Imago, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Lezione di didattica incendiaria (2)

Immagino i dialoghi, dalle parti del tinello.

“Che compiti hai? Roba che ci si sbriga o pomeriggio d’inferno?”.

“Ecco, devo immaginare che casa nostra bruci…”.

“Cosa??? Abbiamo ancora 35 anni di mutuo, se va bene la finisci di pagare tu…”.

“Mah, il Prof. dice che c’è un sito molto trendy…”

“Ma come parla quel cialtrone?!?”.

“Dice che la gente ci mette le fotografie delle cose che salverebbe in caso d’incendio, se avesse quei due minutini prima della fuga…”.

“Col casino che c’è in camera tua… un mese ti ci vorrebbe…”.

“…le cose quelle a cui sei più legato, tipo una felpa, l’orsacchiotto di pezza…”.

“Ma lo sa che al giorno d’oggi l’orsacchiotto di pezza lo produce la Sony e costa 80 euro?”.

“Dice che tra le mie cose ci posso mettere anche il gatto…”.

“Sì, bravo, quello ti aspetta sicuro, prima di scappare…”.

Compiti strani, con esiti da guardare e riguardare.

E soprattutto, niente da correggere. Tutto giusto, niente da rifare.

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(L’edizione precedente)

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CV: Curriculum VitaLe

Sono un insegnante inadeguato davanti ai misteri (per me lo sono) della geografia fisica. Non ho mai capito perché piove, accetto da sempre come un dogma i benefici effetti della Corrente del Golfo, confonderò sempre la tundra con la taiga. Me la cavo un po’ meglio con la geografia antropica, pur rifuggendo il nozionismo capitalista (nel senso: la sai la capitale del Turkmenistan?). Nutro invece una curiosa ignoranza nei confronti della geografia economica, che mi porta a compiere esperimenti ai danni dei miei cuccioli.

Parlo quindi di crescita e sviluppo, PIGS & BRICS, terziarioavanzato e outsourcing davanti a occhi che un po’ rimpiangono gli affluenti del Po e un po’ ci si affogherebbero volentieri.

Qualche giorno fa ho deciso che tutti, dalla prima alla terza, avrebbero dovuto inviarmi il loro CV. Ho creato un bando (5 posti all’interno di un campo scuola per bambini londinesi in Carnia, 4 settimane intensive per 3000 euro, astenersi perditempo) e ho raccolto 17 buste (il quaderno, si sa, è superato) su cui qualcuno ha disegnato la ceralacca e qualcuno ha applicato davvero (!!!!) la ceralacca.

Mi sono quindi seduto alla scrivania e ho vagliato, selezionato e scelto.

Come sempre mi sono sentito surclassato in creatività, e poche sensazioni sono più appaganti di questa.

Evelyn, vai a capire se si trattasse di sbaglio suo, del programma di videoscrittura o di genio purissimo, ha scritto a fianco della sua foto, sotto la sigla CV: “Curriculum VitaLe”. Spieghiamole, se siam capaci, che un documento del genere non debba essere anche impregnato di vitalità.

Marco ha indicato, in una specifica sezione dedicata alle attività sportive, un 3° posto in una gara di “corsa coi sacchi”. Ottime credenziali.

Irene si è detta già cameriera in pizzeria, ma in una pizzeria di Boston: conoscenza dell’inglese pertanto ottima.

Micael ha millantato, paroparo, la laurea in scienze dell’educazione della madre.

Manuel ha raccontato di essere passato dal lavaggio dei piatti al cabaret all’interno dello stesso albergo, grazie a doti comiche innate.

Cristiano ha vinto le Olimpiadi di Torino, Martina ha trionfato a Wimbledon, nel 2011: i bimbi di sua Maestà la Regina apprezzeranno di sicuro.

Oleg ha redatto il suo CV a mano su un foglio a quadretti, ma Oleg è uno che “giustifica” meglio di Word.

Francesca ha in saccoccia un Master, e la passione sfrenata per il canto.

Thomas dichiara di amare la storia antica e la chitarra elettrica.

Carlotta è stata l’unica a dichiararsi patentata; nel suo passato anche un periodo da “ragazza alla pari” presso i “signori Smith”, a Londra.

Yuma ha infilato nel suo curriculum la sua (vera) passione per i cavalli, e forse non le sarà troppo d’aiuto la conoscenza dell’argentino.

Nicole ha fatto la gelataia a Riccione e la baby sitter a Reggio Emilia; in seguito ha scoperto il mondo della grafica.

Davide conosce poco l’inglese (dice proprio così: “poca conoscenza”), ma ha fatto il bagnino in quel di Bari.

Rebecca ha lavorato in un circo (mansione: “gonfiatrice di palloncini”) e rimanda al suo sito http://barbonimangiatidaunlama.com. A distanza di settimane continua a vantarsi per la sua “innata capacità di usare Paint”. Pensa se ci si fosse pure applicata, quel palloncino gonfiato.

Gabriele è l’unico ad aver contemplato l’esistenza di una moglie e di un figlio a carico, sperando che i campeggiatori britannici si mettano one hand on the heart.

Quello di Marcello più che un curriculum è una confessione: “mi piace mangiare, mi piacciono i film d’azione, ho un cane Labrador”. Dice anche, però: “Aiuto le persone che hanno bisogno in qualsiasi momento”. Non posso che confermare, il ragazzo non mente.

 

(Tocca pure raccontare – dovere di cronaca – della personcina che, svolte brillantemente le proprie consegne domestiche, ha dedicato un pensiero al suo prof., chiedendogli se avesse avuto altre esperienze d’insegnamento, al di fuori di quelle pluriennali a Scuolamagia… Incassato il no un po’ imbarazzato del suo insegnante, ha commentato, con un occhio da angioletto e uno da creatura del demonio: “ma quindi… il tuo CV sta tutto in un post-it…”)

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Quando eravamo giovinetti

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Prima di tuffarci nei meandri del fiume della Storia, spesso a inizio anno a Scuolamagia ci dedichiamo alla storia minuscola delle pareti e dei pavimenti che ci ospitano. Come piccoli Champollion decifriamo incisioni sul legno di certe finestre, datiamo antichissimi “W Inter”, ci chiediamo il perché di misteriose scritte avvitate alle porte: “App. tecniche maschili”, saranno mica parenti delle app sul display dei nostri cell.? Complici vicende davvero notevoli legate alla nascita dell’edificio oggetto di studio, l’attività capita che appassioni un bel po’, specie nelle sue fasi dinamiche di “caccia all’indizio” storico, su e giù per le scale, chi qua e chi là e che vinca il migliore.

Le ricerche odierne hanno portato al rinvenimento di alcuni interessanti documenti cartacei. Un foglietto volante arancione, perso dentro un vecchio registro, non era altro che il decreto di un’espulsione. Il 29 gennaio 1969 la Prof. Taldeitali presenta a carico del giovinetto (avete letto bene: GIOVINETTO) Tizio Caio il seguente rapporto disciplinare: scarsa applicazione (ancora queste app… n.d.r.) e contegno scorretto. Va da sé: c’era stato il ’68 anche nelle scuolette di montagna. Quella specie di multa, in copia, doveva essere esposta all’albo ed inserita nella cartella personale dell’alunno, che avrebbe avuto la fedina penale sporca alla faccia del garante della privacy.

Altro documento ingiallito, sfogliato in una nuvola di polvere: una raccolta di temi risalenti all’anno scolastico ‘73-’74. Tracce brevi, piuttosto sul vago. Una mi colpisce. Parla di cosa trovi profondamente ingiusto. Da quella e da altre tracce sparse tra i fogli di protocollo deduco un profilo di insegnante sinistrorso, illuminato e forte dei suoi valori. Di altra estrazione l’autore del tema, a occhio. Il suo pensiero, esposto con elementare efficacia, in soldoni: chi ammazza una persona dev’essere condannato all’ergastolo; chi ne ammazza due merita la pena di morte. In proporzione diretta al numero delle vittime, la pena capitale vedrà incrementare l’atrocità della sua esecuzione. Immagino l’inchiostro rosso del collega bollire nella plastica della Bic. Proseguendo, altra grave ingiustizia: la fame nel mondo. E come dare torto al giovinetto? Che continua: mi chiedo perché si siano spesi tutti quei soldi per il referendum; uno solo di quei miliardi sarebbe bastato per aiutare tutti gli uomini affamati ed assetati del pianeta. Spietato, come si evince dall’immagine, il commento dell’insegnante.

Una chiosa in rosso appare anche a margine della chiusa. “I politici inoltre sanno soltanto parlare, ma non agire”. Il Prof., in corsivo nervoso: “da approfondire…”.

Si può star sicuri che hanno approfondito, i politici.

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La fantasia al palo

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Durante le vacanze le loro fantasie mi sono mancate un sacco.

Ed è come se si inaridisse anche la mia, in assenza delle loro.

Sono stato un’ora davanti alla pagina vuota di word, prima di ideare l’ultimo “tema” da svolgere a casa. Ho appallottolato decine di idee prima di ripiegare su un banale giochino suggeritomi direttamente dall’oggetto su cui stavo picchiando le dita.

Prendete 15 lettere dell’alfabeto, in stampatello maiuscolo, e ditemi cosa ci vedete dentro. Anzi, oltre. Partite da lì e tornate il più tardi possibile. Buon lavoro.

E sono andati.

E hanno visto.

Mont(A)gne innevate e farfalle (B) di profilo, posate su un ramo di ciliegio.

Chiavi a pappagallo (F) del papà, mani abbraccianti di mamma (C).

Facce di bambini con il termometro in bocca, indiani con frecce conficcate sulla faccia, topolini con la codina visti da dietro mentre scappano da un gatto: tutto in una semplice (Q).

Ali da angelo (W), fischietti da arbitro (P, ruotata di 90°).

Navi sul pelo dell’acqua (Z).

E altro, molto altro.

Compresa una (I) che – premessa: prof. non è la prima cosa che mi è venuta in mente – diventa un palo da lap dance.

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Compiti delle vacanze

Cara 3ª,

ve l’ho detto che ieri ero cotto. Avevo preparato 6 fogli (erano blu) con i vostri compiti per le vacanze, ma poi ho avuto la brillante idea, mentre riordinavamo Scuolamagia dopo lo spettacolo di giovedì, di appoggiarci sopra una decina di maschere dei Beatles, più quella di Yoko Ono. Risultato: sommersi e dimenticati.

Così, mentre giocavamo a “Spenna il pollo” all’ultima ora, a me ronzava nella testa una domanda: “C’è qualcosa che devo DIRE a queste creature del demonio, ma cosa?”. E non mi veniva in mente nulla, perché era DARE, non DIRE.

Se cliccate qui sotto trovate i compiti. Se qualcosa non dovesse funzionare o ci fossero dei dubbi su come impostare il vostro lavoro, sapete come fare a trovarmi.

Buone vacanze, statemi felici, nonostante i compiti.

Profus

Compiti Natale terza 2012

 

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Costruire ponti che non toccano l’altra sponda

Forse li sorprendeva il fatto che @Pontifex fosse arrivato su Twitter, nuovomondo, prima di loro. Fatto sta che dopo avermi sentito declamare il primo tweet papale, mentre diligentemente ricopiavano il compito d’italiano oggi alla quinta ora, mi sono sembrati un po’ delusi. Tutto qui? Certo, erano abituati ai cinguettii di @BarackObama e di @MichelleObama, i miei ragazzi, e forse con un principiante bisognerebbe essere più indulgenti.

Rincasando, qualche ora dopo, rimuginavo su quella schermata giallina, su quell’utente così “autorevole”, sulle ambizioni di quel progetto comunicativo, cercando di mettere a fuoco il conto che non tornava. Che è in fondo sempre lo stesso. Centinaia di migliaia di persone che ti seguono (followers, per gli iniziati…), e presto saranno milioni, nessuna da seguire. Anzi, 7: se stesso twittante in altri 6 idiomi del globo terracqueo. Il trionfo dell’autoreferenzialtà, e l’assurdo di un account ex cathedra, col dogma dell’infallibilità. Forse è solo questione di tempo e di acclimatamento, ma perché non seguire… che so… @CardRavasi, @fam_cristiana, @AndreaDisint@DalaiLama (uno che a dirla tutta non segue neanche se stesso nelle altre lingue…), solo per citarne 4?

Come diceva Alex Langer, autentico “costruttore di ponti”, è bello e importante amare le bandiere, ma a patto di cominciare da quelle degli altri. Sono convinto possa valere anche per i tweet, che provano ad essere dei cip cip. Potenzialmente qualcosa di molto più ambizioso dei soliti beeh beeh.

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Li vidi intrisi di spicchi di kiwi

 

Non ricordo bene chi fosse il poeta. Credo Fortini. Ricordo il sapore severo di quelle sue parole, però. Insegnanti, vi prego di non far comporre versi ai bambini e ai ragazzi a scuola. Realizzeranno perlopiù delle schifezze, non per colpa loro, e ne saranno consapevoli. Quella sensazione si legherà in modo indissolubile alla loro concezione di poesia: una schifezza. Fortini? O forse era Raboni…

Sono stato quasi sempre fedele all’autorevole raccomandazione, con qualche eccezione. Come quella, ad esempio, delle poesie monovocaliche.

Ecco una silloge dell’ultima esperienza creativa e poetica a Scuolamagia, risalente  a qualche settimana fa. Il filo rosso che ci ha legati: la b i

 

Li vidi in bici, intimiditi, sfiniti, li vidi privi di stili.

Lì vidi i primi sprint di ciclisti primi,

vidi i visi tristi di ciclisti vinti.

(Thomas)

 

Diritti ciclisti in kilt di vimini,

i visi dipinti di spicchi grigi!

Fisici disinibiti di tipi fighi!!!

Lidi vicini, invisibili siti privi di ciclisti vidi.

(Carlotta)

 

Tinti, grigi, ricchi I mitici Kiss

li vidi in bici, sfiniti, lì in Mississipi.

Vizi, brividi, ritmi, dischi tristi:

i Kiss li vidi irrisi in viscidi irti clivi,

in fitti ripidi giri,

in primitivi tricicli.

Cibi fritti, kiwi, mirtilli, vini, spriz:

ricci tristi vidi i mitici Kiss.

(Francy)

 

Vidi i ciclisti,

tipi fighi, fisici mitici,

dissi:

“Vinci!!!”.

Giri, giri, giri, giri rigiri:

tristi ritiri, dissi:

“Spingi!!!”.

Visi grigi, distinti,

li vidi tristi, dissi:

“Ridi!!!”.

Finì…, dissi:

“Disint, whisky?”.

(Davide)

 

Vidi i fitti pini di Rimini.

I ciclisti li vidi lì.

Vidi i ciclisti figli di Gigi.

Vidi lividi tristi,

grigi litigi,

finti ritiri,

ripidi giri, tricicli dipinti,

mitici sprint, vidi.

Vissi dischi vinilici,

libri distinti, spicchi di fichi,

nidi di bimbi.

Vinsi istrici,

ghiri,

limpidi istinti,

cicli di vimini.

Vidi, vissi, vinsi.

(Cristiano)

 

Vidi i giri ripidi di ciclisti vivi,

i gridi di tipi fighi,

i ciclisti sfiniti, dissi:

“Finish!”.

I visi dipinti di kiss kiss di miss chic.

Li vidi intrisi di spicchi di kiwi,

in cin-cin di vini spritz.

(Martina)

 

Vidi Gigi, gli dissi:

“Insisti, vinci!”.

Giri infiniti in bici,

mitici ciclisti,

ritmi distinti,

fisici vinti.

Vidi il “finish”, vinsi.

Brindisi: cin-cin.

Tini di vini

vini divini,

giri finiti,

ciclisti brilli.

(Manuel)

 

Vidi i ciclisti: tipi in pink.

(Nicole)

 

I primi tricicli, spinti lì,

dipinti di grigi mitici.

(Irene)

 

Vidi i ciclisti,

fighi,

fisici invincibili!

Brividi!!!

Lì, vidi Disint,

finì i giri.

Spingi, spingi – gli dissi.

Visi sfiniti:

tristi i ciclisti.

(Rebbi)

 

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Quando la melma è melmosa, il racconto* di Marimù

Era una buia notte di settembre, il 2 settembre. Fuori pioveva, la casa era vuota, c’ero solo io, sola. Entrai nel salotto e mi buttai sul divano. Il telecomando che era sul divano, quando mi buttai, rimbalzò e io lo presi al volo.

Premetti il tasto “Entra” e finii sul canale Italia1, sul sei, dove trasmettevano “Il mostro della palude”, un film dell’orrore.

Quando, ad un tratto, apparve sul telecomando uno strano nuovo pulsante, io lo schiacciai per vedere cosa fosse e la Tv mi risucchiò nel film e mi ritrovai in una melma melmosa e viscida di color verde. Insieme a me c’erano altri tre ragazzi, anche loro risucchiati dal film. Uno si chiamava Cha Hio e proveniva dalla Cina, aveva la pelle giallastra, gli occhi marroni e anche i capelli marroni e aveva un naso grande e schiacciato. Poi c’era una ragazza argentina di nome Cristina; aveva i capelli color biondo, gli occhi azzurri e aveva una maglietta rossa con scritto “I LOVE ARGENTINA”. Da lì ho capito da dove provenisse.

Poi c’era un africano: è stato facile capirlo, aveva una carnagione scura ed era vestito non come noi, ma con una specie di tunica.

Eravamo tutti terrorizzati, quando abbiamo visto delle bolle in mezzo alla palude e da lì è spuntato un mostro di color arancio, alto due metri e mezzo e aveva due braccia grandissime, con due mani enormi, con delle unghie affilatissime. Camminava come un umano. Ci ha guardati per un po’. Noi dalla paura non ci riuscivamo a muovere. Eravamo fermi come statue.

Dopo dieci minuti si è avvicinato e ci ha detto “caliacamaciatoia”, ma nessuno lo ha capito, a parte il cinese che ci faceva dei segni. Solo dopo un quarto d’ora abbiamo capito, il mostro aveva detto “BUON APPETITO” e allora siamo corsi via, con lui che ci inseguiva. Ma noi per la paura eravamo più veloci. Poi mi sono girata e da lontano ho visto una Tv… era un po’ da pazzi il mio piano, però ha funzionato. Mi sono messa a correre ancora di più e mi sono buttata sullo schermo. Sono atterrata sul divano e ho giurato che non avrei mai più guardato la Tv.

Purtroppo non sono riuscita a mantenere la promessa.

(* mi sono assentato per un paio di mattine, qualche giorno fa, il tempo di portare i grandi in gita a Firenze… i piccoli, nel frattempo, li ho messi al lavoro indicendo una sorta di concorso letterario con tanto di giuria esterna. Il nostro premiostreghetta, il nostro campiellino… Ha vinto il racconto di Marimù, di misura su altri bravi autori esordienti… In premio, tra le altre cose, c’era anche la prestigiosa :roll:  pubblicazione sulla Pozzanghera…) 

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Cose da fare, prima che sia troppo tardi

La notizia è finita in prima pagina. A prima vista sembrava una di quelle un po’ farlocche, in genere fatti di costume, spesso legati a una nuova statistica o a qualche scoperta scientifica destinata a rivoluzionarci la quotidianità. Invece era una notizia succosa e bisognava soltanto spremerla con pazienza. L’abbiamo fatto a scuola, una mattina come tante, matita alla mano. Dice che in Inghilterra i ragazzini cadano ormai più dai letti che dagli alberi. I numeri dei pronto soccorsi parlano chiaro. Perché? Semplice: troppa Tv, troppa consolle, troppo cemento, troppa merenda. Da qui una campagna per promuovere e valorizzare le attività all’aria aperta, con un elenco di 50 esperienze fondamentali, un cursus honorum da percorrere entro e non oltre i 12 anni.  

È quindi entrata in gioco la matita. Gli alunni hanno percorso l’elenco: su e giù, giù e su. Voce del verbo: spuntare. Per una sorta di contrappasso scolastico, gli studenti dalle pagelle più brillanti hanno cominciato ad innervosirsi, a grattarsi la testa, a cavillare (prof., ma va bene anche se non è il mare ed è solo un lago? Vale anche se è una coccinella e non una farfalla?). Al contrario, quelli che “possonofaremoltodipiù”, quelli che “nonstannomaiunattimocomposti”, quelli che “nonèuncinquemanonèneancheunsei” hanno acquisito un’insolita fierezza, taluni ipotizzando addirittura un en plain.

Per casa: individuare altre attività che, svolte prima del compimento del dodicesimo anno, possano evitare ad un essere umano di stramazzare sulle proprie pantofole.

Ecco alcuni spunti, freschi di lettura e correzione.

Fare una gara a “chi trova per primo 5 quadrifogli”.

Raccogliere erbe selvatiche per fare una buona frittata.

Rubare i lamponi dal cespuglio del vicino.

Costruire un igloo molto grande.

Acchiappare una rana colle mani.

Fare almeno una volta la pipì all’aperto.

Sparare ad un gatto randagio con la pistola a pallini (utile per chi voglia entrare nell’esercito).

Sperimentare l’eco in montagna.

Scavalcare un cancello.

Suonare un campanello e scappare.

Raccogliere castagne in un bosco.

Fare la ribaltata.

Fare finta di avere un ristorante all’aperto, cucinando brodaglie con acqua e erba.

Raccogliere margherite e farne dei braccialetti.

Andare sull’altalena.

Contare le formiche che entrano in un formicaio.

Individuare la forma delle nuvole.

Arrivare in cima a una montagna e scrivere il proprio nome sul libretto.

Mangiare un insetto vivo.

Dare da mangiare ad una mucca o ad un cavallo direttamente dalla propria mano.

Al mare fare castelli di sabbia o distruggere quelli degli altri bambini.

Correre in un prato con l’erba alta fino al bacino.

Giocare a nascondino al buio.

Picchiare il proprio fratello.

Nuotare contromano in un fiume.

Giocare a Puzza.

Giocare a “chi finisce prima una bottiglietta d’acqua” (anche se una volta M. ha vomitato…). 

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Federico ha voluto la bicicletta e adesso pedala

Farei un torto a Federico se affermassi qui che gli piace scrivere. Gli piace raccontare, quello sì, e so benissimo che è un’altra cosa. Su un blog, quando dentro un post hai inserito una foto e vuoi che gli altri capiscano, tocca aggiungere anche qualche parola e allora Federico lo fa. Che non gli piace scrivere si vede da come strapazza i fogli su cui si applica a scuola. Magari basta soltanto tracciare quattro crocette (e lui le traccia quasi sempre nella casella giusta), eppure il suo test sembra essere passato attraverso un sistema di presse idrauliche, cesoie industriali, macchine punzonatrici.

Raccontare quello sì, quello gli piace un sacco. A volte sembra abbia vissuto già 14 vite e non 14 miseri anni.

Ieri, ad esempio, si è messo lì alla quarta ora e ha detto al mondo di essere il proprietario di una fiammante bicicletta nuova. Un animale a due ruote su cui investirà energie e passione nei prossimi mesi, in attesa di ricalzare gli altrettanto amati sci. Un animale che forse dovrà imparare a domare un po’ meglio, specialmente in discesa, per evitare che il suo prof. debba scrivere di lui, al passato: «a Federico piaceva raccontare…”.  

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Un racconto di Nicola Poe

No, non si tratta di gelosia. Nicola crede davvero che il suo racconto non sfiguri di fronte a quello di Arianna. Anche lui ha spremuto la sua fantasia come un limone e il suo immaginario come un pompelmo. E chiede spazio. E vuole nuotare nella Pozzanghera. Ve la sentite, dopo aver conosciuto Allegra, di incontrare un’altra bambina mostruosa?

(Premetto che conosco il mondo dell’horror come quello della meccanica quantistica e che quindi le creazioni particolarmente splatter dei miei alunni sono il risultato di autonome interpretazioni di una vaghissima traccia libera… Insomma, non sono io a chiedere tutto quel sangue…, nel caso vi foste fatti strane idee…)

 

C’era un ragazzino che un giorno, giocando a nascondino nel bosco, si perse.

Vide una casa, si avvicinò, arrivato vicino alla porta sentì delle voci: «Non varcare la soglia di questa casa, perché è maledetta. Se entrerai morirai».

Il ragazzo curioso entrò, anche dopo tutti gli avvertimenti, e la voce tornò: «Non dovevi entrare, ti avevo avvertito, adesso morirai», disse dissolvendosi nell’aria. Ad un certo punto le porte si chiusero ed il bambino cominciò a gridare: «Aiutooooo! Aiuto! Salvatemi!!!». Poi lui si mise a piangere per la paura, e dopo un po’ si sentirono un carillon e un ritornello che faceva così: “LA LAAA LA LA… TI UCCIDERÓ NEL SONNO CON UNA MORTE LENTA E DOLOROSA… LA LAAA LA LA… IH, IH, IH”.

Il ragazzo scappò e si nascose dentro un armadio, ma lì lui sentì puzza di cadaveri e quindi uscì e vide una ragazzina camminare per il corridoio, e lui, con la sua curiosità, la seguì fino in un bagno pieno di specchi, ed ogni specchio in cui lui guardava c’era sempre la stessa figura e la figura era una bambina con i capelli che le coprivano la faccia, con uncini insanguinati al posto delle mani. Camminava all’indietro con la schiena inarcata, a quattro zampe, con la testa girata. Ad un certo punto la porta di legno si chiuse e dallo specchio, uno dei tanti, uscì la figura demoniaca della bambina. Il bambino scappò sfondando la porta che ormai era vecchia e marcia. Quindi si nascose sotto una scrivania, ma sopra di lui c’era il demone, quindi il ragazzo scappò pure da lì. Arrivato in cucina, si fece un po’ di coraggio, prese due coltelli e andò a cercare il mostro per ucciderlo, ma non lo trovò perché era sopra di lui.

Quando il bambino si fermò per capire dove si trovasse il mostro, delle gocce di sangue caddero dal soffitto su di lui. Alzò lo sguardo, ma il mostro era sparito, quindi continuò le ricerche. Arrivò in uno scantinato buio, dove ad un certo punto si accese una luce e su un muro si vide una scritta indecifrabile fatta di sangue e lì sotto c’era una tomba aperta con scritto: «QUI GIACE MARY, LA RAGAZZA DEMONIACA CON LE MANI MUTILATE».

Il ragazzo si girò e vide il mostro. il mostro lo guardò, poi gli tagliò le mani e lo buttò nella tomba. E gli disse: «FARAI LA MIA STESSA FINE…».

Nel posto dove prima c’era scritto «QUI GIACE MARY, LA RAGAZZA SENZA MANI» adesso c’è scritto: «QUI GIACE IL RAGAZZO SENZA MANI».

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Un racconto di Arianna King

Quando gli alunni hanno tra le mani una bella storia te ne accorgi subito. Si immergono dentro i loro fogli come dentro un tratto di mare pescossissimo. Cambiano la posizione sulla sedia, ma si tratta sempre di posture performanti, mai rilassate. Se sono ragazze si spostano con grande frequenza i capelli dagli occhi. Rileggono con cura e compongono il plico – brutta + bella – con qualche cerimoniosità in più rispetto al solito. Giovedì Arianna aveva una gran bella storia da infilare nel foglio di protocollo, sotto lo smalto colorato delle sue unghie.

È da tanto che non ospito un tema nella Pozzanghera. Eccolo.

 

Come tutte le mattine d’estate, dopo essermi preparata, vado a chiamare mio cugino Diego.

La scorsa estate lui, mio fratello, mia sorella ed io abbiamo iniziato a costruire una capanna nel bosco di Frassenetto, il paese vicino al mio. Di solito andiamo tutti insieme a costruirla, ma i miei fratelli stanno male e quindi da un paio di giorni ci lavoriamo solo Diego ed io. Corro in camera sua e lo trovo a letto, ammalato anche lui. Allora prendo la bici, lo zaino con il pranzo, i chiodi e il martello e vado da sola a Frassenetto.

Dopo pochi minuti sono arrivata e comincio a lavorare. Circa mezz’ora dopo vedo un daino magrissimo, mi vede anche lui e comincia a scappare. Lo seguo e mi conduce ad una capanna abbandonata che non avevo mai visto. È un po’ rovinata, ha travi vecchie e marce. Le finestre hanno i vetri rotti e la porta ha delle strane incisioni sopra, sembrano dei simboli…

«Che ci fai tu qui?!», mi dice una voce. Mi volto e trovo una bambina di circa 11 anni, magra, con gli occhi spenti, pallida. Indossa una camicia da notte grigia e tutta rovinata, ha i piedi scalzi.

Nella mano destra stringe una bambola di pezza e con la sinistra accarezza il daino. Io le rispondo: «Stavo seguendo quel daino e poi mi sono trovata davanti a questa capanna… Comunque scusa. Se questa è proprietà privata non lo sapevo. Mi chiamo Arianna, tu?». Lei mi guarda un po’ stupita, come se non si aspettasse quella domanda. Ci pensa su e mi risponde: «Allegra. E lui è Lief», e indica il daino. Io la saluto e torno a casa. Arrivata racconto a tutti dello strano incontro.

Quella sera mio nonno mi chiede il martello e solo allora mi accorgo di averlo lasciato alla capanna misteriosa. Prendo la bici e mi precipito a Frassenetto a prenderlo. Arrivo a destinazione e lo trovo poco lontano dalla capanna. E all’improvviso sento la voce di Allegra che recita una cantilena, mi giro e la vedo tortutare un uomo! Mi nascondo dietro un albero e continuo a spiarla, anche se la cosa giusta da fare sarebbe chiamare la polizia e scappare da quel posto maledetto! Allegra non si è accorta della mia presenza e continua a canticchiare quelle strofe ipnotizzanti mentre tortura quell’uomo. La vittima non fa rumore, ma riesco a vedere l’espressione di dolore sul suo volto… In quel momento mi squilla il cellulare! Allegra si gira e mi fissa con rabbia dai suoi occhi spenti! Cerco di scappare ma sono paralizzata, e intanto il telefono continua a suonare! Finalmente ritrovo il controllo del mio corpo e comincio a correre, ma dopo pochi metri Lief e Allegra mi hanno già raggiunta e io sono bloccata dai rami di un albero. Allegra mi si avvicina e con la sua vocetta mi dice: «Seguimi…». Le mie gambe cominciano a muoversi in direzione di Allegra anche se la mia mente urla: «Scappa, Ari!».

Arriviamo nella sua capanna, lei apre la porta e un raggio di luna illumina l’interno. Con mio grande orrore vedo un sacco di corpi mutilati, teste sgozzate appese a dei bastoni, sangue ovunque. «Loro sono i miei genitori», mi spiega Allegra indicando due corpi con la testa ancora appesa al collo, ma senza occhi e con il busto aperto da cui escono tutte le interiora! Lief ne sta mangiando le budella… mi viene da vomitare. Allegra comincia a raccontarmi la sua storia.

«Era il 1600 e io ero piccola. Ero una bambina strana, che giocava con la magia nera e che veniva temuta da tutti. Una notte i miei genitori mi portarono nella piazza di Frassenetto. Poi vennero tutti gli abitanti del paese e cominciarono a gridare: “A morte la strega!”…»

Fa una breve pausa e vedo che le tremano le mani e le lacrimano gli occhi.

«Dopo mi gettarono giù per un burrone. Mentre cadevo lanciai loro una maledizione: sarei tornata e mi sarei vendicata. Dopo 411 anni la maledizione si è avverata e io ho avuto la mia vendetta. Quello che mi hai visto torturare prima era l’ultimo che dovevo punire. Ora posso riposare in pace». E così dicendo comincia a sparire. Io le urlo: «E questi cadaveri?!». «Hanno avuto quel che si meritavano», mi risponde. Poi non la vedo più.

Esco da quella maledetta capanna sperando di non aver lasciato impronte, in modo da non venir accusata di omicidio.

Torno a casa, do il martello a mio nonno, mi infilo sotto le coperte e spero di dimenticare tutto.

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