Detesto i giornalisti che parlano di loro stessi e dunque questa settimana dovrò detestare me stesso.
In un ospedale milanese, il Policlinico, è successo qualcosa di molto banale e ordinario.
È morto qualcuno, e capirai che storia sensazionale.
Già la scomparsa di un giornalista non è un evento più importante della morte, per esempio, di un idraulico. Anzi semmai è il contrario perché nessuno ha mai sentito il disperato bisogno di chiamare un editorialista quando lo sciacquone si inchioda o di telefonare a un inviato speciale quando l’acqua della doccia schizza dal lampadario. Figuriamoci quanto può essere importante la morte della mamma di un giornalista.
Se ne parlo, detestandomi e violando la volontà di quella signora di andarsene “passando inosservata” come aveva scritto, è soltanto perché lei, la madre, era una scontrosa, difficile, incontentabile, ma affettuosa lettrice di questo magazine e di questa pagina, probabilmente – sospetto – anche a causa del fatto che ci scriveva sopra il figlio. Ogni volta che il figlio aveva voglia di smettere, lei lo ricattava, come soltanto le madri sanno fare: “No, dai, non essere il solito pigro, visto che non mi telefoni e non mi scrivi mai dall’America, almeno scrivi un’altra puntata che io la leggo come una lettera”. Una vigliaccata. Vera, va bene, ma una vigliaccata.
E io, scemo con la coda di paglia, ci cascavo, illudendomi che poi, un giorno, mi avrebbe ricompensato, come si fa con i bambini. Sei stato diligente, eccoti la caramellina.
Invece niente caramellina, niente ricompensa. Ciccia. Solo un tracciato elettrocardiografico piatto. Quando è venuto il turno del figlio di chiedere a lei, in una sera di fine giugno, il favore di restare ancora un giorno o anche soltanto una notte con noi, nel letto della magnifica Unità Coronarica del Policlinico di Milano (a proposito: ma in Italia ci si rende conto di quale fragile miracolo quotidiano sia quella famigerata “malasanità” pubblica che ora tanti idioti e tanti furbacchioni vorrebbero demolire per correre dietro alle lucciole americane?) lei mica mi ha accontentato.
Macché. Annamaria, che sarebbe poi la madre, ha chiuso il giornale e non leggerà mai più una riga. Ha donato la cornea degli occhi e li ha chiusi.
Dunque il figlio ha perduto in un battito solo, una madre e una lettrice, che per un figlio giornalista è un dolore doppio e neppure può consolarsi andando a riparare un impianto di aria condizionata o facendo qualche cosa di utile.
Ma perché non hai messo al mondo un idraulico, mamma?
Vittorio Zucconi
12.07.2003