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Tutto sulle sue galline

Una polemica vecchio stile, come sarebbe bello trovarne sui giornali. Samu ha preso quaderno e penna e me le ha cantate. No, non per il fatto di essere stato punito, quello no, sapeva di averla fatta grossa. Nemmeno per l’entità della punizione, ché il crimine era reiterato e “l’uomo” avvertito. Il problema era la natura della punizione. Si trattava di descrivere un comico famoso (del cinema, della tv…) e provare a spiegare il perché del suo successo. Perché fa ridere? Perché ha una faccia buffa? Perché gli vanno tutte storte? Perché prende in giro Berlusconi? Non sembrava malaccio al prof., quel tipo di attività. E pure Samu, condannato secondo i dettami dell’habeas corpus, avrebbe potuto espiare divertendosi e lavorando soltanto un po’ di più insieme a Aldo Giovanni & Giacomo, Panariello, il Mago Forest, Crozza, Emilio Fede, la Litizzetto o chi voleva lui.  

Ma Samu – si evince dalla garbata lettera – è fatto di un’altra pasta. Il suo è ancora un mondo di animali e di giochi all’aria aperta, di alberi scalati e di casette di legno. Samu da un ramo con un coltellino sa ricavare un fischietto, Samu chi “ci sia in nomination” questa settimana tra quelli dell’Isola proprio non lo sa. “Le cose vicine”, le ha chiamate nella sua lettera. Quelle che preferirebbe descrivere quando gli si chiede di esercitarsi nell’uso scritto della lingua patria. Le cose semplici, le cose vicine come le sue galline. Samu mi ha scritto tutto questo e distinti saluti.

Morale della favola: ho deciso di commutargli la pena. Dopo aver premesso che comunque sarà utile nel corso dell’anno avventurarsi con l’intelligenza e la fantasia oltre i confini del rassicurante orizzonte quotidiano, scrivendo anche di altri mondi reali, possibili e impossibili, ho trasformato i vecchi compiti nelle seguenti consegne:

  • Descrivi il tuo fratellino di 5 anni mentre gioca con i Gormiti;
  • Descrivi il rifugio alpino dove passi le vacanze;
  • Descrivi una tua gallina, ma non una qualsiasi: la più sensibile.

 

Svolgimento

 

La più sensibile e coccolona delle mie galline era Gemma, dovete saper però che Gemma è morta da 5 anni. Era la mia gallina preferita, era una delle prime e io le volevo molto bene. All’inizio avevo tre galline: Gaia, Gemma e Gina. Lei era la più buona, aveva un carattere docile e gentile, si accovacciava sempre sulle mie ginocchia e mi faceva l’uovo. Un giorno, però, è arrivato il falchetto. Lui era furbo ed è sceso in planata nel recinto ed ha preso Gemma al volo, l’ha buttata a terra e ha cominciato a squarciargli il petto. Io me ne sono accorto troppo tardi e Gemma era sul punto di morire. Quel giorno ho pianto tantissimo (anche adesso mi viene da piangere!) perché Gemma mi è morta tra le mani. L’ho seppellita dove anche mio papà seppelliva le galline una volta, e mentre la sotterravo mi tornavano in mente i bei ricordi passati insieme a lei, alla sua bontà e alla sua gentilezza.

Anche adesso ho delle galline sensibili ma non mi dimenticherò mai di Gemma.

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Carissimo Giuliano,

Tu vuoi che ti scriva di cose serie. Molto bene. Ma cosa sono le «cose serie» che vuoi leggere nelle mie lettere? Tu sei un ragazzo, e per un ragazzo anche le cose per i ragazzi sono molto serie, perché sono in rapporto con la sua età, con le sue esperienze, con le capacità che le esperienze e la riflessione su di esse gli hanno procurato. Del resto prometti di scrivermi qualche cosa ogni cinque giorni: sono molto contento se lo farai, dimostrandomi di aver così molta forza di volontà. Io ti risponderò sempre (se potrò) e molto seriamente.

Caro, io ti conosco solo per le tue lettere e per le notizie che mi mandano di te i grandi: so che sei un bravo ragazzo, ma perché non mi hai scritto nulla del tuo viaggio al mare? Credi che non sia una cosa seria? Tutto ciò che ti riguarda è per me molto serio e mi interessa molto; anche i tuoi giochi.

Ti abbraccio.

 

Antonio

 

 

Le altre lettere. Scritte dallo stesso carcere, il carcere di Turi. Piccole pagine per i figli piccoli. Per Giuliano, il figlio mai visto. Finiscono quasi sempre in un abbraccio, oppure in un bacio. Alcune in un “ti voglio bene”. Spesso sfottono Veltroni e gli chiedono che c’azzecchi con Gramsci, ormai. Hanno pure ragione, a sfotterlo. Però è vero e fa sorridere che, ammesso che sia mai esistito un Veltroni gramsciano, esiste sicuramente un Gramsci veltroniano, tenero e incantato.

Le altre lettere. Uno le legge e le rilegge, e viene voglia di prendersi a cuore le cose serie, cioè di prendersi a cuore TUTTO.

I monaci del Tibet. La bambina cinese estratta dal pozzo, ed è bello che ogni tanto i bambini riemergano dai pozzi neri. La gara di sci dell’alunno colorato. Il contratto che bisogna contrattare. Che non gli passino mai il pallone a ricreazione. Che l’amica parli male di lei proprio adesso che lei è tanto fragile. La riformetta del ministro Fioroni. La gita a Firenze da organizzare. Tutto il resto.

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Ti ricordi quei giorni…?

Il 21 marzo di 5 anni fa era un giorno di sole, segno tangibile di una primavera puntuale. La mattina ero entrato in classe coi i giornali sotto il braccio per una di quelle lezioni un po’ improvvisate che possono andare benissimo o malissimo, in cui un cucciolo può uscirsene con parole illuminanti oppure perdersi nella banalità di qualche immagine pubblicitaria. “Repubblica”, “Corriere” e “Manifesto” offrivano le stesse fotografie, gli stessi cieli accesi di bombe. Non facevano troppo effetto, ricordo, e più di qualcuno aveva in fondo già visto Lilli Gruber raccontare l’inferno con i fuochi alle sue spalle. Facendomi strada tra qualche ironia ho tessuto quindi l’elogio della rete satellitare Gay.tv, coraggiosa nello scegliere l’antiretorica di uno schermo nero: oggi non si balla, oggi qui è chiuso, pensateci: là fuori c’è una guerra.

Ma quel venerdì è stato soprattutto un venerdì pomeriggio. Si inaugurava la biblioteca, quella che sarebbe diventata bibliotecamagia. Per mesi avevo portato i ragazzi ad affondare nella polvere. Come direbbe Veltroni, ero forse riuscito a far venire loro, i miei marinai, il desiderio del mare. Bisognava crederci in quel sogno, bisognava immaginare quegli spazi come la propria casa, come il posto dove poter sempre trovare un rifugio. C’era stata l’euforia delle lezioni picaresche, il passamano dei libri da spostare, gli scaffali da allestire, una piccola burocrazia classificatoria tutta fatta in casa e tutta da inventare. C’erano stati lo scetticismo e lo scoramento, i “tanto non ci verrà mai nessuno” erano all’ordine del giorno. Poi era arrivato quel venerdì pomeriggio e le piccole stanze della biblioteca si erano riempite di ospiti. I volantini con il disegno di Andrea Pazienza avevano svolto appieno la loro funzione. Ricordo uno slogan, naturalmente ignaro del futuro: “…non sai la capitale della Birmania??? Vieni a scoprirla nella biblioteca di…”.

Da allora sono stati tanti i pomeriggi trascorsi in quel luogo speciale. Pomeriggi a raccogliere fiori.

Il registro delle firme – con i suoi nomi, i suoi soprannomi, i suoi disegni, le sue parolacce – testimonia di una fedeltà crescente a quelle pareti e a quelle sedie.

Il 21 marzo 2003 – giorno lungo come tre giorni – ho assistito, a sera, al concerto di Francesco Guccini trovando stanche e ripetitive le sue parole, “uguali a tante che già mi cantò”.

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Lettera

Cara Sara,

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ragazza perduta, la cosa che più mi ha colpito è che ci sei anche tu. Si vede il tuo viso, alle mie spalle, al minuto 9.46. Ho paura che il pubblico abbia pensato ad una mancanza di rispetto. In fondo il tuo manifesto è il segno evidente di una tragedia, lo so. Ma come sai ti abbiamo adottata, e io più degli altri. Sei diventata il simbolo di qualcosa di importante, non so nemmeno io cosa. Forse di un’attenzione verso ciò che è lontano, forse dell’urgenza di provare a capire sempre, di non smettere mai di cercare. Forse ci dici soltanto che tutto è fragile, che tutto è in bilico e che dobbiamo sempre tenerci stretti.   

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Piccola posta

Gent.ssima Sig.ra Monica Bellucci,

mi scuso con Lei per l’orribile sibilo che nel corso della mattinata odierna ha molto probabilmente infastidito il Suo mirabile udito. Erano i miei studenti, gelosi della Sua fama e delle Sue generose forme. Abbia pazienza, sbollirà anche il loro astratto furore. Voglia gradire i saluti più cordiali.

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Tremano le parole della mia fragile calligrafia

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Cara Sara,

caro il mio espediente letterario, cara ragazza scomparsa, caro interlocutore immaginario, occhi che mi guardano mentre scrivo alla lavagna. A scuola tutto scorre con la solita frenesia e con il solito armonico disordine. Si fanno cose, si vede gente.

Ieri abbiamo parlato di Socrate. Samu si è pure costruito una bianca barba di carta igienica e scotch e ci ha intrattenuti con la battuta «oggi “so di non sapere” più del solito». Questa mattina, invece, abbiamo ricordato Giorgio Ferigo, medico e cantautore di questa terra, ascoltando una delle sue canzoni.

È stata una strana giornata: due cuccioli su dieci hanno pianto. Il 20% di una scuola, una media alta, da giornata stortissima. Alcune gocce le ho stoppate come una guardia dell’NBA, altre ho il sospetto di averle addirittura provocate con un paio di frasi decisamente maldestre.

Ho saputo anche che una madre ha detto alla figlia che Il Grande Cocomero di Francesca Archibugi è “un film da ******”, e al posto degli asterischi leggici il mio nome. La figlia, prima e durante la visione, non aveva fatto cenno alla provenienza della VHS, cioè la mia piccola videoteca. Siamo quello che mangiamo, ma prima ancora siamo le pellicole che amiamo.

E tu, perduta, che film sei?

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Cari saluti

Vi sarà capitato di pensare che il titolare di una rubrica settimanale o quotidiana, sulle pagine di qualche giornale, quella volta lì molto probabilmente non aveva la minima idea di cosa scrivere? Blocco totale, foglio bianco – di carta, di Word – che osserva impassibile, la mente che è un deserto di idee. Succede a tutti, è umano, anche ai migliori. I migliori però se la sanno cavare meglio e si traggono dall’impaccio con maggiore disinvoltura. Riciclano un pensiero già espresso in precedenza e gli fanno un piccolo lifting, se sono cervellotici buttan giù un pezzo cervellotico e metagiornalistico sul tema “non sapere cosa scrivere”. Forse Lella Costa, nella sua paginetta su “A”, questa settimana proprio non sapeva cosa scrivere. Così s’è presa la libertà ferragostana di fare dei saluti e mandare qualche bacio, confessando senza tante storie l’uso privatistico del mezzo. Tutte donne, le destinatarie, anche se lei preferisce chiamarle “ragazze”, qualunque sia la loro età.

E allora ciao alla sua mamma e alle sue figlie. A un’amica che sta navigando e si merita l’appellativo di pirata. Alle sue amiche che scrivono poesie, a una in particolare e chissà chi è. Manu la saluta insieme alla sua pancia e mi sa che Manu non soffre di obesità. Dori, Dori mi sa che è Dori Ghezzi. Così come Randi, con quel nome, mi sa che è la compagna di Adriano Sofri, la destinataria della lettera d’amore più bella ch’io abbia letto mai (“Cara Randi, buon compleanno. Avrai un giorno pieno di pensieri, cioè di ricordi. Mi piacerebbe che ti ricordassi di una sera che deve ancora venire, sebbene se ne conosca già la luce di specchio…”). Ciao a Teresa, che Lella spera si trovi in montagna, e ciao a Cecilia, che Lella spera tanto sia serena. Le donne della famiglia Strada, I suppose, e chissà cosa turba la giovane figlia del fondatore di Emergency. C’è spazio anche per un saluto rivolto ad una misteriosa Occhidibottone, definita “viaggiatrice viaggiante”. Si sa del debole di Lella Costa per Ivano Fossati, e come darle torto. Un buon pezzo, però, non è un buon pezzo se non ha un buon finale. Giudicate voi.

“Buon ferragosto a tutte voi – e a mio marito, che se è l’unico maschio un motivo ci sarà”.   

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Ladra di vento

PPzingara

Quanto tempo ci vuole perché nasca un pregiudizio? Perché si insinui il viscido pesce nelle orecchie? Quali e quanti bambini sono stati davvero rapiti dalle zingare? Perché non ce li hanno mai mostrati, perché non conosciamo i loro nomi? Nella mia memoria, tra i tanti cantanti, i tanti tennisti, i tanti poeti tristi e statisti e brigatisti ci starebbero due nomini così, no? Marcellino e Paolina, opplà, e giuro che non me li dimentico più. E invece no, non ci sono. Allora io vorrei imparare il nome della zingara che s’è fatta due giorni di prigione perché noi italiani siamo un popolo di santi poeti e stupidi. E viviamo di pane e studioaperto. Scusaci tanto, A. D., e prendi questa mano…

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Missing

Cara Sara, ti scrivo. Sì, ancora, e faccio pure un piccolo riassunto per chi magari non sa chi sei. Sei la ragazza di un manifesto trovato appeso da un mio alunno, quello che non sa disegnare le stelle, su un muro alle Canarie. Purtroppo non eri appiccicata a quella parete canarina perché sei una cantante, una ballerina, un’attrice che si deve esibire da qualche parte. Stavi lì perché sei scomparsa («desaparecida», ed è per questo che quel grande foglio è diventato un regalo per il prof. di geografia) e di te si son perse le tracce. Sei rimasta appesa vicino alla lavagna per tutto l’anno scolastico e sei diventata importante. Sono rimasto male ogni volta che qualcuno non ti ha notata. Sono gli adulti, generalmente, a non avere occhi per te. Il Presidente della commissione d’esame è stato l’ultimo a deludermi e rattristarmi. Come si fa ad entrare in 3ª C e non notare l’enorme testa di drago testimonianza di antiche esibizioni teatrali? Come si fa a non buttare un’occhiata agli scrittori, ai cantanti e ai registi che pendono dai muri con i loro paracadute? Passi per il drago e i paracadute, ma come si fa a non degnare di uno sguardo te, Sara? Eppure capita che qualcuno abbia attenzioni soltanto per registri e scartoffie e l’orologio per andarsene il prima possibile. Periodicamente ho cercato tue notizie su internet, sognando di entrare in classe un bellissimo giorno con la bellissima notizia. Google, invece, diventava ogni volta più avaro di notizie, e le notizie sempre più avare di speranze. Di te si riparla ora, ma solo un po’, dopo la sparizione in Portogallo di altri due bambini. Si ipotizzano reti di pedofili e altre organizzatissime cose aberranti. Io continuo a sperare in una tua fuga volontaria, e in una tua vita diventata migliore. Se puoi, splendi. Clio

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