Imago, Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Ragazze davvero pronte alla vita

 

Non era male, l’idea di esser “pronti alla vita”. Ci si poteva quasi credere. Poi basta mezzo pomeriggio di strade milanesi in fiamme con il più prevedibile dibattito che ne potesse sorgere (infiltrazioni, manganelli, Alfano, figlidipapà, Genova, la Diaz, Bolzaneto, i cappucci, i servizidordine, Fedez, i tatuaggidiFedez, gli errori di grammatica di Fedez, arrestiamolitutti, arrestiamoFedez, il manifestante intervistato a TGcom24 che voleva fare “bordello”, la mamma di Baltimora, la mamma di Fedez, la mamma di quello che voleva fare bordello ma qualcuno ci pensa a quella povera mamma?, gli hashtag di Severgnini, le ragioni della protesta, la tipa in posa davanti alla macchina bruciata, quelli che “erano solo 500”, …) e tutto si ridimensiona, a cominciare proprio dai i sogni.

Non siam per niente pronti. Alla vita, s’intende.

Non è detto che non lo sia qualcun altro, però.

Come ad esempio le Skate Girls of Kabul fotografate da Jessica Fulford-Dobson, che con i loro colori sono riuscite a strapparmi dal nero dei cappucci e dal grigio delle parole, le nostre parole, in questo strambo primomaggio.

Nessun riassunto, ché si capisce tutto al volo. Quei visi sono più che sufficienti.

La prontezza alla vita, insomma, spiegata bene bene.

Per quando magari decidiamo di riprovarci.

Standard
Imago, Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Une semence di tiere

E si murive d’estât, in montagne,
bella ciao, cuntun façolet ros tal cuel
magari propit sul plui biel
di une vite dute di suspirâ
o tra i bleons frescs di une biele matine
e si murive in invier
platâts ae vite intal fen
di cualchi casere
cuntune femine mai viodude
a fâ fente di jessi tô mari
o la tô femine
si murive in autun, intai fossâi
maraveâts di fueis 
come cialis inmagadis dal glaç
e si disparive frutats, in avrîl, in avost, 
fermâts e petenâts sul puest
o suntun vecjo vagon plombât
dopo si è muarts di bombis e di tramis
di stragjis che cumò
o clamin di stât 
imbroiantsi la viste
intal lengaç dolcit dal podê
cul cuâl strisciamo la notizia 
de pâs armade
e des bombis inteligjentis
che vuê, a sorprese, a copin cualchidun
e si domandìn ducj
tele-vuidâts tai salotti bene di RAI 1 
ce storie sedi mai deventade cheste
che no rivin plui a clamâ la nestre
siamo i ribelli della montagna
il vot di setembar, Ustica, 
un barcon in cuesture
di li che si cole e si mûr
revisions, procès
indagjins che no puartin mai a nuie
e dut il sanc tal sanc
tai voi stracs de int
che à invuluçât di lagrimis e lavôr
cheste so semence di tiere
di li cal è nassût un paîs che al repudie la vuere.

Maurizio Mattiuzza

 

Un seme di terra

E si moriva d’estate, in montagna,/bella ciao, con un fazzoletto rosso al collo/magari proprio sul più bello/d’una vita tutta da desiderare/o tra le lenzuola fresche di una bella mattina/e si moriva d’inverno/nascosti alla vita nel fieno /di qualche cascina/con una donna mai vista/a fingere d’esser tua madre/o tua moglie/si moriva d’autunno, nei fossi,/sorpresi di foglie/come cicale curiose del gelo/e si spariva ragazzi, in aprile, d’agosto,/fermati e freddati sul posto/o su un vecchio vagone piombato/poi si è morti di ordigni e di trame/di stragi che adesso/chiamiamo di stato /truffandoci la vista/nel linguaggio dolciastro del potere/con cui strisciamo la notizia della pace armata/e delle bombe intelligenti/che oggi, a sorpresa, uccidono qualcuno/e ci chiediamo tutti/teleguidati nei salotti bene di RAI 1/che storia sia davvero questa/che non riusciamo più a chiamare nostra/siamo i ribelli della montagna/l’Otto Settembre, Ustica,/una finestra in questura/da cui si cade e si muore/revisioni, processi/indagini che non portano mai a niente/e tutto il sangue nel sangue/negli occhi stanchi della gente/che ha stretto di lacrime e lavoro/questo suo seme di terra/da cui è nato un paese che ripudia la guerra.

Standard
Imago, Res cogitans, Tutte queste cose passare

Meglio esserci, a Parigi

 

Piuttosto apprezzato e condiviso, a margine della marcia parigina di oggi, il lavoro certosino di chi ha spulciato nelle carriere dei leader mondiali presenti mettendo in evidenza pratiche censorie abituali, oltraggi assortiti ai diritti umani più elementari e porcate di ogni natura.

Ben fatto. Operazione meritoria ed “ipocrisia” è davvero la parola giusta da usare.

Detto questo, però, non sarebbe il caso di aggiungere che è comunque meglio che quei capi di stato siano sfilati in quelle piazze ferite, abbiano calcato quei boulevard parigini?

In fondo quel gesto di “esserci” non li inchioda un pochetto, non fa loro firmare una sorta di contratto capestro, non li impegna pubblicamente al rispetto dei valori posti implicitamente alla base della manifestazione? Un po’, s’intende. Undici, non millemila. Comunque meglio di zero.

La volta che il mio alunno più disgraziato fa i compiti, ha proprio senso che io gli ricordi soltanto tutte le vecchie inadempienze scolastiche?

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Lezione di didattica incendiaria (2)

Immagino i dialoghi, dalle parti del tinello.

“Che compiti hai? Roba che ci si sbriga o pomeriggio d’inferno?”.

“Ecco, devo immaginare che casa nostra bruci…”.

“Cosa??? Abbiamo ancora 35 anni di mutuo, se va bene la finisci di pagare tu…”.

“Mah, il Prof. dice che c’è un sito molto trendy…”

“Ma come parla quel cialtrone?!?”.

“Dice che la gente ci mette le fotografie delle cose che salverebbe in caso d’incendio, se avesse quei due minutini prima della fuga…”.

“Col casino che c’è in camera tua… un mese ti ci vorrebbe…”.

“…le cose quelle a cui sei più legato, tipo una felpa, l’orsacchiotto di pezza…”.

“Ma lo sa che al giorno d’oggi l’orsacchiotto di pezza lo produce la Sony e costa 80 euro?”.

“Dice che tra le mie cose ci posso mettere anche il gatto…”.

“Sì, bravo, quello ti aspetta sicuro, prima di scappare…”.

Compiti strani, con esiti da guardare e riguardare.

E soprattutto, niente da correggere. Tutto giusto, niente da rifare.

CLICCA PER VEDERE LE FOTO

(L’edizione precedente)

Standard
Imago, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Il mondo salvato (?) dai ragazzini

Abbiamo rischiato di avere un Ministro degli Esteri trentenne.

Peccato, avrei corso volentieri il rischio.

E pure donna, il cerchio del rischio era infuocato.

Nel pomeriggio dei lunghi manganelli ho immaginato un capo delle forze dell’ordine – unificate, con un occhio alla spending – con le medesime caratteristiche: fresco di laurea, con lo smalto sulle unghie.

Anche Paolo Gentiloni dovrà occuparsi di unghie smaltate, quelle che gridano vendetta dentro i dossier dall’Iran.

Nei giorni scorsi girava per Twitter, rimbalzando da un inviato speciale canadese a un politologo statunitense, da un’osservatorio sull’Asia ad un filosofo australiano, una carta tematica sull’età media della popolazione in Africa.

Solo la Tunisia si colloca appena sopra i 30 anni, comunque 14 meno dell’Italia.

In Niger, per dire, la media è 15. In Burkina Faso 17.

Siamo davanti ad un mondo ragazzino, un affare complicato per ministri al massimo trentenni.

Manca una foto, a corredo di questa disamina geopolitica (inutile, in quanto proveniente da un vecchio di quasi quarant’anni).

Eccola, è di oggi, massimo di ieri. Ritrae un giovane burchinabè dentro il suo paese in rivolta.

Chissà se l’ha vista anche il nuovo titolare della Farnesina…

Standard
Imago, Soletta, Stream of consciousness

La domenica dei papà (che puzzano)

Il fine settimana sportivo va in archivio con le sue belle imprese frutto di talento e tenacia, classe e coraggio, ma può essere guardato anche sotto la lente della paternità.

C’erano le gemelline di Federer ad assistere alla rimonta del papà nella finale di Wimbledon, sconfitto da un Djokovic pronto a dedicare la vittoria alla compagna e al frugoletto che porta in grembo.

C’era Vincenzo Nibali in maglia gialla con una frase bellissima sulla sua nuova condizione di padre oltre che di campione: «…non è cambiato niente, sono sempre quello. Sono solo più felice…».

E c’era una bimba riccia in braccio al suo eroe arancione (il centravanti olandese Robin Van Persie), appena sbarcato in semifinale nel mondiale brasiliano.

Lui rispondeva ai giornalisti, ancora con il fiatone. Lei, Dina, si inseriva nell’intervista con un meraviglioso:

«Ma quanto puzzi, papà!»

 

Standard
Imago, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Enrico e Matteo come Tina e Dominique

 

Voglio dimenticarmi per qualche istante di essere quel fine politologo che sono. Voglio mettere tra parentesi il mio lucido sguardo sulla situazione economica, le mie idee sul futuro del paese, financo il mio bagaglio pesantissimo di studi sulle dottrine politiche e sulle forme di governo.

Voglio ragionare con il candore di un bambino.

Voglio alzare il ditino e suggerire a Renzi & Letta, a Letta & Renzi, di trarre ispirazione da un fatto accaduto oggi alle Olimpiadi di Sochi.

E se la risolvessero così anche loro?

Facile, no?

Standard
Imago, Res cogitans, Stream of consciousness

Sindaci in metropolitana

Faceva freddo, ieri a New York. No, nessun superviaggio natalizio: la Pozzanghera non si è mossa dal suo solito asfalto. Faceva freddo attorno al cappotto del nuovo sindaco e nel vapore che usciva dalla sua bocca, in streaming sul sito del “New York Times”. Erano calde le parole di quel gigante buono, quelle sì, ed erano semplici e dirette come solo in quella parte di mondo. Un discorso perfetto, la megalopoli come il divano di una grande famiglia e quelle “etichette” pronunciate quasi alla rinfusa, senza gerarchie di sorta e quindi a un passo dall’essere abolite dal linguaggio: asiatici, gay, ricchi, vecchi, neri, giovani, poveri, americani… Viene quasi da invidiarla, la bella ingenuità americana, badando bene di non abboccare del tutto alle sue comode esche. Come ricorda Sofri nel suo librino dedicato all’autore del Principe, negli Usa vanno forti letture come Machiavelli & Modern Business, Machiavelli on Managerial Leadership, The New Machiavelli: The Art of Politics in Business. Lo prendono sul serio, il nostro Segretario, e non lo confinano nei ricordi della quarta liceo.

Tutta quell’enfasi democratica, tutto quel “crederci”, non possono che impressionare soprattutto noi italiani, che guardiamo le nostre istituzioni sempre con sospetto e distacco, quando non gli facciamo il verso in camicia di flanella e un fantoccio (di noi stessi) al fianco.

E poi ci sono i giornali, i nostri.

Sussultano: evviva il sindaco che va a giurare in metropolitana! Da noi non s’è mai visto! Seguono autorevoli commenti, dalla cattedra o dall’amaca.

Peccato che il sindaco uscente – data per scontata l’abilità statunitense nella rappresentazione fotografica (e spesso demagogica) del potere – usufruisse altrettanto – e da milionario – di quel mezzo pubblico. Anzi, sulla metro buttava già l’occhio su qualche scartoffia, prima di arrivare in ufficio.

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans, Stream of consciousness, Tutte queste cose passare

Halloween? No, Natale

“Pensaci tu”, mi ha detto un giorno quella mamma. Aveva appena constatato come la sua bimba di paura non ne facesse nemmeno un grammo, e quello era un pomeriggio di fine ottobre da consacrare agli zombie e agli scheletrini, sotto la luce di una zucca vuota, un pomeriggio da mostriciattoli che sgranocchiano biscotti a forma di bara. In effetti, quella sposa cadavere era tutto fuorchè impressionante: la tradivano un sorriso raggiante e una scorza impenetrabile di dolcezza. “Pensaci tu”, una parola. Avere qualche dimestichezza con i fogli e le matite non significa sapersi trasformare alla bisogna in esperti di body painting.

Ho cominciato disegnandole un ragnetto sulla fronte, rompendo il ghiaccio tra quella pelle di latte e il nero di una matita per il trucco. La mano che tremava ha reso quella bestiola goffa e incerta, decisamente inefficace.

Registrate le dimissioni della mia fantasia, ho ripiegato mestamente sui consigli di Google, fino a scoprire un motivo evidentemente caro ai cultori della materia, con decine e decine di immagini: la bocca cucita.

Si squarcia qui il velo che separa un post simile a tanti altri su questo blog, del tipo “gustoso aneddoto dal mondo bambino e ragazzino”, da un tuffo nella realtà agghiacciante del medioevo che stiamo attraversando.

Un paio di mesi fa ho disegnato sorridendo quello che ieri è accaduto per davvero. Neanche per un secondo ho pensato che quel topos si potesse materializzare al di fuori di quel gotico immaginario.

Ho steso una base di rosso sangue sulle guance, e alla mia modella faceva il solletico. Ho tracciato in nero il percorso verticale del filo, ho aggiunto (male) sfumature bianche. Ho scattato una foto e l’ho pure piazzata sulla mia bacheca di Facebook. A scuola, il giorno dopo, un’alunna ha pure recensito schifata la mia opera, dicendomi come avrei dovuto fare, e cosa avrebbe fatto lei al mio posto.

Oggi Concita De Gregorio ha scritto un editoriale che rimette un po’ di cose al loro posto, nel giusto ordine. È per questo che si ripiomba nei medioevi, si perde l’ordine.

 

«Però poi arriva, un giorno, il gesto che azzera la rabbia livida del tuo personale benessere negato, il gesto che ti ricorda cosa siamo, tutti, prima dei nomi che ci danno e che ci diamo: esseri umani, siamo. Lo riconosci, quel gesto, perché lascia muti. La conversazione consueta si spegne in uno sguardo che si abbassa, una voce che borbotta, la replica che tarda ad arrivare, non arriva.

Cos’hanno fatto? Si sono cuciti la bocca. Come cuciti? Cuciti. Ma le labbra? Le labbra, una insieme all’altra. E come?» 

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Res cogitans

Trecento madonne in fondo al mare

mia-migrante

Non c’è il mare nella foto che non riesco a fare a meno di guardare. Il mare è delle balene, il mare è dei delfini, il mare è un contorno, è solo una cornice. I ragazzi a scuola non hanno neanche voglia di colorarlo, nelle cartine sui quaderni. Il mare non si addice certo alla ragazza della foto. È una ragazza di terra, di sabbia, di roccia, di prato. Ma non è nemmeno una creatura da desktop, il (non)luogo dove l’ho piazzata io da luglio, da quando è finita nell’obbiettivo di un reporter di stanza a Malta, inviato a raccontare gli sbarchi di eritrei e somali, e respingimenti ancora più violenti dei nostri. Ho voluto mi facesse da proMemoria, volevo che la mia giornata cominciasse dopo aver consultato i suoi occhi. Ogni tanto mi ha fatto tornare al secolo scorso e al mio  primo pc, un quattroottosei di seconda mano, e al suo sfondo affidato dal precedente proprietario a una seppur castissima Cindy Crawford in bianco e nero. Proprio un bel salto.

Oggi la ragazza ed io ci guardiamo e siamo più muti del solito. Il file con gli esercizi per domani, il logo del browser, l’ultima musica ancora da ascoltare: ho sempre avuto cura di spostare le icone sull’arancione dello sfondo, non violando mai la perfezione delle labbra, il viso disegnato col compasso e lo spazio di quegl’occhi traboccanti di pianto.

L’ho chiamata ragazza, penso che avrei dovuto scrivere donna. Ho scritto donna e mi convinco di poterla chiamare madonna. Una madonna contemporanea, senza bambino. 90 madonne così bruciate o affogate in mare, il mare senza colore dei miei alunni. 250 madonne così ancora disperse: leggi morte, coglione, ché il mare non è mica roba nostra, il mare è delle balene e dei delfini.

Oggi tutti parleranno, tutti diranno qualcosa. Chi regalerà un pensiero, chi scriverà un articolo, chi diramerà una nota, chi si affiderà ad un tweet. La Lega vomiterà la sua pochezza, Grillo dirà di chi è la colpa. Sarà scosso anche Berlusconi: vedrà la sua afflizione nella giusta proporzione, e scaccerà il cagnetto all’altro lato del divano. Telefonerà il Papa, porterà sincero conforto. Penserà anche lui che con trecento madonne morte in fondo al mare il numero da chiamare sarebbe un altro, ma che quel numero selezionato è inesistente.

Standard
Imago, Res cogitans, Soletta, Stream of consciousness

Pensosa sul campo

La lettura di una fotografia può portare ad un numero di interpretazioni pari al numero degli interpreti: a ciascuno la sua. Giusto così. Questa ad esempio, in prima pagina oggi su un quotidiano delle mie parti, nella sua versione online è oggetto di commenti sferzanti: la gente ha bisogno e loro rivolgono lo sguardo dall’altra parte…

Io ho deciso di vederci l’esatto contrario e la faccio rimbalzare nella Pozzanghera come una buona notizia, dal fronte di una politica nuova.

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

On the road… to the school

Un vecchio classico dei giornali online, ormai, è la foto dei bambini che vanno a scuola. Cioè, quelli che “lo fanno strano”: alunni che guadano fiumi dopo che una piena si è portata via il ponte, zainetti sulla teleferica, scale di corda che si inerpicano sulle rocce, canotti e dorsi di elefante. Oggi scopro da “Repubblica” che c’hanno fatto pure un libro, su queste avventure on the road… to the school, e nel suo commento a quegli scatti Marco Lodoli mi ha dato pure l’idea per un tema da assegnare ai miei virgulti.

Innegabile che la questione abbia un suo fascino. Nonostante siano molto meno esotici e avventurosi, mi soffermo spesso sui tragitti casa-scuola di mia competenza. C’è C. che arriva in bici e comincia subito ad esercitarsi nelle sue piccole acrobazie da cortile: impennate e giochi di equilibrio che lui sostiene si debbano definire trick. Ci sono E. e M., fratello e sorella, che camminano a distanza. Non hanno litigato e il loro legame è fortissimo, ma quel viaggio funziona così. Tra i loro pensieri del mattino non c’è fratellanza. C’è O. che non ha strade davanti a sé. A separare casa sua dalla scuola sono un grande prato e una piccola ringhiera da scavalcare. C’è N. che arriva quasi ogni mattina scortata dal suo fedele cagnetto, il quale sembra concederle indulgente il permesso per quelle cinque ore di libera uscita. Ci sono T. e F., anche loro sangue del loro sangue, che arrivano e cercano subito il pallone, c’è R. che cammina piano, sempre pensierosa e mai spensierata, compie tragitti vagamente tortuosi, quasi a voler allungare quelle operazioni di sbarco a scuola. C’è M. che si siede sulla panchina del cortile e sembra avvolta in un guscio. C’è un’atra M. che cammina con le cuffiette: capita che ascolti P!nk o la lezione di geografia in podcast, e io sono felice perché le ho passato entrambe. C’è G., c’è Y. ,c’è L. e ci sono altre tre diverse M.: ognuna di queste iniziali ha la sua strada ed un suo modo di percorrerla verso la prima ora di lezione. Per ultimo ecco lo Scuolabus, ma quello è tutto un altro arrivare, con le sue regole e i suoi stilemi. Materia per una prossima puntata.

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Soletta, Stream of consciousness

La foto

Finché un giorno a Scuolamagia si catapultò un fotografo. Arrivò di notte, con un’auto astronave che non ostentava ricchezza, no, ma raccontava l’esigenza di raggiungere le cose in fretta e immortalarle, prima che svaniscano. Certe foto non aspettano, sembrava dirti quell’Audi parcheggiata davanti all’albergo. Io il fotografo l’ho incontrato in quella mattina di novembre mentre il campanile non aveva ancora battuto le sette. Un paio d’ore di sonno a quel professionista erano parse sufficienti, e si trattava di trovare il set giusto. Una minuscola scuola di montagna non la puoi mica fotografare all’interno, con il planisfero sulla parete, con la lavagna sullo sfondo. Ci siamo quindi ritrovati nei prati del paese, e io temevo ad ogni passo di aver invaso qualche proprietà privata. Lui, al contrario, era per mestiere incline a pensare che tutto appartenesse per diritto naturale alla sua macchina fotografica. Difficile spiegarlo a certi cani da guardia, però, mi diceva col sorriso sciorinando un’aneddotica da Indiana Jones.

Era entusiasta per la luce di quel giorno che stava nascendo. Una luce rarissima, lo confermavano anche gli specifici strumenti di misurazione, una luce da sfruttare il prima possibile. Poche ore più tardi, alle nove e mezza, per il fotografo sarebbe accaduto qualcosa di simile ad un dito che pigia su un interruttore. Una luce per tutti normale e benvenuta sarebbe stata per lui come un buio paralizzante, e addio foto di copertina. Bisognava fare presto e ingabbiare quel prodigio d’alta montagna.

Taccio i preparativi di quell’unico scatto, con i banchi e gli zaini e la lavagna portati a fatica nel prato indorato dall’autunno, sotto gli occhi dei boschi e delle vette. So di aver pensato che davanti agli alunni immortalati stava andando in scena una lezione unica e bellissima. Un lavoro, una passione, un’arte si mostravano ai loro occhi perfettamente fusi, compenetrati. Ed il livello dei tre ingredienti era altissimo. E quando ci sarebbe ricapitato!

L’uomo che aveva fotografato Capaci dall’alto a poche ore dalla strage ci diceva di sorridere, di guardare a sinistra piuttosto che in basso. Era simpatico, e sembravamo comunque interessargli, vai tu a capire il perché. Pochi anni dopo spezzava il cuore l’infinita fila di bare, a L’Aquila, in un’altra fotografia aerea, sulla prima pagina del “Corriere”, il giorno dopo i funerali. Rendeva davvero inutili le cronache e gli editoriali.

Scrivo oggi queste righe dopo essermi imbattuto casualmente in quest’enormità.

 

Sest

Standard
Imago, Le storie di Scuolamagia, Stream of consciousness

Jakarnia

Bisogna essere elastici, bisogna saper trasporre, traslare.

Avrei voluto mettere nella Pozzanghera un’immagine che raccontasse la mia giornata da prof. di montagna, e soprattutto il mio avventuroso viaggio di ritorno, 2 ore e ½ di guida al posto della classica ora tonda tonda, con l’ansia, la paura, il cambio – terza, seconda, prima, seconda, terza – a sostituire da solo gli inutili freni. Avrei voluto ma sarebbe servita troppa concentrazione, e avrei perso minuti preziosi per rintracciare il telefonino e l’inquadratura giusta. Tanto, come dicevo, basta essere elastici, trasporre, traslare. Ecco quindi un odierno scatto da Jakarta con un protagonista che potrei essere io, con un mezzo di trasporto che potrebbe essere la mia Peugeot e un clima avverso che potrebbe essere la neve di questo gennaio virato al bianco.

 

Standard
Imago, Soletta, Stream of consciousness

Tina & Tina – Come si coglie una calla

 

I quindicianni ce li ha cuciti addosso come un vestito colorato, né piccolo né grande: sono la sua taglia e svolazzano nel vento. La ragazza esce da scuola con una fame da lupa. Mentre camminiamo verso del McCibo leggo una scritta su un muro; penso che abbia a che fare con il suo tempo e con i ricci matti che le rimbalzano in testa. Armeggio col telefonino, la spingo dolcemente verso quel graffito e eccola illuminarsi: ha visto anche lei la foto. No, meglio: si è vista nella foto. Sa da che parte deve rivolgere lo sguardo, sa di quanti passi devo indietreggiare prima di fare clic.

Qualche ora dopo siamo in un castello. Sulle pareti non ci sono scritte clandestine, ma veri capolavori. Siamo al cospetto di alcune opere della premiata ditta Weston-Modotti: scatti che han cent’anni ma sono freschi come vestito di cui sopra, quello della ragazza. Tina si era vista in quelle foto, e ne vedeva altre oltre il suo corpo, al di là del suo corpo.

Proprio come la ragazza, che uscita dal castello corre a immortalare il tramonto così come si offre allo sguardo da quella collina friulana. Ha visto una foto e l’ha colta come si coglie una calla.  

Standard