Pausa pranzo, cortile di Scuolamagia. Aria di neve, alunni che ritornano alla spicciolata dalle proprie case, sonnecchianti. Ma ci sono ancora qualche minuto di libertà, palle di neve da tirare, un pallone che rimbalza svogliatamente.
Arriva la ragazza e mi porge lo smartphone, la piastrella azzurra a cui si accompagna da qualche giorno. Penso di doverlo soltanto custodire, quell’oggetto tecnologico, come in altre occasioni, mentre la padrona si immerge in una partita di calcio o in una battaglia di bianchi proiettili di ghiaccio. No, questa volta c’è di più, si tratta di qualcosa di più complesso, mi spiega, questa volta devo risolvere gli enigmi di un giochino su display, devo “sbloccare” certi livelli, mettendo in campo delle conoscenze che a suo avviso dovrei possedere.
Sullo schermo una griglia di disegnini chiede di essere sfiorata dai polpastrelli e ribattezzata correttamente. Si tratta di tanti piccoli logo – soltanto accennati, vagamente camuffati dall’assenza di un dettaglio, di una letterina – da indovinare. Alcuni sono facilissimi: la Fiat, Google Chrome, l’Adidas. Ma la ragazza li ha già ovviamente liquidati da sola, è su altri marchi ben più complicati che si è bloccata.
Non ci metto molto ad accorgermene: sono stato risucchiato da una metafora. Una rognosa metafora spiraliforme. C’è una ragazza di oggi posseduta dal suo telefonino, orrenda propaggine del mostro capitalista che seduce, avviluppa e divora. Un mostro multiforme: logo sinuosi, logo splendenti, logo tridimensionali, logo minimali, logo colorati, logo vintage, logo globali. Non ha scampo, sarà risucchiata in un inferno di pochezza, tremendamente ferita da strisciate di carta di credito, consumatrice alfine consumata. E io, prof. illuminato, devo salvarla con miracolose lezioni a base di terzomondismo pauperista, prolusioni anticocacoliane, digressioni contro le multinazionali. Devo rasare il baffo della Nike, sgonfiare l’omino della Michelin. Subito!!!
E invece no.
Non c’è nessuna guerra da condurre. La ragazza non corre pericoli, o meglio: non corre pericoli maggiori di quelli che corro anch’io. È vita anche quella nascosta nel giochino dei loghi da indovinare, è soltanto il mondo che ci circonda. Ci sono storie e destini, in quei simboli ammiccanti piantati nelle nostre menti, ci sono complessità da indagare. Alla ragazza interessano, e mi ascolta curiosa mentre le racconto da dove vengono i computer Lenovo, mentre le dico del triste destino di Blockbuster, delle sedi di Amazon, della potentissima e affascinante CEO di Yahoo, del buonissimo frappuccino di Starbucks.
No, non siamo schiavi. Non ancora, non del tutto. Sono le 14.05. Un po’ in ritardo, rientriamo in classe per l’ora di geografia. Ma c’era più mondo sulla panchina di legno di fronte al cortile, in quell’aria di neve, davanti a un Samsung azzurro.