi. Quelle di Pechino una volta erano il tetto della città, probabilmente aiutavano gli uomini ad orientarsi, a ritrovare la strada. Oggi sono annichilite dai grattacieli, e vengono confinate nei quartieri dell’arte contemporanea. Presto qualcuno le scambierà per immense sculture.

Standard
Cineserie, Imago, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

In Vespa

È morto Giorgio Bettinelli. Quello dei viaggi in vespa, su e giù per il mondo. Quello con un padre che da piccolo non gli diceva di stare attento agli sconosciuti, ma che gli diceva attento, guai se non gli vai incontro, agli sconosciuti. Quello che scriveva libri di viaggio, ed il suo ultimo – La Cina in vespa – ha fatto parte quest’estate del mio training di avvicinamento al Celeste Impero. Con il difetto di non essermi piaciuto affatto, tanto da spingermi quasi ad inaugurare sul blog un nuovo genere di post: le recensioni negative, le “solette” al contrario. Confuso, contraddittorio, talora persino un po’ volgare. Poi ho desistito, che diritto avevo io, di giudicare il racconto della sua matta vita? Curioso che nel pubblicare una sua bella foto, qualche anno fa, avessi confuso il suo nome con quello di un omonimo letterato del Settecento studiato all’università, guarda caso un Viaggiatore.

La ripubblico e addio per sempre. Mi sa che era uno di quelli che se si trattava di immaginare il proprio funerale pensava prima di tutto a una musica ballabile, un rinfresco ed il vino giusto per un mucchio di gente che si diverte.

bett

 

 

 

Standard