Le storie di Scuolamagia, Lettere a sara, Piccola posta, Soletta, Stream of consciousness

Sara e Olive

Cara Sara*,

comincia la scuola e con la scuola che comincia i miei occhi ti incontreranno di nuovo ogni mattina, sulla patina di un manifesto che piano si consuma e invecchia, sul muro vicino alla lavagna, quasi fosse un essere umano. Certo che mi sei mancata quest’estate, e come al solito periodicamente ho cercato su internet notizie di te. Devo confessarti che, purtroppo, mentre fino ad un annetto fa Google si dimostrava un ottimo strumento per focalizzare l’attenzione dei naviganti sul tuo caso sfortunato, oggi confonde la tua storia con le tante Sara che spartiscono con te quel cognome ispanico decisamente comune. Tante Sara utenti di Facebook e Myspace, Flick e Netlog. Ragazze che aderiscono a qualche gruppo in onore di Ricky Martin o linkano la nuova canzone di Leona Lewis. Continuo ad essere convinto che tu stia benissimo, che la tua vita proceda a gonfie vele e non mi lascio impressionare da quelle storiacce di bambine americane cresciute e diventate adulte nelle mani di perversi aguzzini. No, il tuo è senz’altro un destino di libertà, e per te Stoccolma non è una sindrome ma soltanto una città nordica da visitare un giorno con curiosità e interesse.

Mi sei venuta in mente poco fa mentre leggevo Olive Kitteridge, il bellissimo romanzo di Elizabeth Strouth. Un libro con la porta stretta, si fa sempre un po’ fatica ad entrare nelle sue tante storie, man mano che iniziano. I luoghi sono descritti con precisione, e pure i gesti e i movimenti impercettibili. La sensazione è quella di essere un computer non abbastanza potente per sostenere la funzionalità di software avanzatissimo. Poi, però, una volta entrati sembra di conoscere i personaggi da una vita, di averli accompagnati a spasso per gli anni mentre perdevano figli, fede, fiducia nel domani. E ognuno di loro va a finire che si imbatte in questa donnona, Olive Kitteridge, che ha il potere di salvare in qualche modo gli altri. Magari solo un po’, li salva, ma questo suo dono di natura è comunque speciale.

Ecco, mi piacerebbe che nelle pagine che mancano alla fine del libro la Sig.ra Kitteridge incontrasse anche te e mettesse ordine con le sue parole nei tuoi pensieri di fuggiasca, prendesse in mano anche i fili della tua piccola vita.

A presto…

 

* : Sara M., entra a Scuolamagia nel gennaio del 2007. La sua immagine è stampata su un manifesto bianco trovato da un alunno in un’isola dell’arcipelago delle Canarie. C’è scritto “DESAPARECIDA”, e al ragazzo in vacanza con la famiglia la parola rievocava certe lezioni del sottoscritto a proposito della dittatura militare in Argentina. La storia di Sara, scomparsa in circostanze misteriose nel luglio del 2006, colpisce e commuove. Anche se tutti sono assolutamente sicuri del fatto che Sara, un bel giorno, tornerà.  

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Sara e Emanuela

Cara Sara,

periodicamente mi rivolgo a te: sarà che è bello scrivere le lettere, sarà che ti vedo sempre più come un paradigma. Perdersi, scappare, scomparire. Oggi parliamo di scomparire. Da vent’anni in Italia nessun caso acclarato di bambini rapiti da rom (donne rom, per la precisione, il luogo comune vuole che trafugare infanti sia opra femminile…). Gli italiani sì, loro li rapiscono eccome. A volte spediscono ai familiari una frazione di orecchio, se sono inesperti li zittiscono con un colpo di badile. Tanto, si sa: “saranno stati gli zingari”.

sara

Ma non è questo, Sara, oggi voglio parlarti dei bambini, non degli adulti, e di quel bambino che ero io. Ieri sera ho avuto un flashback. La trasmissione “Chi l’ha visto?” – avrai sicuramente esperienza delle sue varianti ispaniche o canarine – ricostruiva nei dettagli la vicenda di Emanuela Orlandi, correva l’anno 1983. Era nata un giorno dopo di me, 7 anni prima. Una quindicenne quando io ero un quieto patato di 8 anni. Hanno mostrato il manifesto che ne denunciava la sparizione, quella foto impressa nella memoria di tutti gli italiani. Il viso dolce, così simile al tuo, la fascetta sulla fronte, il numero di telefono. Quasi un’icona, come il Che Guevara di Korda o Marilyn Monroe che strizza gli occhi e offre le labbra. Ecco, Sara, mi sono ricordato della paura. Seduto sul pavimento, i giocattoli nelle mani ma le orecchie puntate verso il televisore, il bimbo che ero aveva una paura fottuta. Di essere portato via, di scomparire, di essere cercato invano. Rimossa, questa paura? Occultata fino ad un giorno di luglio? Beh, se ti sento così vicina e ti scrivo le lettere ci sarà un motivo…

Si parla tanto di paura e di paure, concrete e percepite, vere e false, reali o indotte, alimentate ad arte. Sono sempre le paure dei grandi, però. Dei congegni elementari, dal funzionamento banalissimo, se confrontate con quelle dei piccoli. Piccoli che crescono tra le pugnalate di Erika e le badilate su Tommy, piccoli che diventano grandi in un mondo di ragazze scomparse. Ragazze sorridenti che diventano una maglietta ritrovata sulla spiaggia, come dalle cronache di ieri.

Un adulto può sempre comprare un antifurto e una pistola, votare per la Lega, fare una ronda notturna, guardare Studio Aperto. La paura in qualche modo la manda via. Ma i bimbi? Chi li scaccia i lupi cattivi dai loro sogni?    

Sara, mia cara, perdona ancora una volta questo mio scomodarti, tirarti in ballo. Abbi come sempre cura di te e sorridi. Sì, ce la puoi fare, nonostante tutto.

 

Clio

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Lettera

Cara Sara,

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ragazza perduta, la cosa che più mi ha colpito è che ci sei anche tu. Si vede il tuo viso, alle mie spalle, al minuto 9.46. Ho paura che il pubblico abbia pensato ad una mancanza di rispetto. In fondo il tuo manifesto è il segno evidente di una tragedia, lo so. Ma come sai ti abbiamo adottata, e io più degli altri. Sei diventata il simbolo di qualcosa di importante, non so nemmeno io cosa. Forse di un’attenzione verso ciò che è lontano, forse dell’urgenza di provare a capire sempre, di non smettere mai di cercare. Forse ci dici soltanto che tutto è fragile, che tutto è in bilico e che dobbiamo sempre tenerci stretti.   

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Tremano le parole della mia fragile calligrafia

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Cara Sara,

caro il mio espediente letterario, cara ragazza scomparsa, caro interlocutore immaginario, occhi che mi guardano mentre scrivo alla lavagna. A scuola tutto scorre con la solita frenesia e con il solito armonico disordine. Si fanno cose, si vede gente.

Ieri abbiamo parlato di Socrate. Samu si è pure costruito una bianca barba di carta igienica e scotch e ci ha intrattenuti con la battuta «oggi “so di non sapere” più del solito». Questa mattina, invece, abbiamo ricordato Giorgio Ferigo, medico e cantautore di questa terra, ascoltando una delle sue canzoni.

È stata una strana giornata: due cuccioli su dieci hanno pianto. Il 20% di una scuola, una media alta, da giornata stortissima. Alcune gocce le ho stoppate come una guardia dell’NBA, altre ho il sospetto di averle addirittura provocate con un paio di frasi decisamente maldestre.

Ho saputo anche che una madre ha detto alla figlia che Il Grande Cocomero di Francesca Archibugi è “un film da ******”, e al posto degli asterischi leggici il mio nome. La figlia, prima e durante la visione, non aveva fatto cenno alla provenienza della VHS, cioè la mia piccola videoteca. Siamo quello che mangiamo, ma prima ancora siamo le pellicole che amiamo.

E tu, perduta, che film sei?

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Missing

Cara Sara, ti scrivo. Sì, ancora, e faccio pure un piccolo riassunto per chi magari non sa chi sei. Sei la ragazza di un manifesto trovato appeso da un mio alunno, quello che non sa disegnare le stelle, su un muro alle Canarie. Purtroppo non eri appiccicata a quella parete canarina perché sei una cantante, una ballerina, un’attrice che si deve esibire da qualche parte. Stavi lì perché sei scomparsa («desaparecida», ed è per questo che quel grande foglio è diventato un regalo per il prof. di geografia) e di te si son perse le tracce. Sei rimasta appesa vicino alla lavagna per tutto l’anno scolastico e sei diventata importante. Sono rimasto male ogni volta che qualcuno non ti ha notata. Sono gli adulti, generalmente, a non avere occhi per te. Il Presidente della commissione d’esame è stato l’ultimo a deludermi e rattristarmi. Come si fa ad entrare in 3ª C e non notare l’enorme testa di drago testimonianza di antiche esibizioni teatrali? Come si fa a non buttare un’occhiata agli scrittori, ai cantanti e ai registi che pendono dai muri con i loro paracadute? Passi per il drago e i paracadute, ma come si fa a non degnare di uno sguardo te, Sara? Eppure capita che qualcuno abbia attenzioni soltanto per registri e scartoffie e l’orologio per andarsene il prima possibile. Periodicamente ho cercato tue notizie su internet, sognando di entrare in classe un bellissimo giorno con la bellissima notizia. Google, invece, diventava ogni volta più avaro di notizie, e le notizie sempre più avare di speranze. Di te si riparla ora, ma solo un po’, dopo la sparizione in Portogallo di altri due bambini. Si ipotizzano reti di pedofili e altre organizzatissime cose aberranti. Io continuo a sperare in una tua fuga volontaria, e in una tua vita diventata migliore. Se puoi, splendi. Clio

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Ancora, ancora e ancora

Cara Sara,

hai visto? Tornano le lettere. Chissà se un giorno torni anche tu. Prima ci sono stati Veronica e Silvio, e fa un po’ tristezza pensare ci sia nascosto – tra le righe, da una parte e dall’altra – lo zampino di avvocati zelanti. Poi, dalle stalle alle stelle, ci sono quegli illustri figli di ancor più illustri genitori che s’indignano per il plagio di una tanto cara lettera nella sceneggiatura di una fiction tv. “Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi morirei volentieri… Ma non voglio perderti, e non voglio che tu ti perda nemmeno se, per qualche caso, mi perderò io… Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio… Ti bacio ancora ancora e ancora. Sii coraggiosa.” Scriveva Leone a Natalia Ginzburg. Ed è un’altra lettera. Belli quei tre “ancora”, no? È come un bacio che non finisce mai.

Un pensiero che protegge, ciao.

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