Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Le Ong, i migranti e la sinistra che preferisce di no

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Chi lavora per una Ong conosce perfettamente il significato del termine “persecuzione”. Lo conosce perché ha visto con i propri occhi delle persecuzioni in atto. Gli può essere capitato di operare addirittura nel mezzo, di una persecuzione, non soltanto dopo. Per questo ne conosce i colori, i rumori, gli odori.

Chi lavora per una Ong impegnata a salvare vite nel Mediterraneo sa benissimo che la questione sul tappeto in queste settimane – il codice Minniti, le indagini della procura di Taranto, le procedure di intervento in mare vecchie e nuove – non ha niente a che vedere con una persecuzione. Potrà chiamarla rogna, intoppo, ostacolo, pastoia burocratica, strumentalizzazione a fini politici, la chiamerà come ritiene, ma non utilizzerà mai il termine persecuzione.

Da ieri in Italia, un nutrito gruppo di intellettuali ha lanciato un appello che quella parola la usa eccome. Dice proprio così: “il Governo italiano perseguita le Ong”.

Altre espressioni di quel breve testo mi hanno colpito.

“È in corso un nuovo sterminio di massa“. Sterminio di massa, do you know?

“…il governo italiano si accanisce contro chi approda…”. Accanisce, come fa un cane rabbioso.

“Il nostro governo non è indifferente a questa carneficina, ma complice“. Carneficina, chiaro?

Alla fine, l’appello stigmatizza l’uso di parole enfatiche come “assedio” riferite all’approdo di migranti sul suolo italiano. Giustissimo, fa soltanto un po’ ridere se a scriverlo sono quelli di perseguita sterminio di massa carneficina, ecc.

Hanno letto e firmato invitando gli italiani a fare altrettanto. Sono una sessantina. Scrittori di cui ho letto i romanzi, uomini politici che ho seguito con interesse, uomini di chiesa, giornalisti. Li conosco praticamente tutti. Non essere quasi mai d’accordo con quello che affermano mi mette spesso in crisi, ultimamente, perché loro sono quelli che custodiscono il brand Sinistra® in Italia.

Ma io non voglio usare le parole a caso.

Io non chiamo olocausto tutto ciò che di brutto accade sul pianeta.

Io non voglio diventare uno che punta il dito, individua in quattroequattrotto i colpevoli (i carnefici…) dentro questioni complessissime di portata epocale.

Io non voglio affidarmi a una classe di intellettuali che firma svogliatamente, sulla fiducia, l’ennesimo appello senza prima manco correggerne i refusi.

Come al solito, l’appello indignato è anche rigorosamente un appello antifascista (il gruppo ha i diritti anche sul marchio Antifascismo®, si sa). Lo fa indirettamente, citando i 12 professori che non presero la tessera del Duce. Modestamente, ci fanno sapere, noi che abbiam firmato siamo come quelli lì.

Con la piccola differenza che i 12 all’epoca misero in gioco le loro cattedre e si abbonarono ad un futuro di persecuzioni vere, verissime. E questi? (Facile dire che Di Maio non è Pertini e dio solo sa quanto non sia Pertini, ma questi?).

Questi hanno “preferito di no” su whattsapp un venerdì d’agosto, e di coraggio non troveranno nemmeno quello di unirsi per evitare le soglie di sbarramento che verranno. E di migrazioni non si occuperanno mai se non così.

(Come è ovvio, questo post non sottovaluta e non dimentica i drammi dei migranti, le condizioni di chi si imbarcherà nonostante tutto e di chi invece sarà costretto a rimanere nella Libia di oggi. Questo post parla della mia parte politica che per non cambiare il proprio abito mentale, nel contempo vecchio e adolescenziale, ha rinunciato non solo a cambiare il mondo, ma anche a lenirne blandamente le ferite.)

 

 

 

 

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Piccola posta, Res cogitans

Verremo perdonati te lo dico io da un bacio sulla bocca

Cara baciatrice di celerini,

in 1503 ti avranno già ricordato il Pasolini di Valle Giulia, che non ho motivo di pensare tu non conoscessi già, anche prima di stampare il tuo bacio sulla visiera di quel giovane poliziotto.

Saprai quindi come quel tuo gesto – anche in nome di uno straordinario precedente letterario – non possa in alcun modo venir ascritto a nessuna categoria o espressione di quel variegato mondo che è la sinistra. È troppo evidente in quella vicenda come l’anello debole, quello verso cui far scattare la solidarietà naturale non possa essere tu. Dovendosi accomodare “dalla parte del torto”, tanto per scomodare un altro Grande, qualunque progressista sceglierebbe la compagnia di quel ragazzo del sud finito dentro una divisa così come si imbocca una strada forzata. Tuttavia, lungi da me darti della “figlia di papà”: essere più fortunati, “nascere qui anziché lì” non è certo una colpa.

Quello che volevo segnalarti, coraggiosa dispensatrice di baci, è invece il punto dove davvero sbagli, dove il tuo discorso – pescato nelle interviste che hai concesso – non si regge in piedi. Cadi a mio avviso su quel solito epiteto: “pecorella”. Lui, il celerino, ha secondo la tua opinione scelto di sottomettersi, di vivere rasoterra, manovrato dall’alto. E il suo, su questo hai ragione, non è certo un lavoro per creativi e spiriti critici. Ma tu, credi davvero di essere così libera? Io non ne sono così convinto. Credi di scrivere il tuo copione, ma in realtà sei scritta. Rispondi a un cliché, interpreti un personaggio già mille volte sulla scena. Chiunque abbia qualche familiarità con le pagine di un quotidiano potrebbe indovinare come la pensi su un sacco di faccende di questo mondo. Io credo di potercela fare, e te lo dico consapevole di essere pure su molti temi perfettamente d’accordo con te. Perché, visto e considerato che di te conosco solo un piccolo insignificante gesto? So cosa pensi di Obama. So perfettamente cosa potresti rispondere (parolacce comprese) a uno che ti chiede se stai con Cuperlo, Renzi o Civati. Conosco le tue idee sulla crisi e sull’Europa. Ti posso elencare i libri che hai letto. Perché? Il celerino che hai baciato potrebbe avere sul comodino un titolo che mi sorprenderebbe. Tu no, penso. Eppure sei una lettrice vorace. Chi è più pecorella? Tu, che sei convinta che lui i libri non li legga e io lo so.

Sai come avrebbe dovuto finire questa storia?

Con un gesto spiazzante, molto più del tuo.

Quell’uomo in divisa avrebbe dovuto sollevarla, la visiera. Avrebbe dovuto slacciare quello scomodissimo caschetto. Avrebbe dovuto stringerti forte a sé e ricambiare quel tuo gesto un po’ esibizionista con un vero bacio appassionato, con la lingua, forte ma non per questo privo di dolcezza. Un bacio che finisse lì, chiaro, e che facesse ridere tutti i presenti. Anche i militari di grado superiore, soltanto con un po’ più di contegno, sotto i baffi.

Avresti gridato alla violenza, avresti detto “lasciami”. Vedi come sei prevedibile?

Però alla fine avresti capito anche tu e lui, se avessi aspettato che smontasse da quello stressantissimo turno di lavoro, ti avrebbe offerto un caffè.

 

Saluti e baci. Anzi no, soltanto saluti, ché ti ho già abbastanza presa per il culo.

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Res cogitans, Stream of consciousness

Come WU MINGhia parli?

C’è un parlamentare grillino in ferie che sale in cima a una montagna e pensa bene di filmarsi per comunicare con tutto il movimento e tracciare una sorta di bilancio. Sembra un invasato, sarà l’altura, sarà lo scranno che occupa da qualche mese. Parla dei cittadini ancora da conquistare e il suo ragionare è a dir poco tortuoso: “Siate accoglienti con le persone che pensano di pensarla in maniera diversa da noi e invece no”.

 

Sfoglio “Repubblica”, stamattina, e la parola passa al collettivo dei collettivi, interpellato sul significato del concetto di “sinistra”. Un altro soggetto che ama rivolgersi al popolo, alla società e ai suoi movimenti. Sentite qua:

 

«Sinistra è una parola, è una visione del mondo. Non è fatta per un soggetto immaginario, cambia secondo la posizione da cui la dici. Come parola disincarnata è solo un’imperfetta metafora spaziale, bidimensionale, dunque inadeguata perché il mondo è pluridimensionale, e poi ha un sottotesto “parlamentare” che pesa perfino quando la usi in modo extraparlamentare…».

 

Chiaro no?

(Poi dice che uno vota Matteo Renzi…)

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