Imago, Soletta, Stream of consciousness

“La sua meraviglia era la mia protezione”

Eppure avrebbero dovuto colpirmi di più le fotografie, che sono meravigliosamente evocative, che giocano con la luce e di volta in volta la rincorrono, oppure le sfuggono. Avrebbero dovuto cercare i miei occhi e rapirli, individuare la mia buonacoscienza e prenderla a schiaffi. Tutto questo è successo, eccome se è successo, e l’effetto sta continuando anche 24 ore dopo essere uscito da quel salone che non potrebbe avere un nome più azzeccato: “degli Incanti”.

È successo, dicevo, ma è successo dopo.

Prima il mio sguardo e la mia attenzione si sono posati su quei fogli di carta giallognola, appesi alle pareti, in basso rispetto alle fotografie. Appiccicati alla bell’e meglio, come dei grandi post-it, e solcati da una matita tenera (4B?), una matita che sbava al contatto con la pelle della mano e che si corregge alla bisogna, scarabocchiando. La matita della fotografa Monika Bulaj. Brevi appunti, informazioni, annotazioni, a volte in stampatello, a volte in corsivo. Scritti di getto, chissà quando, a margine di ogni scatto e di quel che esso rappresenta. Con una calligrafia antica, o – meglio – senzatempo. In una lingua viva come poche ne ho incontrate, scaltra ma poetica, imprecisa sapendo di esserlo (“né” senz’accento, “Mediterraneo” con due “d”…).

Insomma: straordinaria.

Ho una nuova scrittrice di riferimento: peccato che faccia la fotografa.

 

(La mostra “NUR/LUCE Appunti afghani” di Monika Bulaj, davvero imperdibile, è a Trieste fino a fine settembre) 

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